Il coraggio di Margarethe

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Tra il 18 e il 26 di aprile prossimo la città di Palermo, che ha quasi un debito di riconoscenza verso Margarethe von Trotta per l’impegno da lei mostrato all’indomani delle stragi e testimoniato con il pluripremiato Il lungo silenzio, la onorerà con una retrospettiva di quasi tutta la sua produzione e con il conferimento della cittadinanza onoraria. Il Comitato PiùdonnepiùPalermo e il Goethe Institut ne curano l’organizzazione.

È per me un piacere scrivere di Margarethe von Trotta, dopo avere ideato e organizzato la rassegna che si terrà a Palermo in aprile. Il suo è il coraggio  di un’artista che, in oltre quaranta anni di attività, non ha mai ceduto alla seduzione “populista” dell’industria cinematografica. Ciò nonostante o, forse proprio per questo, oggi, il bilancio su di lei è positivo a tal punto da essere considerata una delle registe più significative nel panorama cinematografico europeo.

Il cinema politico ma non ideologico di Margarethe von Trotta ci riporta uno sguardo sul mondo pieno di fascino e di emozioni, ma non strappalacrime. Un cinema, il suo, che non cede alla “spettacolarità” della poetica degli eroi, nonostante le sue “personagge” siano esse stesse figure eroiche sia che vivano all’angolo di cottura o agiscano tra i fasti della storia. Eroine prive di quel noto cliché dell’eroismo che abbonda nella cinematografia corrente, a firma maschile, e che legittima il genio, la follia, la grandezza di chi sta contro la società come essere asociale, narcisista ed egoista. Anche le donne di Margarethe sono costrette a mettersi contro la società, ma non come esseri asociali, narcisiste ed egoiste, ma con una visione chiara e tutta femminile della realtà e con la speranza di agire mutamenti in un mondo inamidato e incapace di trasformarsi.

Dopo Germanistica, Lingue romanze e Arte, Margarethe, studia teatro e cinema collaborando alla realizzazione di numerosi cortometraggi. La sua carriera nel cinema inizia da attrice, con registi come Fassbinder e Schloendorff, suo marito. Il suo talento di autrice si rivela ben presto nei soggetti, le sceneggiature e la co-regia di alcuni film di successo del marito, fino a passare alla regia tra quella compagine di grandi che, negli anni ‘70, furono i protagonisti del Nuovo Cinema Tedesco.

Sono gli anni del femminismo in cui le donne, tra l’altro, lavorano alla revisione dei canoni artistici e disciplinari. Margarethe è portatrice di questo sguardo nuovo e, pur essendo indenne dal rischio di un cinema militante e didascalico, si impone nel mondo della rappresentazione filmica con un suo linguaggio tutto femminile. Uno stile nuovo il suo, una narrazione che è cinema di idee che dallo schermo passano alla platea senza un punto di vista preconcetto, così da ricercare complici nella strada della “verita”. Di quegli aspetti della realtà, tra privato e politico, che hanno determinato, pur passando inosservati, i mutamenti a livello di costume e cercato di rinnovare il volto della nostra società. Quel volto che la televisione del ventennio berlusconiano ha ricoperto di maschere mostruose.

Già nella prima produzione, tra gli anni ’70 e ’80 – Il secondo risveglio di Christa Klages (1978), Sorelle (1979), Anni di piombo (1981), Leone d’oro a Venezia, Lucida follia (1982), Paura e amore (1988) – vengono alla luce i temi ricorrenti della filmografia della von Trotta. Il conflitto tra la sfera personale e quella pubblica, l’attenzione verso i personaggi femminili relegati nell’universo asfittico del sistema patriarcale, i cui antidoti sono la sorellanza, l’impegno civile fino al coraggio rivoluzionario. Dopo questa prima fase, la sua sapiente vena narrativa si allarga nella volontà di onorare e far conoscere grandi figure femminili che altrimenti sarebbero destinate alle scorie della storia. E’ così che Hildegard von Bingen (Vision, 2013), Rosa Luxemburg (1986), Hannah Arendt (2012), o le donne coraggiose di Rosenstrasse (2003), sono arrivate al grande pubblico. Von Trotta ritorna, infine, al tema a lei caro della sorellanza con il suo ultimo Die abhandene Welt (Il mondo perduto), presentato alla Berlinale di quest’anno nella sezion Berlinale Special.

Abile nel coniugare l’arte di raggiungere il maggior numero di spettatori e spettatrici, pur nella messa in scena di temi e personaggi complessi, la produzione di Margarethe von Trotta, senza mai scadere nel didascalico, contiene l’impegno civile delle grandi opere. Esemplare nella direzione delle sue protagoniste e dei suoi protagonisti, la regista tedesca ci restituisce con maestria la grandezza di uno sguardo, di un respiro, di una parola. Inoltre, la natura sessuata del suo sguardo e la vocazione pedagogica conferiscono alle sue opere la sapienza e l’originalità che è del grande cinema, di quello che contribuisce a modificare il senso comune.

La sua corposa produzione è meritatamente legittimata dall’amore del pubblico e da numerosi riconoscimenti alla carriera, tra i quali l’OCIC Award ad Honorem al Festival di Berlino del 1983, il Premio speciale per il 40° Anniversario della Repubblica Federale di Germania nel 1989, il premio Federico Fellini 2010 per l’eccellenza artistica al Bif&st di Bari. Innumerevoli, inoltre, sono i premi e le nomination conferiti alla sua produzione filmica. Nel corso della sua lunga carriera ha vinto, per citarne solo alcuni, quattro Golden Globe, due David di Donatello, Il Golden Camera tedesco, Il Leone d’oro a Venezia, Il Chicago International Film Festival, il Montreal Film Festival, Il Valladolid Film Festival, Il festival del Cinema di Taormina, Il Gran premio del Festiva di Creteil.

 

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