Sono due figure quasi archetipiche di donne, Jeanne Hébuterne e Sofia Tolstoj, ad aprire l’ultimo libro di poesia di Loredana Magazzeni, Volevo essere Jeanne Hébuterne, uscito a fine maggio 2012. Questa scelta indica una sorta di chiave di lettura. Jeanne Hébuterne, timida e innamorata compagna di vita di Amedeo Modigliani che l’ha ritratta più volte, pittrice di talento ella stessa – sempre in ombra rispetto al “genio”, non regge alla morte precoce del compagno e si suicida gettandosi dal quinto piano il giorno dopo la sua morte, benché avesse una figlioletta di quattordici mesi e fosse incinta in stato avanzato. Di Sofia Tolstoj molto si è scritto, sottolineandone la durezza, la fuga del “genio” da lei nelle ultime settimane di vita, il ritratto negativo e sprezzante divulgato dal marito in tarda età. Eppure questa donna, che sposa giovanissima Tolstoj molto più vecchio di lei e viene trascinata in una vita turbolenta e difficile, era una donna colta, di talento e sensibilità, piena di aspettative per la sua vita futura che ha dovuto lasciar cadere, come leggiamo nell’autobiografia composta in età matura.
.L’autrice si pone la domanda fondamentale: quanto conta la scrittura per una donna? Quanto del proprio desiderio fisico e spirituale vi è investito? E’ il tema del libro: la parola e la verità, la scrittura stessa, cui fa seguito il tema dei temi, potremmo dire, quello del corpo vivo di una donna, con tutte le sue affezioni e i mutamenti.
Anche con queste rapide indicazioni si coglie la ricca tramatura di questa raccolta poetica che collega e tiene insieme temi profondamente legati alla vita, andandone a ricercare le radici nel passato, nell’infanzia, e nel presente. “Faccio le tende: monto, smonto, vado/ non creo strutture indistruttibili/ lancio ponti di liane amorose:”, l’autrice mette in moto una ricerca urgente, sentita come necessaria, e tuttavia centellinata nelle pagine del libro e nell’esperienza soggettiva, frutto di una lunga maturazione e di pensiero. Questa, a mio parere, è la novità interessante di questa raccolta poetica: aver dato luogo a un pensiero poetante che dialoga con i punti nevralgici della ricerca contemporanea in tema di scrittura delle donne, riverberati e raccolti in una storia personale e soggettiva.
L’importanza della scrittura e della parola, persino di sms, il silenzio nelle attese di risposta connotano la dismisura dell’affetto offerto e non accolto, la distanza tra l’amore esposto e il desiderio mai esaudito, mai ricambiato nella sua potenza e interezza di anelito che non trova soddisfazione. Da qui la somatizzazione della sofferenza, la malattia, le distorsioni che esprimono il disagio del corpo, il nucleo oscuro (come lo chiama Virginia Woolf) o il pozzo in cui si cade (come dice Natalia Ginzburg) che si apre spesso vertiginosamente dentro ogni donna (e la risposta a Ginzburg di Alba De Céspedes, che ribalta quel luogo oscuro in forza vitale creativa, mostra quanto è acuta e condivisa questa sensazione). Il rapporto con il corpo è conflittuale, fonte di malessere, di negazione e poi assunzione incontenubile di cibo che avvicina la materia grassa all’imponenza, per l’uomo, al disfacimento di sé, per la donna: “Dopo molti anni la Bambina dice al cibo: colma il mio vuoto”. Fino a dare luogo a fantasie di annichilimento con la disgregazione dell’unitarietà del corpo, le cui parti singole vogliono autonomamente prendere strade separate, in una allucinazione distruttiva: “Soffoco, soffoco, dice la gola./ Scappa, scappa, gridano le gambe”.
La scrittura può essere compensazione, salvezza, benché amare corpi non si possa tramettere attraverso la carta, e il confronto con la bellezza rimane una meta sognata. “Ma il corpo deve scrivere o vivere? Pensa la Bambina./ Ma le parole sono sassi o carezze? Si chiede./ Mentre scrive, filtra la vita, produce miele”. La Bambina (con la B maiuscola a indicare il nome proprio) di cui si parla in queste pagine sembra appena uscita dalle fiabe, Cappuccetto Rosso con gli occhi spalancati a cercare amore, con la meraviglia dello sguardo racchiusa nelle interrogazioni, domande che aspettano un dialogo, corrispondenze.
Altro tassello di questa raccolta – confessione riguarda il tema della verità a ogni costo, la consapevolezza di scavo della poesia anche nelle scelte più scabrose, il valore etico della parola nel confronto serrato con la propria “verità”. Allora le pallide madri possono cercare “verità occulte nei labirinti/ dei loro addomi arrotondati”. Ancora una volta si rincorrono e si intrecciano i temi della ricerca, del centro oscuro e labirintico (il vuoto delle donne), del cibo e del corpo. La verità non si muove solo in ambito privato, indica la strada per osservare il mondo, e la poesia si apre allora a tante durezze della contemporaneità, dai migranti alle rivolte dei giovani, alle guerre, alle sofferenze sociali, allo sfruttamento, fino a ipotizzare utopisticamente una nuova storia, che racconti gli sforzi volti a una vita vissuta sotto la legge dell’etica, perché è responsabilità della poesia dare voce per sovvertire l’ordine fondato sul profitto.
Chiude la raccolta un gruppo consistente di poesie che delinea un corpus a parte: “Tutte le forme dell’amore. Transonetti. Sonetti d’amore transessuale.”. Qui basti mettere in rilievo, oltre al dialogo con la classicità e la tradizione, la scelta dell’autrice di trattare un tema contemporaneo di punta: quello del superamento del “genere” nella declinazione della soggettività, del libero incontro con il desiderio inscritto in ogni corpo, mai una volta per tutte, e della scrittura come luogo di rapporti e di scambi in tema di identità e parola, e che, per donne e uomini, apre nuovi e fruttuosi campi.
Loredana Magazzeni, Volevo essere Jeanne Hébuterne, Le Voci della Luna-Poesia, Dot.com Press, Milano 2012, pp.104, euro10,00
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