A scuola di utopie

PASSAPAROLA:
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Si è tenuta l’ultima settimana di giugno la scuola estiva dedicata a “Soggetti e oggetti dell’utopia: archivi dei sentimenti e culture pubbliche”, organizzata dalla Rete toscana SIL, dal Giardino dei Ciliegi in intesa con l’Università di Firenze ed il contributo del Consiglio regionale della Toscana, dall’Ass. Centro Donna Evelina De Magistris con il patrocinio della Provincia e del Comune di Livorno, dall’Ass. Casa della donna di Pisa, dall’Ass. Open di Carrara, e con il patrocinio dell’Università di Sassari.

La scuola si è svolta a Livorno, presso Villa Alma Pace, abitazione affacciata sul mare, che ha offerto un incantevole scenario alle corpose riflessioni su utopie, resistenza, visionarietà, pratiche politiche, cambiamenti, desideri.

Già dal sabato pomeriggio le lezioni hanno preso avvio guidate da tre affezionate docenti, ritornate spesso alla scuola nella dozzina di anni in cui si è svolta: Paola Bora, Paola Zaccaria, Giovanna Covi. Le loro relazioni hanno situato il punto di vista della scuola: un posizionamento femminista, postcoloniale, utopico, politicamente critico.                                                   Paola Bora ci ha ricordato “perché non siamo mai stati modern*” attraverso un percorso da Cartesio a Donna Haraway, passando per Rousseau, Latour, Levi-Strauss. Bisogna disinventare la realtà creata dalla visione scientifica moderna con il soggetto centrale e padrone rispetto al mondo, bisogna guardare le cose altrimenti attraverso una serie di oggetti mediatori, come il cyborg, che aumentano la nostra capacità di vedere, prefigurando un mondo diverso ed aumentando la nostra potenza di agire.

Paola Zaccaria ha destrutturato con noi le “scritturazioni laceranti e rapinatrici dell’archivio cartografico colonialista” ed ha proposto “mappe alterNative” contenenti il desiderio di trasformazione del mondo attraverso l’immaginario diasporico e deteritorrilizzato di due autrici: Dionne Brand e la porta del non ritorno delle persone africane schiavizzate;

Jaune Quick–to–See Smith e le sue opere in cui i confini dei territori sgocciolano, si mescolano, si muovono. Mappe di un altro modo di stare al mondo, mappe dell’utopia come direzione della libertà possibile.

Giovanna Covi ha sottolineato l’importanza di tornare alle pratiche ed ai saperi dei femminismi degli anni Settanta ed Ottanta, fondamentali nel creare dissenso, opposizione, creatività. L’utopia da raggiungere è per lei quella della fine della violenza patriarcale e sessista. Un modello è quello delle famiglie “monelle” afroamericane, segnate della schiavitù e del regime razzista, famiglie rotte, spezzate, non funzionanti per motivi storico-sociali. Eppure spesso quelle famiglie erano condotte da donne che non stavano al loro posto, monelle che dal niente riuscivano a fare miracoli, a resistere potentemente a quel devastante sistema di dominio. Le teoriche militanti citate da Covi -Adrienne Rich, Audre Lorde, Liana Borghi, Alice Walker, Toni Morrison, Rosi Braidotti, Jamaica Kincaid- trovano eco nel percorso personale presentato da Valentina Musmeci che grazie all’arte, (www.falenablu.it) scavando nel suo archivio dei sentimenti e liberandosi da regole, imposizioni ed aspettative, ha ritrovato la sua utopia.

Giovanna Covi insiste sulla necessità di declinare l’amore in modo politico, di lavorare sui legami affettivi al fine di liberarli da tutta la violenza sommersa. Sembrano rispondere a questa sollecitazione alcuni interventi dei giorni successivi. A partire da quello di Alessia Acquistapace che ha riportato le riflessioni del Laboratorio Smaschieramenti sull’intimità e la cura oltre le relazioni di coppia. Alessia ha denunciato i limiti, le costrizioni ed i vantaggi di quella che chiama “coppia obbligatoria”, il cui peso nella società è maggiore della persona singola. Partendo dalla lettura del Manifesto degli amori queer di Coral Herrera Gomez, visione utopica dell’amore che rompe con le norme etero ed omonormative, si è discusso delle altre forme di relazioni di affetto che comportano una radicale intimità dei corpi. Alessia vuole decostruire l’amore romantico, l’immaginario e le retoriche familiste che influenzano profondamente le nostre vite. Durante la scuola ci si è inoltre interrogat* sulla questione della cura e della responsabilità. Sulla necessità in tempo di crisi di creare relazioni in grado di sostenere anche materialmente le nostre vite. Renato Busarello ha sottolineato di fronte all’immaginario gay familista che si sta creando, la necessità di indagare questa costruzione di amore romantico non etero, facendo tesoro della decennale riflessione femminista riguardante affetti e produzione/riproduzione, partendo dal dibattito sul salario al lavoro domestico fino alla richiesta del reddito per l’autodeterminazione, che, da soli, non fanno uscire dalle dinamiche di potere insite nelle relazioni ma che possono essere un valido supporto economico in tempi di crisi.

Il secondo giorno di scuola si è aperto con le interferenze materiche di Elena Bougleux che ci ha condotte nei laboratori scientifici, mostrando l’artificialità di questi dispositivi deputati a produrre verità. Abbiamo sperimentato l’importanza del saper situato: visto che l’osservatore è colui che fa accadere le cose, è fondamentale rivelare il contesto di chi osserva in modo apparentemente neutro. Elena ci ha parlato degli esperimenti di inizio Novecento dove la materia risponde alle sollecitazioni esterne con risposte contraddittorie, per cui possono essere vere due cose opposte contemporaneamente. Bougleux ha focalizzato sulla diffrazione che è una deviazione causata da un ostacolo che si pone sul percorso delle onde e crea una piega diversa sul futuro. La diffrazione crea un’apertura non reversibile, si ottiene una diaspora delle figure originali, ciò che si è scomposto non si può ricomporre.

Liana Borghi ha rivisitato la figura della diffrazione, già discussa da Donna Haraway anni fa, in termini di neomaterialismo femminista. E’ possibile usare la diffrazione come dispositivo per fare utopia, riflettendo sul “groviglio di scambi intra-relazionali fra umano e non-umano, sulla diffrazione delle temporalità e l’entanglement di qui e là, ora e allora”. Liana ci ha parlato delle scrittrici di utopie fantascientifiche come Ursula Le Guin, autrici che intrecciano intimamente metafore scientifiche e fenomeni sociali. Chi cerca di modificare la visione, costruisce le basi della sua utopia. Haraway vede la diffrazione come una pratica erotica per fare una differenza nel mondo invece di riprodurre altrove il medesimo. Karen Barad vede nella pratica della diffrazione un modo per fare differenza, la ricerca di un modo di stare al mondo che cambia il mondo. Non si tratta di una proiezione fantascientifica sul nostro presente, sottolinea Liana, quanto di un modo per “capire meglio la complessità delle storie eterogenee che producono i nostri corpi, e anche  magari di un modo per rifigurare il mondo”.

Diverse figurazioni fantascientifiche ci hanno per questo accompagnate durante la settimana livornese: dal Frankenstein di Mary Shelley, riletto da Kiki Franceschi come primo libro di cibernetica, alle trasformazioni della produzione fantascientifica femminista proposte da Rossella Carbotti, attraverso le opere di Katherine Forrest, ed i suoi mondi popolati solo da donne, e le diffrazioni mutanti di Nicola Griffith, autrice critica dei mondi di donne sagge e perfette, e creatrice nel libro Ammonite di un paradigma di metamorfosi queer che trova compimento nella dimensione collettiva.

Altro nodo centrale trattato alla scuola è stata la rappresentazione. Linda Bertelli ci ha parlato del rapporto tra rappresentazione ed oggetto rappresentato. La fotografia fu vissuta come prova dell’oggettività degli eventi, come prova di evidenza sia scientifica che giuridica. La fotografia ha avuto una connessione strettissima con la rappresentazione dei corpi viventi. C’è stata una coincidenza storica tra la nascita delle scienze sperimentali e le tecniche di misurazione e disciplinamento dei corpi, tra la sorveglianza medica e quella sociale: valga per tutti la figurazione dell’isterica. Il disciplinamento dei corpi è connesso a pratiche di potere. Ci si è interrogate a lungo sulla necessità di creare immaginari alternativi, raffigurazioni che fungano da antivirus contro il presunto statuto di verità costruito attorno alle immagini.

A proposito di centralità dei corpi Rachele Borghi ha narrato la sua esperienza dentro l’utopia postpornografia. Si tratta anche qui di creare contronarrazioni sulla verità dei corpi, sulla sessualità al di fuori di impostazioni binarie e rigide. La galassia postpornografica critica il sistema capitalista e patriarcale, la medicalizzazione dei corpi, usa tecnologie e protesi, pratica la riappropriazione di desideri in modo pubblico e politico. Attraverso l’uso dell’ironia e del linguaggio performativo chi abita il postporno rovescia le prospettive, bombarda le norme, crea spazi di utopia dove i corpi liberano potentemente la loro euforia.

Il tema della rappresentazione è stato il filo conduttore della scuola che ogni giorno ha ospitato un’artista o una scrittrice, presente dal vivo oppure reinterpretata dalle docenti.

Abbiamo così incontrato Uta Treder accompagnata da Jelena Reinhardt, Gabriella Kuruvilla affiancata da Clotilde Barbarulli e dalla sottoscritta, scrittrici che hanno raccontato della loro produzione letteraria, in alcuni tratti legata al tema utopico, ed Elvira Mujčić che si è soffermata sul tema della lingua e del suo potere visceralmente evocativo. Centrando l’analisi sulla lingua Gertrud Schneider ci ha raccontato Christa Wolf, a modo suo veggente come Cassandra, che trova un luogo per esprimersi nell’utopia della scrittura dove si crea uno spazio per lei.

Tra le artiste abbiamo incontrato, tramite Marta Capuano, Niki de Saint Phalle e le sue architetture corporee; la fotografa Gerda Taro proposta da Letizia Del Bubba come esempio di forte impegno politico, la cui utopia prevedeva un mondo di libertà e giustizia dove lei come donna potesse svolgere la professione della reporter. Clotilde Barbarulli ci ha parlato di Tina Modotti, le cui fotografie creavano una rottura denunciando ingiustizie ed invitando alla ribellione, sottolineando il “sogno di una cosa” di marxiana e pasoliniana memoria, l’utopia che apre la politica all’impossibile.

L’ultimo giorno si è parlato di strategie possibili di cambiamento, della necessità di creare reti. Renato Busarello si è chiesto cosa ce ne facciamo della diffrazione nelle nostre identità quando il capitalismo neoliberista sussume e valorizza le diversità. Visto che è in gioco la riproduzione materiale delle nostre vite dobbiamo ripoliticizzare gli ambiti che abitiamo attraverso la materialità dei concatenamenti, “i divenire altro che si aprono, la contingenza mobile dell’intersezione degli assi di classe, razza, sessualità.”

Bia Sarasini sottolinea che resistere non basta davanti alla controrivoluzione che dagli anni Ottanta ha svalorizzato le soggettività ed intaccato diritti e conquiste. Riprendendo la sollecitazione di Judith Butler, se sia possibile vivere una buona vita nel contesto delle disuguaglianze del sistema neoliberista, Bia pone l’attenzione sul senso di comunanza oggi. Ci chiede se siamo in grado di immaginare forme attive di lotta che nascono dalla forza del comune.

La figurazione potente che mi porto a casa dalla scuola, è quella della guerriera di Angela Putino reinterpretata per noi da Paola Meneganti. La funzione guerriera dell’utopia apre conflitto qui ed ora, individua coordinate e mappe di un mondo altro, raccoglie i frammenti di inaddomesticato, di ciò che non è addomesticabile dal dominio. E’ possibile esprimere una forza che agisce sul reale, lo cambia attraverso punti di resistenza in divenire dove ci si espone, si dice la verità su sé in maniera radicale provocando trasformazione. Attraverso i conflitti si può avverare l’impossibile di un’utopia guerriera.

 

Scuola estiva Soggetti e oggetti dell’utopia: archivi dei sentimenti e culture pubbliche 

Resoconto di Barbara Romagnoli su Giulia

Smaschieramenti

Coral Herrera Gomez, Manifesto degli amori queer, originale spagnolo tradotto da Silvia Corti aka Slavina

Intervento di Uta Treder alla scuola

 

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