Fin dagli esordi, con Il mondo deve sapere (Milano: Isbn, 2006) Michela Murgia si è da subito caratterizzata per una potente, irridente e sovversiva libertà, sia stilistica – l’uso del blog a partire dal quale ha poi composto il suo “romanzo comico precario” – che politica: la sua personaggia, Camilla, è una donna giovane, sì, precaria certo, ma non per questo subalterna al potere, che esso si palesi sotto forma di uomini come di donne ad esso assoggettate, ed è capace invece di scegliere la propria libertà a vantaggio della signoria su di sé e sulla propria vita. Si tratta di qualcosa che il film di Virzì che al romanzo si è inspirato non ha colto ed è stato un peccato, perché sarebbe stato di vantaggio per tutti poter assistere ad atti coscienti di sottrazione sovversiva all’ordine dato, sia esso quello dell’affarismo economico come quello simbolico patriarcale.
Libertà che si allarga poi ad abbracciare la nascita e la morte, il venire al mondo secondo schemi apparentemente dati e le infinite forme invece di libertà che la relazionalità di donne e uomini si dà, e quando questo non accade si è di fronte a sconfitte del vivere che preludono alla morte: Accabadora (Torino: Einaudi, 2009) è il romanzo che Michela Murgia dedica alla “fill’e anima” ovvero la forma di adozione tra famiglie che ha luogo in Sardegna da tempo immemorabile per dare la possibilità ad una figlia di vivere meglio di quello che può accadere nella propria, ricca di figli ma non di benessere; per dare la possibilità a una donna di crescere una figlia anche se non carnale, perché è nella relazione che si diviene madri e figlie ed è questa la sola, vera ed unica ricchezza. Michela Murgia racconta una storia delicata e potente di libertà femminile: quella di creare le condizioni della nascita, quella di determinare le condizioni per la morte quando essa si configuri come atto di umana pietas. Occorre grande libertà di sguardo per poter raccontare storie così potenti, e grande talento immaginifico: le immagini, i paragoni fulminei di Accabadora si succedono pagina dopo pagina, in modo sorvegliato e al tempo stesso libero di volare “come astore” nel cielo.
Storie che si inscrivono in una tradizione con cui Michela Murgia interloquisce in modo sempre più autorevole e consapevole: quella della Sardegna anche di Grazia Deledda, su cui riflette in Viaggio in Sardegna (Torino: Einaudi, 2008), e il vero e proprio magnificat dedicato alle Altre madri (in Questo terribile intricato mondo, Torino: Einaudi, 2008), altri modi di essere madri e figlie nel passato ma soprattutto nel futuro, inno che rivolge il proprio canto alle donne di tutte le età per invitarle a resistere ma ancora più ad esistere consapevoli di sé e della propria libertà, che sovverte l’ordine delle cose e del creato quando è nelle mani delle donne.
Tradizione è anche essere credente e al tempo stesso donna: Ave Mary (Torino, Einaudi, 2011), scritto da una donna credente, ma forse proprio per questo capace di guardare senza infingimenti negli occhi la chiesa e il suo lungo esercizio di potere sulle donne, ha i caratteri di una notevole e matura capacità, da parte della scrittrice, di misurarsi con generi e stili diversi e di fare della scrittura saggistica un atto di narrazione capace di parlare a donne e uomini tutti. Ci mostra una scrittrice che interloquisce con una lunga storia in modo autorevole e soprattutto libero: sia essa la storia della chiesa o sia quella della Sardegna, terra d’origine scelta quale terra d’elezione, luogo geografico da riattraversare continuamente perché significativo per l’Italia tutta, come dimostra il racconto lungo L’incontro (Torino: Einaudi, 2011). Così come la scrittura di Febbraio, riflessione narrativa sul Presente in un volume a più voci (Torino: Einaudi, 2012) conferma la sua determinazione a pensare la scrittura e le narrazioni come una forma di libertà necessaria a questo difficile presente.
Per questa sua particolare e felice libertà espressiva; per la sua capacità di relazionarsi con la storia di cui fa parte senza che ciò diventi vincolo, ma che invece, nella sua scrittura, diviene pensiero critico; per la sua generosità nell’impegno costante di interlocuzione nel corso di questi anni con la Società Italiana delle Letterate, propongo con piacere Michela Murgia quale Socia Onoraria della SIL.
Laura Fortini
Roma, 7 aprile 2013
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