Disegnare storie per dare senso alle cose: è questa l’arte per Paula Rego, nata a Lisbona nel 1935 ma cresciuta artisticamente in Gran Bretagna. In questa espressione si condensano i tratti ed i modi caratteristici del suo operare: la predilezione per il disegno attraverso cui le immagini prendono forma e significato; il grande gusto per la narrazione di storie; la volontà di “dare senso alle cose”. Per Rego, infatti, la realtà ha bisogno di essere interpretata e raccontare/rileggere storie è il modo privilegiato di farlo, anche prendendosi delle libertà, quando si tratta di una storia nota, affinché questa possa svilupparsi in fedeltà all’esperienza dell’artista ed in modi imprevisti. L’esperienza da cui guardare il mondo e secondo cui dar “senso alle cose” è, per l’artista, quella femminile; le sue narrazioni visuali hanno al centro figure di donne e di queste parlano, nella consapevolezza che la rappresentazione del femminile, così come l’intera storia dell’arte, sono state primariamente prodotto maschile e che pertanto c’è “tutta una storia ancora da raccontare” per mettere compiutamente al mondo l’esperienza delle donne.
Questo orientamento si presenta sotteso ed intrecciato ai temi narrativi ricorrenti nella sua opera: la violenza, il rapporto di subordinazione/dominio, l’esercizio del potere, spesso affrontati, fin dai primi lavori, col taglio a lei congeniale dell’ironia, attraverso la deformazione caricaturale che smorza, con il senso del ridicolo, anche la consapevolezza del pericolo. Se nelle prime opere questi temi sono affrontati nei termini della politica “tradizionale”1, in seguito Rego li tratterà attraverso la lente del rapporto intersoggettivo, mostrando la valenza politica del “personale”. E il campo di osservazione si sposta al mondo dell’infanzia ed alla famiglia. Non si tratta, però, di un’infanzia idealizzata: la fanciullezza è sì la fonte cui l’artista attinge, traendone personaggi e riproponendone storie, ma questi vengono presentati in modi così diversi da quelli cui siamo abituate/i che perdono il proprio carattere rassicurante. La narrazione che ne risulta è insieme inquietante e avvincente, le immagini procedono per associazioni libere2 e i racconti rappresentano la via principale dell’espressione cosciente, il pretesto per dare forma visiva ad inquietudini ed esplorazioni interiori che ci restituiscono un’immagine dell’infanzia quale luogo dove si manifestano paure, istinti violenti, affetti ambigui (Nursery Rhymes, 1989; Peter Pan ed altre storie, 1992, Biancaneve, Pinocchio, 1995).
Anche la famiglia è presentata come teatro di situazioni oppressive e violente, di contrasti emozionali, tensioni sessuali e giochi di potere. E così Rego rivela e mette a nudo, con intenzione politica e non di giudizio morale3, gelosie e tradimenti, minacce e umiliazioni, colpe e desideri. Le relazioni umane che ne risultano sono espresse prevalentemente nei termini di contrapposizione e conflitto: fra uomini e donne e fra donne, fra adulti/e e bambine, fra chi ha il potere e chi è sottomesso, secondo modalità del discorso sempre fortemente e volutamente ambigue, vuoi per i personaggi, vuoi per i contesti e i riferimenti che mette in scena. E in questo gioco di svelare e smascherare -sentimenti e situazioni-, si precisa e prende forma anche la crisi dell’autorità maschile, come in Bambine e cani, 1986; Le serve, 1987 e, in particolare, le due grandi opere del 1988 La famiglia e La danza.
Nella Famiglia, una figura maschile è passiva e inerte nelle mani di due donne che apparentemente si apprestano a spogliarlo. Nei disegni che precedono la stesura finale, Rego mette in scena una donna che aiuta l’uomo ad indossare un soprabito, ma nella versione finale questo gesto cambia di segno e direzione e il contenuto dell’immagine si trasforma in azione ambiguamente aggressiva. Più distante, ma non meno minacciosa per la lunga ombra che proietta, un’altra ragazza assiste all’azione e diversi dettagli rafforzano la sensazione di un rovesciamento dei rapporti di potere: l’altarino sullo sfondo in cui sono raffigurati un San Michele che uccide il demonio sotto lo sguardo di un’imponente figura femminile che, secondo la stessa Rego, rappresenta Maria Maddalena, simbolo ad un tempo del peccato e del perdono, mentre un grande uccello dal becco lungo ancora ambiguamente nutre o aggredisce una volpe. Anche la definizione cromatica, costruita sulla contrapposizione dei complementari -rosso/verde e giallo/viola- nell’inquietante indeterminatezza di grigi e bruni, accentua l’impostazione conflittuale di tutta la scena.
La danza (1988) è, invece, una riflessione visiva su alcuni dei diversi modi in cui una donna dà forma alla sua esistenza: su una spiaggia al chiaro di luna due donne danzano con uomini e, in secondo piano, tre figure femminili ballano in cerchio -una bambina, una giovane, un’anziana- segno della continuità genealogica femminile; da sinistra una donna avanza ondeggiando, è sola e separata dalle altre, anche per le maggiori dimensioni; a differenza dei disegni preparatori in cui anch’essa era collegata ad una figura maschile, ora la sua identificazione come soggetto -il senso di sé- si definisce al di fuori della relazione con l’uomo.
Nell’opera di Rego, peraltro, il maschile è generalmente assente o, a volte, designato tramite oggetti o richiami che ne presuppongono l’esistenza senza metterla in scena: La figlia del poliziotto (1987), Biancaneve gioca con il trofeo del padre (1995), la serie Donna-cane, del 1994. Qui, per la prima volta, l’artista traspone l’umano in chiave animale, invertendo il processo di antropomorfizzazione degli animali iniziato con la serie La Scimmia rossa e altri animali, le Opere, la serie delle Bambine e cani (1986-87) dove il cane è rappresentato come creatura potenzialmente selvaggia e forte ma piegata alla domesticità. I pastelli delle Donne-cane esprimono, invece, in termini intensamente fisici, quella che la stessa Rego ha definito “una storia d’amore, la relazione di una donna con un uomo”. Si tratta, però, di una relazione in assenza e di una “storia d’amore” che ha tratti inquietanti e angosciosi: nel modo in cui alcuni istinti corporei4 sono messi in scena, nel modo in cui queste opere esplorano il conflitto fra dipendenza e autodeterminazione5. E tuttavia, a conferma della grande ambiguità di questa serie, è la stessa Rego che, delle donne cane, sottolinea la forza espressiva, il desiderio e la sensualità6.
Se le donne-cane esprimono un aspetto del femminile legato alla concretezza materiale, le Struzze ballerine (1995) mostrano altre facce dell’esperienza delle donne. Libera interpretazione da Fantasia di Disney, le struzze danzatrici con i loro corpi massicci e robusti aspirano ad una leggerezza che non è loro, mettono in scena un paradossale, drammatico contrasto nell’esposizione impietosa e cruda di un desiderio inattingibile, dello scarto fra aspirazioni/aspettative ed effettiva realizzazione. Fondamentale è, ancora una volta, l’esperienza dell’artista: queste opere, infatti, secondo la stessa Rego, non avrebbero potuto essere eseguite se lei fosse stata più giovane poiché per una donna giovane quella esperienza sarebbe stata incomprensibile.
L’osservazione dei modi in cui il femminile si manifesta nel mondo è ancora l’asse centrale di opere come i disegni e le acqueforti sull’aborto (1999), nati da un’urgenza politica: il referendum portoghese, praticamente disertato, per cambiare una legge estremamente restrittiva. All’origine di questa serie c’è, quindi, una necessità politica che, obbligandola a prendere la parola, la porta a nominare e a dare esistenza simbolica ad un’esperienza destinata altrimenti a rimanere muta, come la stessa artista lascia significativamente intendere, omettendo i titoli. Una situazione percepita in termini di costrizione diventa, così, occasione di affermazione di libertà e tanti Senza titolo introducono un nuovo tema iconografico, del tutto anomalo in una produzione artistica prevalentemente segnata, fino al secolo scorso, dall’esperienza e dall’immaginario maschile. Ma l’iconografia dell’aborto voluta da Rego non ha nulla di brutale o “eccessivo”, nulla che faccia distogliere lo sguardo; è sì dura, forte, intensa ma suggerisce più che descrivere.
In contesti estremamente semplificati, l’attenzione è tutta concentrata sulle figure: corpi, come sempre, potenti, massicci e muscolosi, che assorbono e dominano lo spazio. Si tratta di donne che, sia pure nella sofferenza, sono l’unico soggetto dell’azione. L’intento, in sostanza, non è (non solo) denunciare un grave problema sociale, quanto sottolineare, anche in questa condizione estrema, la determinazione soggettiva della donna, il controllo sulle proprie scelte. Paula Rego sceglie due pose differenti ma concettualmente complementari: le figure sono o rannicchiate su se stesse oppure rivolte verso chi guarda ma, in entrambi i casi, l’autrice evidenzia il pieno controllo della donna sull’evento, il suo essere protagonista, mai vittima delle circostanze.
Nella produzione degli ultimi anni l’esplorazione dell’universo femminile si è ulteriormente allargata con la presentazione di diverse età e differenti situazioni di donne. Nella serie Convulsione (2000) Rego mette a tema l’accudimento di una donna anziana, ancora una volta frutto dell’esperienza con la propria madre malata. Ne risultano immagini angosciose, amare, dure in cui si rappresenta impietosamente un rapporto segnato da noia e fastidio, turbamento e desiderio di fuggire (Non mi lasciare), ma anche da una forma di dipendenza che può tradursi in cattura/assorbimento dell’altra: in Nonna, che si richiama ad un’opera poetica di Adilia Lopes, una nonna, baciando la nipotina, ne risucchia la vita. In Convulsione, però, la figura dell’anziana è sì presentata come pericolosa (si aggrappa con forza, da terra, quasi a volerla rovesciare, al piede della poltrona su cui la figlia si contorce a disagio) ma la composizione è più complessa ed ambigua. Altre due figure femminili sono, infatti, presenti: una donna adulta, che assiste alla scena dalla soglia di un vano scuro e una ragazza, riflessa nel grande specchio alle spalle della poltrona, apparentemente estranea allo sviluppo dell’azione drammatica. Dalla scena riflessa manca però la donna anziana, fra lo spazio dell’azione e quello dello specchio non c’è, dunque, relazione fisica e la figura materna ritorna, nello specchio, sotto la forma del fantoccio che la ragazza riflessa tiene stretto al corpo, quasi segno del rincrescimento, del senso di colpa per la relazione negata e temuta con il corpo materno.
E il corpo torna ad essere centrale anche nei disegni a matita –Disprezzo, Implorazione, Desiderio, Imbarazzo (2001)- dove Rego rende i gesti e le espressioni fisiche tramite cui emozioni ed inquietudini interiori divengono visibili ed intelligibili. Il rapporto fra espressione corporea e stati psichici è tema classico dell’arte occidentale. Nelle immagini di Rego, però, psiche e corpo non sono collegati unidirezionalmente ma segnalano il rapporto che lega corpo, linguaggio e desiderio. Un percorso per il quale è risultata essenziale la relazione che lega l’artista alla sua modella, Lila Nunez. E’ da questa relazione, infatti, che deriva la forza e la “verità” del disegno di Rego: è nella relazione con l’altra donna che le immagini trovano misura e concretezza materiale, così che il rapporto fra corpo e stati psichici prende, nel suo lavoro, pieghe più complesse. Ed è per questo che le sue immagini risultano sempre altamente comunicative ed efficaci, profonde ed autentiche.
La produzione più recente ha riguardato anche la presentazione di figure della cultura cristiana: significative, in particolare, le storie della Vergine (2002) per la cappella del palazzo presidenziale di Libona. Qui nella Natività, Rego ha interpretato il tema iconografico della Madonna del Parto enfatizzandone la dimensione fisica e rappresentando Maria in travaglio, appoggiata ad un angelo-donna. Sembra di sentire Luce Irigaray, le sue letture della figura di Maria e degli angeli in Amante marina, Sessi e Genealogie, Tra Oriente e Occidente e, più recentemente, Il mistero di Maria dove, polemizzando con la cultura cristiana per la quale è trascendente solo ciò che è disincarnato, Irigaray mostra tramite Maria che per diventare divini è necessario avere assunto e portato a compimento la propria umanità.
Nel 2010 l’artista è, infine, tornata sul tema dell’infanzia e del rapporto col sacro in Oratorio, un’opera ideata in occasione di una mostra del Foundling Museum di Londra, il museo creato nel 1930 nell’ospizio per l’infanzia abbandonata fondato, nel 1741, dal filantropo Coran. Il lavoro di Rego (qui chiamata ad esporre con Tracy Emin e Mat Collishaw) è una struttura tridimensionale che ripropone la forma degli altarini devozionali presenti nelle case portoghesi e che presenta per la prima volta un’integrazione di dipinti e sculture.
In un linguaggio fortemente espressivo, grottesco, violento le esperienze dello stupro, della nascita e della morte sono narrate in immagini che ricoprono le pareti dell’altarino contro cui l’artista dispone le figure tridimensionali delle ragazze, abbigliate con le uniformi antiche del vecchio ospizio, tutte rappresentate con volti da vecchie. Nell’Oratorio queste figure prendono il posto dei santi e, come in un vero apparato religioso, dolore, sacrificio, piacere e morte si affiancano e si congiungono, ricordandoci esplicitamente la complessità della natura e dell’esistenza umana.
1 Fra le prime opere contro la dittatura militare portoghese: Refezione (1959), Salazar Vomita la Patria (1960), Proverbio Popolare (1961).
2 Per la radice surrealista nell’opera di Rego, si veda l’introduzione di Fiona Bradley, “Narrativa Automatica”, al catalogo Paula Rego pubblicato in occasione della grande mostra retrospettiva alla Tate Gallery e al Centro Culturale di Belem, nel 1997.
3 Dalla serie La Scimmia rossa e altri animali (1981) passando per Aida (1983) e per opere singole come A Familia (1988), fino al ciclo su Biancaneve (1995), il Trittico (Fidanzamento, Lezioni, Naufragio) elaborato sulla base del Matrimonio alla moda di Hogarth (1999).
4 Con l’eccezione del primo, Donna-cane, i pastelli sono intitolati in relazione alle azioni che le donne-cane, da sole o in coppia, compiono o ai ruoli che assumono: abbaiare, dormire, cibarsi, la sposa …
5 Ruth Rosengarten, “Verdare domesticas: o trabalho de Paula Rego”, in Paula Rego cit.
6 “Essere una donna cane non vuol dire essere necessariamente oppressa; ha anzi molto poco a che fare con l’oppressione. In queste opere ogni donna è una donna cane, non oppressa ma potente. Essere animali è positivo. E’ una sensazione fisica. Mangiare, ringhiare, tutte le attività correlate alle sensazioni sono positive. Raffigurare una donna come cane è assolutamente credibile … le donne sono indipendenti nel corpo … nello spirito.” In John Mc Ewen, Paula Rego, Phaidon Press, London, 1992, pag. 216
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