Cinema/ Una storia di famiglia

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In trepida attesa di sapere quali film, quali attrici e attori saranno in lizza per gli Accademy Awards il prossimo febbraio, sono uscite in rete le liste dei candidati alle nominations. Se ne parla in Italia soprattutto per la possibilità di vedere uno dei nostri film in concorso per il premio a miglior film straniero. Sulla stampa internazionale invece la discussione spazia molto e si legge un particolare interesse per i documentari (arrivato fino a noi con la inaspettata sorpresa della vittoria di Sacro Gra a Venezia). Cinque dei quindici candidati sono realizzati da registe: Gabriela Cowperthwaite (Blackfish), Andrea Nix (Life according with Sam ), Lucy Walker (The crash reel  ), Jehane Noujaim (The square ) e Sarah Polley (Stories we tell ).

I film raccontano battaglie, rinascite, sconfitte, vite comuni e straordinarie; in tutti si percepisce la forza del racconto, la determinazione, il cammino difficile e doloroso del cinema del reale, scontro corpo a corpo tra chi racconta e chi è raccontato, che qui si trasforma, grazie allo sguardo femminile, in una danza sinuosa capace di coinvolgere chi guarda come un protagonista della storia. Solo uno di questi documentari è apparso nelle sale italiane, lo scorso anno nella sessione Orizzonti al Festival del cinema di Venezia, in prima visione mondiale: Stories we tell di Sarah Polley. Scriverò di questo film perché tra gli altri incarna tutti i miei interessi: il cinema delle donne, il cinema privato e familiare, la ricostruzione e il recupero della memoria e non da ultimo la scrittura del sé. Uno scrigno pieno di tesori.

Sarah Polley attrice, sceneggiatrice e regista, scrive e dirige il suo terzo film, dopo il primo Away from her (2006), tratto dalla raccolta di Alice Munro Hateship, Friendship, Courtship, Loveship, Marriage  (Nemico, amico, amante, Einaudi) candidato a ben due Oscar, uno dei quali per la sceneggiatura e il successivo Take this Waltz (2011), andando a formare quella che potremo definire una trilogia sulla famiglia, in particolar modo sul rapporto di coppia. I primi due sembrano quasi una preparazione a questo ultimo capitolo che si nutre della scena del reale narrando una storia vera e personale: Stories we tell racconta infatti la famiglia di Sarah, la madre Diane (scomparsa quando lei aveva 11 anni), il suo rapporto con il padre Micheal, le vicende che precedono la sua nascita e la ricerca del vero padre biologico. Sarah mette in scena se stessa, dietro e davanti la macchina da presa, come intervistatrice, personaggia, regista e protagonista. Il film è un collage di narrazioni, diversi punti di vista sulle vicende; fratelli, sorelle e amici sono chiamati a raccontare, “tell me the whole story” dice Sarah da dietro la camera ai protagonisti e ognuno di loro reagisce con sorpresa a quella richiesta. In parallelo è un collage di immagini: veri film familiari e messe in scena con attrici e attori, mischiate magistralmente tanto da non essere distinguibili. A guidare è il racconto in voce over del padre (scritto da lui stesso), ripreso mentre lo incide in uno studio di registrazione con Sarah alla regia.

È un testo complesso sul racconto e sulle sue modalità, ma anche su come si ascolta, su come le storie si sedimentano e lasciano in ognuno di noi frammenti emozionali incancellabili. È uno studio accurato sulla memoria personale e le sue manifestazioni, sulla ricostruzione della memoria familiare, condivisa e personale. Per questa sua preziosa peculiarità è difficile incasellarlo semplicemente nel genere di documentario personale; Stories we tell è anche una detective story, un cine-memoire, un dramma familiare. Ma non è certo il primo esperimento del genere, basti pensare alle registe italiane Chiara Cremaschi, Caterina Klusemann, Alina Marazzi, a Jonathan Caouette, Michelle Citron, Natasha Samuel che esplorano la memoria privata e collettiva, il paesaggio familiare e le genealogie, la riparazione del trauma attraverso la narrazione del sé. Percorsi difficili di autobiografia che, come scrive Michelle Citron, «is intimately bound to the writer’s psyche, a shadowy place where guilt and projection lurk» (è intimamente legata alla psiche della scrittrice, un luogo oscuro dove sono in agguato il senso di colpa e la proiezione), ma anche un momento chiave per la realizzazione di noi stessi (Annette Khun, Family Secrets).

Nel caso di Stories we tell il racconto autobiografico è un racconto corale che cerca di ricomporre la storia, di Sarah, della madre, del padre attraverso le molte immagini che ognuno dei protagonisti le restituisce. Compone un puzzle attraverso le parole e la scrittura, ma anche e soprattutto le immagini. Immagini prese dal vero della vita familiare (i film in super8), le immagini fiction che ricostruiscono le sequenze mancanti di vita familiare, le immagini della storia dell’indagine sulla paternità di Sarah. È la presenza della regista e l’autorità che la famiglia le riconosce, soprattutto il padre, che rende le storie trasparenti verità in cui la spettatrice e lo spettatore ripongono tutta la loro fiducia, lasciandosi trascinare e ammaliare dai cantastorie.

Riprendendo Cavarero potremmo dire che Polley facendo raccontare dagli altri/e percepisce se stessa come narrabile, e in questo processo che è il dipanarsi e il ricomporsi del racconto si riconosce se stessa. Il riconoscimento avviene attraverso la figura materna, donna forte e indipendente che ha sofferto la separazione dai figli per la sua indipendenza, ha lottato per i suoi desideri e della quale tutti ricordano la vitalità e la determinazione. Lo sguardo materno, reale o ricostruito nel volto dell’attrice Rebecca Jenkins, si specchia nello sguardo di Sarah, in particolar modo quando ascolta il racconto di Michael dalla cabina di regia.

La figura di Diane è centrale nel film, Sarah era troppo piccola quando lei è venuta a mancare, e nel film tenta di ricostruirne i tratti attraverso le parole di chi l’ha conosciuta, amata e desiderata; attraverso i suoi primi piani e gli sguardi in macchina intreccia intorno a lei i ricordi dei protagonisti componendo un ritratto familiare intenso ed emozionale, una storia fatta di molte storie nella quale tutte e tutti ci riconosciamo.

Sito del film

Intervista – Vanity Fair (dopo la pubblicità)

video-intervista

 

 

 

 

 

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