È uno stato di grazia quello che consente a volte di riunire le nostre molteplici vite e di farne una in un racconto che, non importa se solo per i nostri occhi o per una platea più larga, restituisca il senso del nostro esistere, come succede in Questo trenino a molla che si chiama cuore, il nuovo libro di Loredana Lipperini. Una tripartizione apparentemente aiuta a inquadrare lo snodo tra storia personale e storia locale, attraverso i tre capitoli dedicati rispettivamente alla Val di Chienti (posta sul confine tra Marche e Umbria e minacciata da uno svincolo autostradale è il luogo d’infanzia della saggista e conduttrice radiofonica di radiotre); alla distruzione del terremoto del 1997; e alla vicenda dell’eteronimo Lara Manni, col quale Loredana ha firmato, dal 2009 al 2012 un ciclo di tre romanzi fantasy, Esbat; Sopdet. La stella della morte; e Tanit. La bambina nera.
Dico apparentemente perché invece la scrittura di Loredana lavora sulla compresenza, legge la geografia della Val di Chienti attraverso la cronaca locale dall’antichità a oggi e rintraccia i miti che su quella cronaca hanno lavorato producendo racconti e fantasie, facendosi guidare in questo andare su e giù dagli affetti che da quei luoghi hanno avuto origine e che hanno abbracciato la sua vita. Sembra una spoon river quella che ci viene disegnata davanti agli occhi, dove i luoghi sono come persone amate di cui si ricostruisce la storia e il senso con pochi tratti di penna. Ma su quel trenino Loredana riesce a farci salire tutti perché la Val di Chienti risveglia a sua volta i paesaggi della nostra infanzia; le pagine si leggono con un groppo alla gola perché ogni parola rievoca un nostro ricordo, è la nostra storia, la storia di noi e dei paesaggi che abbiamo abitato, terre che ci hanno insegnato la bellezza, tanta al punto che esiste ancora e ancora si percepisce nonostante tutto lo scempio perpetrato in questi decenni e che Lipperini ci narra attraverso la storia esemplare e sciagurata degli appalti relativi all’ampliamento della statale 77 che collega Foligno a Civitanova Marche e al progetto conosciuto col nome di Quadrilatero. “La Valle si è consumata sul desiderio di una strada veloce” scrive Loredana, e si potrebbe dirlo dell’Italia dal dopoguerra in qua.
Corre Loredana, corre su e giù per le strade della sua valle, incrociando cronaca e storia, paesaggio e amicizie, facendoci assistere alla lenta trasformazione di contrade e persone, finché il terremoto non arriva a spazzare via tutto rimescolando le carte di uno sviluppo intravisto da lontano mentre passa veloce sugli svincoli autostradali che tagliano la valle. “Raccontare il dopo terremoto di Serravalle – dice Loredana – significa non dimenticare e non far dimenticare che ogni terremoto è una tragedia e una ribalta, e avere una ribalta significa, potenzialmente, non essere dimenticati. Eppure i terremoti vengono dimenticati, basti pensare all’Aquila”. Non dimenticare come erano i luoghi prima delle distruzioni per trovare un filo di continuità in grado di re-innervare il presente era stato anche il senso per la SIL del suo andare a tenere il convegno nazionale del novembre 2013 appunto a L’Aquila, un convegno intitolato Terra e parole. Donne riscrivono paesaggi violati, e anche lì il trenino di Loredana Lipperini avrebbe trovato parecchie viaggiatrici.
La Val di Chienti per Loredana non è solo la terra dell’infanzia, è anche quella dove pensa di ritornare a leggere e scrivere e dove ricomincia il desiderio di scrivere romanzi. È nel paesino di Muccia che si apre nel 2005 per Loredana l’amicizia con Chiara Palazzolo: “Oddio finalmente un’italiana che sa scrivere fantastico”; e inizia la comune impresa di dar vita a un gotico in grado di raccontare anche le zone oscure del presente. Firmando Lara Manni (ma “il gioco dei nomi non ti lascia com’eri prima”) per essere libera di inventarsi una scrittura che si offrisse ai lettori senza ipoteche. Lara e Chiara. Molto distanti le storie che narravano, da una parte mostri, manga e il desiderio come molla che muove l’universo, dall’altra una trilogia che racconta la morte, il risveglio e la lotta per la libertà di una giovane vampira. Comune la necessità per le due protagoniste Ivy e Mirta/Luna di orientare autonomamente la propria vita. Comune per le due scrittrici la necessità di pensare il gotico come un confine sul quale si mischia “la vita tangibile e quella fantastica fatta di magie e miracoli, come una montagna si specchia nel lago”. Ne avevo scritto in “Amori infernali” del 2011 non conoscendo ancora il legame tra le due scrittrici che si collegavano però nella mia testa come le due diverse piste del fantastico, il mostruoso e il soprannaturale, Frankenstein e il Vampiro, insomma due scrittrici italiane sulla scia di Mary Shelley e John William Polidori. Poi la morte di Chiara Palazzolo che segna anche il destino di Lara e lascia Loredana come una delle “due gemelle siamesi che infine vengono divise. Una resta, l’altra muore”.
L’ultima parte del volume è un tornare ai propri paesaggi, come dice Loredana, con amore e constatare quello che resta. Il ricordo del padre, la paura di Chiara, la risata augurale di Lara nel riconoscersi e tendere la mano. “Qui, dunque, è il mio luogo di confine, che come ogni confine muta e si sposta, l’infanzia che è la prima curva, a salire la giovinezza, e la maturità e infine la vecchiaia che riprende la curva dell’inizio per concludere l’otto”, che è il simbolo dell’infinito.
Il momento di grazia è quando ci arrendiamo alla morte. “..non tornerà la Valle che conoscevo. Così come non tornerà nessuno dalla morte” ammette Loredana. Le storie si raccontano per addomesticare la morte. Poi, in quel lungo o piccolo intervallo che apre all’altra curva dell’otto ci viene concessa un’ultima trasformazione, quella finale, che preclude all’immagine (la forma definitiva di cui parla Hillmann) che porteremo con noi, di noi stessi. È lì il momento di grazia in cui abbiamo la possibilità di diventare noi, di ricongiungere le nostre molte vite e individuare il senso della gimkana che è stata e sarà ancora la nostra vita. È proprio in quell’intervallo che apre all’altra curva dell’otto che aspetteremo Loredana/Lara perché continui a narrare.
Loredana Lipperini, Questo trenino a molla che si chiama cuore, Laterza Roma 2014, 166 pagine, 12 euro
PUOI SEGUIRE LA SIL SU:PASSAPAROLA: