Guida ai sapori perduti

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Storie e segreti del cibo siciliano con quaranta antiche ricette

di Marcella Croce, 2008, Kalos, pp. 224

Guida ai sapori perduti di Marcella Croce

Possiamo leggere la storia di un luogo nei grandi monumenti lasciati da coloro che ci hanno preceduti, ma anche nei dettagli della vita quotidiana, per esempio nelle abitudini alimentari di un popolo.

In Sicilia gli invasori stranieri hanno portato e hanno anche lasciato alcune delle piante che oggi consideriamo tipiche del paesaggio siciliano: i greci l’olivo, gli arabi gli agrumi, gli spagnoli il ficodindia.
Anche i gesti delle persone portano con sé il segno della storia: i pastori che fanno la ricotta ci ricordano il racconto omerico dell’Odissea di 2500 anni fa. Si crede che il mercato della Vucciria a Palermo sia nello stesso luogo dove già gli arabi avevano un mercato, e il modo con cui la merce viene esposta mostra chiaramente un’influenza araba.

 

 

Per i popoli del Mediterraneo pane, vino e olio sono l’essenza della tavola quotidiana che è altare, luce, calore, cibo, comunità e comunione. Significano appartenenza, retaggio, identità. La Sicilia, isola maggiore del Mediterraneo, svolgendo per millenni con la sua posizione centrale la funzione di ponte naturale fra nord e sud e fra oriente e occidente, ha partecipato intensamente a una koinè culturale che affonda le sue lontanissime radici nella preistoria mesopotamica. Spezzare il pane, bere insieme il vino e offrire un letto con una lampada di olio di oliva erano le leggi universali non scritte dell’ospitalità, che univano le persone attraverso la comunione della tavola. Mangiare i prodotti della terra significava partecipare alla loro ciclica miracolosa rinascita. Condividere la divinità del cibo era un atto rituale e i cibi sacri formavano un legame permanente fra vivi, dèi e morti.

Plutarco racconta che nell’antichità i giovani ateniesi, giunti alle soglie dell’età adulta, venivano condotti al santuario di Agraulo per giurare fedeltà alla patria «dove crescono il grano, la vite e l’ulivo». Testimoni e responsabili della struttura della cultura mediterranea, queste sono le tre piante che hanno modellato molte delle nostre credenze, usi e atteggiamenti, e ci invitano a fare un viaggio circolare attraverso la nostra storia.

Anche geologicamente non una singola isola, ma un agglomerato di isole, quasi un subcontinente, è la Sicilia, dove la geografia e l’aspra natura del terreno hanno per millenni rappresentato una barriera naturale alla circolazione di merci e di idee. I tracciati delle strade romane, abbandonati totalmente dal XIII secolo in poi, non esistevano più; fino alla costruzione delle regie trazzere da parte dei re borbonici, i trasporti avvenivano esclusivamente a piedi o a dorso di mulo, e fra città costiere era sicuramente più facile viaggiare per mare che per terra: i Vicerè spagnoli di Sicilia andavano in nave da Palermo a Messina. Dalla metà del XIX secolo in poi, fu possibile usare i carretti ma, fino ad epoca molto recente, ogni viaggio all’interno era una vera spedizione che richiedeva giorni e giorni.

Per i siciliani il cibo ha massima importanza: in una riunione informale fra amici come in un pranzo ufficiale, l’argomento non manca mai di eccitare gli animi, di rompere ogni tipo di ghiaccio, di sconfiggere ogni inibizione. Mangiare è sempre un atto culturale, dando alla parola cultura quel senso lato che molti le hanno negato. Nel campo culinario molto è sconosciuto anche agli stessi abitanti dell’isola: in Sicilia c’è tutto un universo sommerso di cibi che sono conosciuti solo in una zona, a volte addirittura solo in un quartiere, o che si possono comprare in una singola pasticceria o panificio.

Frascatole, ’nfasciatieddi, funciddi, piscirè, ’nfigghiulate, e molto altro ancora: vere e proprie reliquie da conoscere e da preservare. Ogni siciliano, specie se di una certa età, conserva alcuni di questi misconosciuti brandelli di cultura legati ai propri ricordi d’infanzia o all’esperienza ancora viva del quotidiano. È importante riunire il maggior numero possibile di queste informazioni, per un atto di conoscenza collettiva, e per una speranza di futura memoria.

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