Assia Djebar, o delle molte voci delle donne algerine

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Non scrivo sulla fruttuosa e molto coraggiosa vita di Assia Djebar – autrice di romanzi e saggi bellissimi, cineasta e docente di letteratura, militante per la libertà in Algeria, in Francia, negli Stati Uniti e dovunque si sia trovata nel suo nomadismo culturale ed esistenziale –, perché su tutti gli organi di stampa e di informazione, anche in Italia, si è dato conto della sua recentissima morte (lo scorso 6 febbraio a Parigi, dopo una lunga malattia), della sua notevole carriera intellettuale e della prossima sepoltura in patria nella città costiera di Cherchell, non lontana da Algeri.1

Scrivo invece del perché sia fondamentale leggere e rileggere ancora oggi le opere di Assia Djebar, per godere della sua raffinata scrittura e per apprezzare il suo punto di vista libertario e femminista, sapiente e anticonformista sulle esperienze delle donne e degli uomini che hanno intrecciato la loro vita con la storia, la dottrina e la politica dell’Islam nel presente e nel passato.

Nel 1988 la pubblicai per prima in Italia nella collana Astrea (Giunti) e i racconti di Donne d’Algeri nei loro appartamenti,2 uno splendido coro di voci delle donne algerine lungo l’arco di cent’anni fra fine Ottocento e anni Sessanta del Novecento – o come lei stessa lo definì, “un percorso dedicato all’ascolto (…) da un arabo femminile, come a dire da un arabo sotterraneo” in cui la scrittrice si poneva come una rabdomante “per le parole del corpo velato” – la imposero come la più creativa e complessa tra le scrittrici francofone dell’area nord-africana.

Quando la conobbi, poco tempo dopo, mi affascinò la mescolanza di bellezza e intelligenza, eleganza e consapevolezza autoriale che emanava. E i riconoscimenti che le sono sempre stati tributati da ogni parte a livello internazionale non mancarono di arrivare anche dal pubblico e dalla critica italiani, anche grazie all’opera di traduzione e cura editoriale di studiose come Isabella Camera d’Afflitto, Claudia Maria Tresso, Toni Maraini, Elisabetta Bartuli, Maria Nadotti – che seguì in modo particolare anche la decima edizione di “Dedica” svoltasi nel 2004 a Pordenone: un omaggio alla sua multiforme carriera di autrice di romanzi, saggi, poesie, regista e sceneggiatrice di cinema e teatro, docente di letteratura, studiosa delle dottrine e della storia islamica. In quell’occasione venne anche messa in scena la versione italiana del suo dramma musicale Figlie di Ismaele nel vento e nella tempesta.3

Assia rifuggiva ogni stereotipo, che fosse applicato alle donne nei paesi islamici o attribuito alle donne cosiddette occidentali: il suo scandaglio letterario e il suo sguardo acuto – non per caso fu anche regista4 – si calavano nelle pieghe più intime del corpo e della mente femminili, ma sapevano anche tracciare il percorso di una comprensione storica e culturale degli ambienti in cui le donne, e i loro uomini, abitavano mondi sempre a cavallo fra tradizione e trasformazione, fra adesione e rivolta, guerra e pace.

La fierezza ha molti volti: nei suoi romanzi e racconti sono volti velati come volti scoperti; le sue personagge sono rappresentate in una gamma amplissima di atteggiamenti e sentimenti: solidali, ribelli, dolenti, consapevoli, solitarie, immerse in reti familiari quasi inestricabili, aspre, tenere, pazienti, disperate, sfuggono a ogni semplicistica rappresentazione, che sia politicamente corretta o paternalisticamente pietosa.

Sono donne che abitano “nel cuore della notte algerina”, come abbiamo scelto di titolare nel 1998 in Italia una raccolta che in originale lei aveva chiamato Oran, langue morte (1997) – la riflessione sulla lingua e sulla propria tripla appartenenza linguistica, berbero-arabo-francese, è contenuta in pagine davvero magistrali in molti suoi libri, tra i quali spicca Queste voci che mi assediano. Scrivere nella lingua dell’Altro.5

Nel cuore della notte algerina6 è un libro ispirato dai terribili decenni fra Settanta e Ottanta del secolo scorso, in cui l’Algeria viene letteralmente dilaniata dal conflitto fra forze governative, formazioni islamiste e opposizione laica, mentre il perverso avvicendarsi di repressione militare e poliziesca, contestazione politica, rivolte e atti di terrorismo spingono il Paese in un precipizio interminabile di violenza e paura.

A tutto questo, Djebar decide di rispondere facendosi “novella Shahrazad dei giorni neri come l’inchiostro“ per raccontare le nuove donne d’Algeria in costante pericolo di essere uccise, mutilate, messe a tacere, costrette all’esilio o colpite negli affetti, ma decise a resistere e a parlare “tra una tappa e l’altra, sotto un riparo dove si possa prendere fiato e ricordare. Tappe non della fuga, no: piuttosto della mobilità. Dialoghi scambiati fra algerine di qui e di laggiù (…) Di speranza, talvolta, in questa lunghissima notte”.

E lo fa come sempre, partendo da dati reali per trasfonderli sulla pagina senza depotenziarli, al contrario rafforzandone la carica eversiva e simbolica attraverso l’invenzione letteraria, fondata sulla traccia ambigua ma pur sempre concreta della Storia, e sulla ricchezza del patrimonio culturale che l’oscurantismo tenta di annerire e soffocare.

Dalla storia vera di una insegnante uccisa da ragazzi terroristi soltanto perché insegnava francese a scuola, Assia trae uno dei suoi più grandi racconti, “La donna fatta a pezzi”, dove una giovane professoressa che insieme ai suoi studenti legge e interpreta un racconto delle Mille e una notte viene decapitata da un commando islamista di fronte ai ragazzi. Ma la sua testa, spiccata dal corpo e posta con gesto macabro sulla cattedra, continua a parlare per tentar di concludere la lezione, sebbene cominci “a perdere fiato, come se le parole, soffocate dal sangue che inizia a colare, a scorrere sul legno del tavolo, vi si annegassero dentro.”

Nel suo discorso per l’insediamento all’Accademia di Francia, pronunciato nel giugno 2006, lei – fra le pochissime donne elette e prima fra gli autori algerini a venire accolta fra gli “Immortali” della massima istituzione che difende e celebra la grandezza della lingua e della letteratura dei colonizzatori –, rendeva omaggio proprio a quegli intellettuali, donne e uomini algerini uccisi o perseguitati soltanto per aver scritto e insegnato in lingua francese, e citava la denuncia del colonialismo pronunciata da Aimé Césaire, colonialismo che tra le altre sue colpe aveva “resa inci­vile e sel­vag­gia l’Europa”.

Come non ripensare a tutto questo, nel clima sociale e politico sempre più teso in cui viviamo in Europa, in Medioriente e in Africa?

Assia Djebar va letta e riletta, oggi, anche per comprendere e studiare la storia, nonché il pensiero laico e religioso, dei paesi islamici: la nostra ignoranza di europei nei confronti di popoli a noi vicini o di coloro che ormai da tempo vivono tra di noi, è quasi abissale, e pericolosa.

Ma per avvicinarli da un punto di vista non dogmatico, consiglio la lettura di una delle più originali e complesse opere di questa scrittrice, Lontano da Medina. Figlie d’Ismaele7. Un romanzo storico che è anche un insieme di racconti, di visioni, un intreccio fra fonti storiche e invenzione che muove dal momento della morte del Profeta Muhammad per raccontare le scelte, i gesti, le passioni e i pensieri delle molte donne intorno a lui, “sottomesse a Dio e ferocemente ribelli”.

Epica e lirica amorosa, parola sacra e cronaca, cori anonimi e discorsi quotidiani vengono mescolati con la sapienza di una scrittrice che ha saputo attingere all’oralità e al canto femminili per toccare vertici di stile.

Possiamo chiederci ancora una volta perché non abbia mai ricevuto il Nobel, sebbene più volte candidata: ma se il Nobel ha anche la funzione di (ri)portare sotto i riflettori dei media e del mondo editoriale gli scrittori meritevoli, possiamo nel nostro piccolo rendere omaggio ad Assia Djebar – come molte giornaliste, critiche e studiose italiane e straniere hanno fatto e stanno facendo in questi giorni successivi alla sua morte – e annoverare i suoi libri fra i più preziosi, da riprendere e diffondere.

1 Segnalo qui soltanto alcuni dei molti articoli comparsi per annunciare la sua morte, e aggiungo alcuni altri articoli e interviste a lei dedicati in passato, senza citare la ricca produzione di saggi critici italiani e stranieri a lei dedicati e facilmente reperibili in Rete: Giuliana Sgrena, Assia Djebar, una voce per le donne, Il Manifesto 11 febbraio 2015; Cristina Taglietti, Assia Djebar oltre l’Algeria: il mestiere di essere donna, Corriere della Sera, 8 febbraio 2015; Francesca Paci, Assia Djebar, la rivincita delle donne arabo-musulmane, La Stampa, 8 febbraio 2015; Anna Albertano, Donna d’Algeri. Incontro con Assia Djebar, Linea d’ombra n. 87, novembre 1993; Andare ancora al cuore delle ferite: Renate Siebert intervista Assia Djebar, La Tartaruga, 1997; Monica Capuani, Intervista a Assia Djebar, DWF, 3 (47), 2000; Barbara Bonomi Romagnoli, Le straniere di Algeri, intervista a Assia Djebar, Carta no.12, 2004.

2   Assia Djebar, Donne d’Algeri nei loro appartamenti, trad. Gianfrancesco Turano, introd. Isabella Camera d’Afflitto, Giunti 1988.

3 Assia Djebar, Figlie di Ismaele nel vento e nella tempesta, trad. e cura di Maria Nadotti, Giunti 2001, spettacolo prodotto dal Teatro di Roma.

4 Djebar ha scritto e realizzato due lungometraggi: La Nouba des femmes du mont Chenoua (1978), che nel 1979 vinse Premio internazionale delle arti alla Biennale del Cinema di Venezia, e La Zerda ou le chant de l’oubli (1982).

5 Assia Djebar, Queste voci che mi assediano. Scrivere nella lingua dell’Altro, trad. di Roberto Salvadori, Il Saggiatore 2004.

6 Assia Djebar, Nel cuore della notte algerina, trad. di Claudia Maria Tresso e Marco Rivalta, note e cronologia di Claudia Maria Tresso, Giunti 1998.

7 Assia Djebar, Lontano da Medina. Figlie d’Ismaele, trad. Claudia Maria Tresso, Giunti 1993.

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