Cinema 1/ Impressioni da Venezia

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Sarà stata la predilezione per quelli che un noto critico ha definito “film–museo” (più da video-arte che da rapporto felice con il pubblico)  o l’eccesso di violenza narrata e squadernata, ma il Festival di Venezia quest’anno non era esattamente nelle mie corde. Comunque degli otto film che ho visto, ne salverei quattro o cinque. Per l’esattezza quello che mi è piaciuto di più è stato un documentario, non tanto il “Sacro GRA” di Gianfranco Rosi vincitore del Leone d’oro (che confesso non ho visto perché non mi attirava particolarmente) quanto The unknown known di Errol Morris. L’enigmatico titolo (il “noto ignoto” sarebbe ciò che pensiamo di conoscere ma scopriamo di non conoscere davvero) è un avvincente ritratto dell’ex segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld sottoposto a un fuoco di fila di domande alternate, con un montaggio perfetto, alla lettura di alcuni degli oltre ventimila “fiocchi di neve”, ovvero gli appunti presi dall’inossidabile consigliere di 4 presidenti, uno degli architetti della disastrosa guerra in Iraq. Rumsfeld sembra uno showman collaudato: non retrocede di un passo e conserva la sua maschera imperturbabile anche di fronte alle domande incalzanti sulle presunte armi di distruzione di massa e sulle torture di Abu Ghraib, svelando una visione del mondo imperativa in cui la vera pace può venire solo dalla forza militare.

Forse al secondo posto, per simpatia, metterei La prima neve di Andrea Segre, presentato nella sezione Orizzonti. Dopo il bellissimo Io sono Li, il giovane regista veneto affronta ancora il tema dell’integrazione (per una volta riuscita) di un ragazzo del Togo, passato attraverso la guerra di Libia e arrivato con la figlia di pochi mesi in una piccola comunità friulana. I fantastici colori autunnali della Val dei Mocheni sono lo sfondo per una storia a tratti emozionante di un  padre che non riesce ad esserlo, appunto l’africano Dani (Jean-Christophe Folly), e di un adolescente (lo straordinario Matteo Marchel) che non accetta la perdita del padre, incolpandone in qualche modo la mamma (Anita Caprioli).

Cambiando totalmente registro, ho trovato affascinante, anche per il suo sapore da Nouvelle Vague, La Jalousie di Philippe Garrel, regista francese di culto che mette in scena una storia in parte autobiografica. Affidando al figlio Louis la parte di suo padre, artista squattrinato che abbandona la moglie e la figlia (che adombra lo stesso regista da piccolo) . Ma anche l’amore apparentemente “definitivo” per la nuova compagna (Anna Mouglalis) si rivela un sentimento inaffidabile e  inafferrabile perché, come ha detto il regista, “nessuno è colpevole ma tutti feriscono tutti”. Una visione malinconica dove l’infedeltà è inscindibile dalle relazioni d’amore e le donne si rivelano quanto mai inquiete e ambiziose (ci sarà un po’ di misoginia?).

Da una Parigi in bianco e nero a una coloratissima scena palermitana: il primo film della nota regista teatrale Emma Dante, Via Castellana Bandiera, rappresenta un duello simbolico tra due donne caparbiamente abbarbicate alle proprie ragioni. In uno stretto vicolo si consuma la sfida: né Rosa (la stessa Emma Dante), né l’anziana Samira (Elena Cotta, premiata con la coppa Volpi per l’espressività dello sguardo, visto che non dice una parola!)  vogliono fare retromarcia. Sono due irriducibili temprate da un dolore che le potrebbe avvicinare: Samira ha perso una figlia, Rosa ha un rapporto difficile con la madre e con l’amata compagna Clara (Alba Rohrwacher). Ma la tragedia incombe mentre il vicolo metaforicamente si allarga abbracciando tutta l’umanità del rione, cinica e rissosa. Un film riuscito a metà con ridondanze inutili, ad esempio l’interminabile processione finale.

La confezione è impeccabile ma il livello di tensione quasi insostenibile in Tom à la ferme del franco-canadese Xavier Dolan, classe 1989, enfant prodige con alle spalle già 3 lungometraggi proiettati a Cannes.  Tom (lo stesso Dolan) arriva in una fattoria isolata nelle sconfinate pianure del Quebec per il funerale del suo compagno Guillame. Trova un ambiente ostile con il fratello maggiore del suo ex che gli impone il silenzio sulla sua omosessualità per non turbare la madre. Un noir claustrofobico che colpisce per la sessualità assimilata alla violenza e per la fascinazione che questa esercita sul protagonista, impedendogli la fuga.

Una boccata di ossigeno (e risate) è questo punto gradita:  il premiato Zoran, il mio nipote scemo del friulano Matteo Oleotto ha come protagonista lo scorbutico Paolo (Giuseppe Battiston) , che conduce una vita ad alta gradazione alcolica in un paese vicino a Gorizia, sottoponendo l’ex moglie a un innocuo stalking. A mutarne il destino sarà il nipote (Rok Presnikar) un sedicenne cresciuto sulle montagne slovene che parla un italiano forbito, appreso dai due unici libri letti, che ricorda un po’ l’eloquio di Bruno Ganz in “Pane e tulipani”. E soprattutto è un mago delle freccette.

Torniamo al genere noir con Kill your Darling (Giovani ribelli), opera prima di John Krokidas con Daniel Radcliff,  ex maghetto Harry Potter inseguito dalle fan, che se la cava discretamente nella parte di Allen Ginsberg. Le intemperanze giovanili e il vitalismo anticonformista si consumano sullo sfondo di un triangolo omosessuale con al centro Lucien Carr, poeta mediocre ma di stordente ed efebica bellezza, senza dimenticare i comprimari Jack Kerouc e William Burroughs.

Infine, vera promessa mancata Je m’appelle Hmmm di Agnès B., che parte dal silenzioso dramma, descritto con poche toccanti scene,  di Cecile (Lou-Léila Demerliac), dodicenne abusata dal padre,  per poi trasformarsi in una sorta di surreale road movie. Sarà l’amicizia con il quarantenne camionista scozzese Peter (Douglas Gordon), un uomo “senza futuro”, a restituire a Cecile la leggerezza, la fiducia e il senso dell’avventura. Peccato che il film mescoli fumetti e danzatori giapponesi in uno strano ibrido che non ci risparmia nemmeno la comparsa di Toni Negri nelle vesti di filosofo vagabondo che dice cose imperdibili come “lasciatemi parlare in italiano, la lingua della gioia”.

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