Uscite a stampa nel 1985, dopo la morte di Carla Lonzi (1982), a cura della sorella Marta e di Anna Jaquinta, il libro si apre con una singolare dichiarazione della stessa Marta: “E’ stato un pensiero costante di Carla Lonzi voler dare alle stampe la presente raccolta di poesie che risalgono all’età fra i 27 e i 32 anni e che lei ha definito con il titolo: Scacco ragionato”. Le poesie, come si legge in un appunto rinvenuto tra le carte di Carla Lonzi, in vista di una presentazione: “sono semplicemente scaturite dalla sensazione di concomitanza tra uno strumento giusto e un’operazione giusta”. Da più fonti sappiamo che Carla Lonzi considerava queste poesie come un punto fermo della sua ricerca esistenziale e culturale, una sua personale battaglia di rigore e autenticità sul piano delle relazioni private e pubbliche, consapevole di essere una sorta di avanguardia nel movimento delle donne. Proprio nel suo massimo lavoro, Taci, anzi parla dice: “l’esperienza culminata nelle poesie, seppure nota a me sola, mi forniva l’unica bussola a cui riferirmi”(14 agosto 1972).
Allora perché non le pubblica, tenendole come traccia personale di analisi e orientamento nel mondo, fonte da cui trarre sostentamento, finché, arrivata al femminismo e alla lotta politica con le donne di Rivolta Femminile, lascia del tutto la scrittura di poesia?
In realtà, ci fornisce lei stessa una risposta, sempre nella stessa registrazione del 14 agosto: “Appena iniziato il femminismo ho scritto Sputiamo su Hegel per tanti motivi, ma anche per ripulire uno spazio in cui sentivo che tutte noi avremmo dovuto crescere”. E’ approdata a una nuova rotta politica in cui sa di poter dare una impronta decisiva, determinante, anche per tutto il movimento delle donne a venire.
Ancora il giorno dopo (15 agosto) scrive: “Il linguaggio delle mie poesie mi commuove non meno del contenuto delle poesie stesse. La nascita di una donna «diversa» non è la nascita di Venere, non è un trionfo. Non ho arraffato niente che non mi spettasse e è rimasta l’impronta della stentatezza e della meticolosità che erano le condizioni in cui mi muovevo”, dimostrando un acuto sguardo e una consapevolezza raffinata del valore intellettuale ed etico dei testi e del processo compositivo nella realtà della sua posizione. L’uso del presente indica una permanenza di valutazione dopo oltre dieci anni dalla stesura, quando la direzione intrapresa è totalmente concentrata sulle battaglie politiche.
Le poesie non vengono cancellate, dimenticate, semplicemente non sono più il terreno della elaborazione e del confronto, quello su cui chiedere lo sguardo di reciprocità, quella attenzione all’atto artistico e creativo che lei aveva lungamente espresso con competenza critica e amorevole riguardo verso tanti giovani artisti ancora sconosciuti o alle prime armi, dai quali si aspettava una attenzione reciproca, che mai venne.
“Mi ero investita di problemi di altri, artisti misconociuti, che di lì a poco sarebbero stati regolarmenre riconosciuti. Ma a me nessuno avrebbe dato risonanza neppure loro. Adesso so che non potevano, e se, quando ho afferrato il paradosso, mi sono sentita giocata da loro, col passare del tempo mi sono accorta che culturalmente mancava la chance che qualcuno, per quanta stima ci mettesse, potesse credere in me, nella mia esistenza, nell’apporto che l’espressione di questa esistenza avrebbe dato all’essere umano. Nessuno si sarebbe accorto di me perché nessuno mi aspettava.”, scrive in un appunto inedito del 1975, ora in Scacco ragionato. Non sono lamentazioni soggettive, è una analisi attenta che scaturisce dall’esperienza e diviene produttrice di pensiero e di azione. Merita fermarsi sulle questioni poste.
Sappiamo che Carla Lonzi scrisse da sempre diari, lettere, meditazioni, appunti, su tutto quanto riguardasse la sua vita; aveva una vera passione per la documentazione e la registrazione degli eventi, dei rapporti, degli spostamenti di riflessione, delle indagini che scrupolosamente portava avanti come atto di testimonianza e di pensiero, di autenticità. Una scrittura ancora personale, fino agli anni ’58 – ‘63, quando prende coscienza dell’esistenza delle poesie come testi di una consistenza compiuta, non più ignorabile come solo atto privato. E che le poesie siano già altro lo ha chiaro da subito, come ricorda in una lettera scritta a Gabriella Kristeller nel 1972: “Mi sono salvata scrivendo poesie, una pratica di autenticità allucinante in cui tentavo di salvare tutti i fallimenti sul piano personale in chiave di autocoscienza”.
Carla Lonzi, che nega il ruolo del critico come fonte di potere sugli artisti, accoglie la poesia non come poeta (non si sentì mai nel ruolo), ma come luogo di reciproca attenzione all’accadimento d’arte, riconoscimento di un valore creativo del soggetto, luogo di appagamento di una tensione liberatrice. “Io non chiedevo di essere qualcosa di diverso da ciò che ero (né scrittrice, né poetessa, né altro)” e poco sopra “io attraverso le poesie cercavo uno sbocco nella realtà”, scrive nel 1977 in E’ già politica (Scritti di Rivolta Femminile). E’ una marcata ricerca di identità. Da qui lo sguardo dell’altro, dell’altra, diviene così importante, la relazione diviene luogo e fonte di esistenza piena, il riconoscimento è necessario.
Le poesie non vengono pubblicate perché manca un interlocutore/una interlocutrice, che non può essere il lettore o la lettrice ideali, a cui è destinato un libro in uscita, deve essere una persona concreta, dare vita a uno scambio reale, che dia conto dell’autenticità del fatto artistico e creativo, della rivelazione reciproca dove accade l’imprevisto. Questo è il pensiero, assolutamente controcorrente, sulla sua poesia. Ancora una volta Carla Lonzi gioca tutta la sua credibilità su un tema difficile da sopportare: la scelta di vita come fonte primaria di valore autentico. Qui può rivelare la sua fragilità prendendo nel contempo coscienza di sé, del suo divenire, qui aspetta uno sguardo rivelatore, ri-nascente nella dialettica intersoggettiva, nella sua lotta con «una condizione senza esito». Un poesia, quella di Carla Lonzi, non compresa, come osserva la sorella Marta, nè dagli artisti a lei vicini, neppure dalle femministe con cui entrò in relazione. Tenuta piuttosto in sordina nella sua produzione complessiva, di difficile collocazione.
Una poesia non tanto come prodotto autoreferenziale di chi aspira a un ruolo pubblico certificato, ma come processo di conoscenza di sé attraverso la relazione, attraversamento di piani di osservazione da sentire e indagare profondamente, ricerca di vita per nuove forme di espressione del soggetto, senza le quali «ogni anima è destinata ad appassirsi». Poesia e vita in un intreccio stringente. E’ ancora il grande tema dell’ascolto, capace di dare spazio a risonanze fertili, che restuiscano valore e immediatezza di sentimento, non in una accezione pervasiva e limitante, ma nella forma di una reciprocità che mette in gioco vite concrete, dialoghi, accudimenti, anche conflitti, fiducia nella libertà dell’altro/a, e della propria.
Ascolta: non può essere
perduta questa parola
come non può essere
perduta la mia anima
in un angolo del creato.
… Tu mi dici invece
che tutto può andar
perduto e dimenticato.
(Firenze, ottobre 1953)
Una parola onnicomprensiva
irremovibile che detta
diventi materia dura.
Terra o pietra.
Che io la veda
la tocchi, poi.
Materia non risonante.
(Firenze, 20 ottobre 1953)
Quanto avevo atteso
e faticato –
mi ci ero consumata.
Poi, proprio alla fine
ho detto: «nessuna importanza».
(Firenze, novembre-dicembre 1953)
Scacco ragionato
Così quando in allarme
sempre più in allarme
a un’occhiata scopri
quantità di situazioni
interrogative e non c’è
oggetto o immagine o suono
o niente di niente
che non sembri messo lì
un istante in atteggiamento
ermetico e provocatorio
come chi non lascerà
la posa se non hai sciolto
l’enigma della neutrale
familiarità di sempre
e l’asciugamano l’albero
la ringhiera con fissità
inamovibile sotto sguardi
pazienti e scetticamente
ragionevoli sbarrano
ogni centimetro in cui
distendere l’indiscussa
superiorità, scatta
lo sportello segreto,
l’antica impotenza
di chiocciola germogliante
nel buio, all’aggressione
che pretende spargere
oscuro disfattismo
nel corso dei tuoi pensieri
e anzi a uno a uno
metterli in scacco
con voce di pura cosa
dopo lunga attesa
staccata dal silenzio.
(Roma, 10 luglio 1958)
Scacco ragionato III
Qualcosa si è deteriorato
che direttamente mi riguarda;
col termine non sono affatto precisa
e non per mia debolezza: il fenomeno
agisce su un vasto territorio
e più di così non posso stringerlo
ignorando la sua collocazione
e, di più, la sua natura. Posso solo,
per ora, gettermici sopra come un paracadute
che lo copra: è zona mia, sto preparando
gli accorgimenti necessari, sono alerte.
Ma cosa sia là sotto, ora che l’ho
-con margini stragrandi- circoscritto
rimane incognito. Dove si opera è un tessuto
delicato. Con abilità d’insetto cieco sento
raspare le quattro zampe e la testa misteriosa;
su questo epicentro cade una resistenza
a lungo orgogliosa. Non so se questo
è suolo oppure l’efflorescenza di una goccia
di sangue, se mi conviene insistere o fuggire,
se è lecito lasciare il posto o chiamare
soccorso e fare un sopraluogo.
(Milano, novembre 1059)
Migrazione
Avverrà che all’urto
di una ferita precisa l’enigma
che si nasconde si sciolga in ariosa
migrazione del sangue nuvola
obbediente al richiamo di situazioni
incolmabili sulla scia migratoria
di penne iridate docili
a voli di effusione nella felicità
vorticosa che segue la spezzatura
di una vertebra o di un muscolo
rigidamente nascosto l’andatura
innocente di chi si tiene
equidistante dal nulla.
(Milano, 23 novembre 1961)
Mi sono trovata
tante cose da fare
per ingannare il tempo
e resistere a non
pubblicare le mie poesie.
Non avrei potuto
non credere
a un destino di poeta
(ho potuto non credere
a un destino
di critica d’arte
di femminista).
Mi sarei sicuramente
ingaggiata come poetessa
se altri me l’avesse offerto
(se me l’avesse invece rifiutato
come avrei potuto risollevarmi?).
Così bruciando l’anonimato
la situazione misconosciuta
che è stata la mia vitale
contro la quale lottavo
in segreto per mantenerla
in pubblico.
Carla Lonzi, Scacco ragionato. Poesie dal ’58 al ’63, Scritti di Rivolta Femminile, Prototipi, Milano 1985.
Carla Lonzi, Taci, anzi parla, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978.
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti, et al Edizioni, Milano 2010.
Ti darei un bacio. Carla Lonzi, il pensiero dell’esperienza, a cura di Marinella Antonelli e Stefania Calzolari, Ti pografia Commerciale Cooperativa, Mantova 2011.
Maria Luisa Boccia, L’io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990.
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