Femministe sull'isola. Avventure di donne in Sardegna

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È un repertorio ricchissimo quello offerto dal volume Memorie del movimento delle donne degli anni ’70 curato dal Centro di documentazione e studi delle donne di Cagliari. Il titolo ne specifica il contenuto ma il sottotitolo è ben più eloquente a riguardo; si tratta infatti di Contributi per una storia del femminismo in Sardegna. Pubblicato per Cuec nel dicembre del 2012, nel libro viene dichiarato più volte che non si tratta di un’operazione che intenda essere esaustiva dell’intera storia femminista in Sardegna, per complessità e impossibilità di restituire l’intero di un’esperienza così colma e dirompente. Tuttavia appena si sfogliano le prime pagine, ci si rende subito conto di trovarsi dinanzi a un prezioso intervento storico e di tessitura politica che fino ad oggi non esisteva nel panorama degli studi femministi in relazione alla Sardegna. Almeno non composto in questo modo.

Quel che appare irrinunciabile è anche lo sforzo e l’insistenza che le donne cresciute in quegli anni hanno mostrato nei confronti della memoria che si rinnova e sa cambiare di segno. Aspetti sui quali varrebbe la pena riflettere e discutere. Ma la memoria che il libro vuole raccontare non è una e non è neppure neutra; è storia invece che si dice al plurale e che – lo si voglia o no – è sessuata fin dall’origine. Le memorie non corrispondono così al genere della confessione ma ad altrettante avventure di donne che non forniscono dati oggettivi bensì altrettanto mediano tra il proprio desiderio di politica, il ricordo emotivo e il tempo trascorso. Aggiungo che assistere alla lettura di un documento così prezioso è un esercizio di esplorazione silenziosa e affascinante anche per chi, come me, negli anni Settanta guardava ancora tutto dal ventre della propria madre.

Il progetto di un volume che mettesse ordine ha preso avvio da un Laboratorio cominciato diversi anni fa e promosso da un gruppo di ricerca che voleva fare il punto sul significato e il senso delle parole; il laboratorio è stato organizzato nella sede del Centro di documentazione cagliaritano di via Lanusei, gestito dalla cooperativa «La Tarantola». La cooperativa si costituisce appunto a Cagliari nel giugno del 1978 per il desiderio di venti donne che fino a quel momento avevano fatto parte dei due principali collettivi cagliaritani: quello di Ricerca Femminista con sede in via Genovesi, e il Collettivo di via Donizetti, insieme ad alcune donne singole. L’11 dicembre dello stesso anno viene fondata e aperta al pubblico la Libreria delle donne di Cagliari, sempre gestita dalla Tarantola, operando una trasformazione della pratica politica fino a quel momento sperimentata unicamente nei collettivi femministi. Le risorse materiali, si racconta, erano poche ma il desiderio di quante contribuirono all’impresa era enorme e l’obiettivo venne raggiunto.  A tal proposito, ricorda Annalisa Diaz: «Personalmente ho creduto molto in quel progetto che ha permesso di mettere in gioco nuove energie e una buona dose di creatività nella creazione di uno spazio politico, aperto a tutte le donne, che ha permesso una continuità col passato ma anche la possibilità di realizzare nuovi momenti di incontro e di costruire nuove relazioni» (p. 140). Seppure il volume sia stato fortemente voluto dal Centro di documentazione cagliaritano, la storia che viene a profilarsi riguarda tutto il territorio sardo nelle principali sedi dei gruppi di femministe che nei primi anni Settanta si riunivano e operavano. Al principio, infatti, l’intento era quello di ricostruire una cartografia sufficientemente articolata e composita che restituisse la realtà del femminismo in Sardegna. L’impresa tuttavia è parsa da subito complessa giacché, seppure molti contatti e indirizzi fossero già in possesso delle donne del Centro di documentazione, era fin troppo chiaro l’azzardo: poter raggiungere tutte le donne che in quegli anni avevano partecipato alla straordinaria esperienza del femminismo e fare in modo che, a distanza di diversi decenni, fossero disposte a condividere ricordi testimonianze e posizioni politiche appariva arduo. Per arrivare a più donne possibili, si è così deciso di lavorare su più livelli di indagine e rilevazione: intanto costruire un questionario con alcune significative domande da inviare a centottanta donne sparse in tutta la Sardegna, con una lettera allegata che spiegasse alle riceventi cosa si sarebbe voluto fare dei dati raccolti. Poi di scandagliare il materiale esistente nell’archivio del Centro di documentazione: letteratura grigia, appunti di riunioni, articoli di giornale. Mentre però le donne ricevevano il questionario e contestualmente la notizia della composizione del libro, si faceva spazio in ognuna di loro il desiderio di un intervento ulteriore; seppure infatti solo in settantasette abbiano rispedito il questionario debitamente compilato, molte si sono mostrate generose fornendo testimonianze aggiuntive e diversificate, accettando conversazioni e producendo una quantità di informazioni e contatti imprevisti e sorprendenti. Ciò che appare è in effetti una costellazione appassionata e a tratti dolorosa perché carica della grande posta in gioco insita nella scommessa del femminismo, in quel desiderio di politica così intimo e gioioso che metteva a repentaglio la donna nella propria totalità. Privato e pubblico assumevano così la mescolanza esplosiva di una pratica che fino ad allora non conosceva precedenti.

Dopo la puntuale introduzione di Luisa Maria Plaisant, Annalisa Diaz e Alida Manca tracciano una breve cronistoria del movimento delle donne in Sardegna attraverso le tappe più importanti; si parte dal 1974 con il referendum sul divorzio fino alle vacanze internazionali a Carloforte, passando per l’esperienza dell’Umanitaria e degli incontri locali di Santu Lussurgiu e Santa Maria Navarrese, insieme a quelli nazionali di Pinarella e Paestum.

Molti sono i temi trattati, quasi quante le testimonianze incrociate con i dati acquisiti, commentate sapientemente da Anna Oppo e Margherita Sabrina Perra. La seconda parte del libro si apre con l’ intervento di Anna Rita Oppo che entra nel merito delle pratiche dei collettivi. L’aspetto interessante è rappresentato dai luoghi concettuali che vengono segnalati e che sono gli stessi – seppure con qualche eccezione e modificazione – che ancora oggi appaiono fondamentali per chi fa politica delle donne:  il partire da sé; l’auto-determinazione; la doppia militanza; il separatismo; personale e politico; le differenze tra donne; l’autocoscienza. Di rilievo è anche il capitolo curato da Nora Racugno che ricostruisce le biblioteche delle femministe sarde degli anni Settanta.

I testi, così come le riviste e i documenti, ancora oggi rappresentano una genealogia di riferimento per chi si voglia avvicinare ai saperi delle donne e alla storia del femminismo; così si può leggere di Virginia Woolf e di Simone de Beauvoir ma anche di Carla Lonzi, Luce Irigaray e altre; sono presenti anche diverse riviste come Effe, Memoria, Noi Donne, Dwf e molte altre. La circolazione dei testi permette di dialogare con i nodi principali che in quegli anni affollavano la mente di giovani e meno giovani. E infatti successivamente più di cento pagine sono dedicate alle memorie e alle testimonianze. Si tratta di un ordito attento e speciale che cerca di rammendare, con gioco di donna, e custodire, con sguardo vigile, una geografia ben definita che vada da Sassari a Cagliari, Alghero e Macomer, Gavoi, Lanusei per scendere nuovamente a Serramanna, Guspini, Sinnai, San Sperate, Iglesias. Solo per citare alcune tappe. Sono quelle stesse donne sparse nei rispettivi collettivi delle proprie cittadine o dei propri paesi che negli anni Settanta compongono documenti, volantini e ciclostili, riempiono le piazze sarde e scrivono manifesti con «Il linguaggio della nostra insurrezione» che pur tuttavia «non ignorava affetti e sentimenti» (M.G.L., p. 129).

Dalle fonti documentarie raccolte da Alessandra Spiga e Nora Racugno, si evince bene come l’esperienza del collettivo rappresentasse «una scommessa forte di fiducia nella sorellanza, nell’intelligenza, nell’onestà intellettuale, del gruppo e di ciascuna» (Mariella Cao, p. 143). Indipendentemente da quale collettivo si fosse scelto e da quale militanza o pratica politica si abbracciasse, appare chiaro come vi siano state delle consonanze che  confermano l’intensità del momento irripetibile misto a un atteggiamento di fiducia diffuso e di gioia verso le proprie simili. Un’attenzione che si intravvede tra le righe e che si vuole discostare dalla rivendicazione per trovare mediazioni possibili: tra materialità della vita e desiderio, per esempio, per aprirsi alla libertà femminile come principio che fa arretrare l’oppressione, forma di scacco da cui appare complicato uscire. È anche questo un passaggio che va a comporre la strada più lunga, quella marcata dalla trasformazione della «estraneità femminile in signoria» (Maria Giovanna Piano, p. 163).

 

AA.VV., Memorie del movimento delle donne degli anni ’70. Contributi per una storia del femminismo in Sardegna, a cura del Centro di documentazione e studi delle donne di Cagliari, Cuec, Cagliari 2012, 246 pagine, 18 euro.

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