Due lingue, due inizi

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Problema numero uno: SIL è un luogo di incontro e dialogo tra letterate italiane. Io non sono italiana, bensì albanese. Non vivo in Italia, ma in California. Sì, scrivo in italiano, ma scrivo anche in albanese.
Quindi nell’agorà del SIL sarei letterata e basta. Comunque sia, ora mi trovo qua e la compagnia mi piace.
Problema numero due: come la metto con questa faccenda del primo libro?
Di primo acchito la risposta mi era parsa chiara; pochi attimi dopo, non più. Seduta sul balcone, ho lungamente pettinato i ricordi. Il Pacifico là sotto era bello come un dio, però scoraggiava i pensieri seri e invitava alla fuga…
Mi rendo conto di avere avuto due inizi, due primi libri. Noto anche che c’è qualcosa tra me e il numero due e non me ne ero mai resa conto: due primi libri; due mariti; due figli; due mestieri… Ci penserò su appena avrò un po’ di tempo.

 

Pubblicare il primo primo libro fu facile. L’avevo scritto nella lingua madre, l’albanese. Meno facile fu viverlo, quel libro. L’avevo intitolato “Dashuri e huaj” (Amore straniero – ma anche estraneo); un paio di anni più tardi uscì in Italia con il titolo “Senza bagagli”. Era un libro fisico, dalla prima all’ultima lettera:
era la mia storia personale;
la scandalosa fuga da un albergo di Milano in via Finocchiaro Aprile 11, alla volta della Svizzera, nella notte del 25 ottobre 1988. L’Albania era ancora una dittatura; io ero stata inviata in Italia per lavoro, una dei pochissimi albanesi che a quel tempo avevano la fortuna di uscire dal proprio paese, ma solo con permesso speciale e sempre sotto sorveglianza. Non tornai più indietro;
l’incubo di trentun mesi vissuti in Svizzera senza mio figlio;
la caduta della dittatura e il recupero di mio figlio;
Non fui più la stessa. Non sarò mai più la stessa.
Quel bellissimo figlio capace di perdonare ha oggi trent’anni. Ha una magnifica compagna. Una vita sicura, piacevole, sana. Io invece divento un po’ meno sana ogni volta che l’abbraccio. Dopo tutti questi anni, è sempre un affondo tra le costole, ben nascosto, mai a farglielo vedere. Mi avrà mai perdonato? Io fossi stata in lui, avessi vissuto l’abbandono, avrei perdonato? Gli scrittori sono un bluff, ho deciso. Con le parole non ci sanno fare.

Ognuno, nell’Albania di allora, nelle parole del mio primo libro ci lesse ciò che voleva – forse il buio delle nostre vite da carcerati in nome della giustizia universale. Credo anche che la curiosità su cosa fosse accaduto alla fuggitiva contribuì a stimolare le vendite.
Ci sono lettori che ancora oggi mi scrivono su “Senza bagagli”. Io invece ho preso le distanze. Sfogliare quel libro fa male. Punto. Per di più lo riscriverei tutto quanto, ma questa è una storia a parte…

Il secondo primo libro fu quando scrissi direttamente in italiano. Era “Vergine giurata”. Nel frattempo quattro miei romanzi erano stato tradotti e pubblicati in italiano, perciò scelsi la strada più logica: proporre il manoscritto alla Feltrinelli che aveva pubblicato il mio precedente “Sole bruciato”.
Feltrinelli decise di pubblicare anche “Vergine giurata”. Fui contenta, più che per la pubblicazione del libro in sé, quanto per avere avuto la conferma che il mio rapporto con l’italiano si era consolidato. Era una relazione amorosa che durava da tempo; amavo l’italiano profondamente, ma non ero sicura che la lingua amasse me. E pubblicando “Vergine giurata”, senza saperlo, Alberto Rollo, il responsabile della narrativa italiana alla casa editrice Feltrinelli, ufficializzò la nostra unione.

 

Time passes. Could it be that I never believed it?
(Joan Didion, “Blue Nights”, appena uscito nelle librerie da questa parte del mare.)
Il tempo passa. E’ possibile che non ci abbia mai creduto?”
Amo Joan Didion.

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