La Compagnia delle poete è nata nel 2009 da uno spettacolo di lettura poetica di Mia Lecomte e Candelaria Romero, accompagnate dal sax di Luigi Cinque, organizzato da Daniela Rossi a Bolzano. Nel viaggio di ritorno in treno le tre amiche ragionavano sull’esperienza improvvisata e sulla possibile collaborazione tra testi di autrici diverse, musica, altre arti; lì è nata l’ipotesi di creare qualcosa di nuovo con la poesia, da portare in giro, un nuovo canale di diffusione dei testi e nuove modalità di relazione e trasmissione della parola poetica delle donne.
Inizialmente hanno pensato di proporre testi di viaggiatrici italiane tra fine ‘800 e ‘900, coinvolgendo anche Cristina Ali Farah che stava lavorando su temi analoghi. Leggendo e cercando testimonianze di viaggio del passato, Mia Lecomte suggerisce di esplorare la contemporaneità, le tante autrici della cosiddetta migrazione, che, vivendo in Italia da anni, portano nella scrittura tracce di altri viaggi, altre esperienze, altre lingue: donne che passano i confini in senso metaforico e contestuale. Qui scatta la collaborazione con una regista, Daniela De Lilo, collaboratrice di Lucia di Cosmo, una regista intraprendente, oggi scomparsa, con l’idea del teatro come forma di emancipazione sociale; lavorava infatti facendo spettacoli nelle carceri con soluzioni alternative. Contemporaneamente, in un piccolo teatro di Roma, le poete iniziavano il percorso scegliendo i pezzi contemporanei, studiavano le soluzioni più opportune, collaboravano con alcune registe che all’inizio affiancano il lavoro collettivo, fino alla scelta di fare da sole, assumendo su di sé la totale responsabilità di un lavoro che si costruisce nel tempo, ma che deve maturare dall’interno del gruppo, nella sua viva radicalità.
Un’amica regista tedesca, Janine Von Tüungen, suggerisce di costruire uno spettacolo che avesse come punto focale un video sulle poete stesse che si filmavano nella loro quotidianità e su questi spezzoni amatoriali, girati col telefonino o con videocamare non professionali, montare un video complessivo con le loro micro storie. E un altro concentrato solo sulle mani e sui piedi, parti generalmente poco considerate del corpo femminile, ma utili alle azioni, alla cura, ai movimenti, alla libertà. Così nasce Madrigne, uno spettacolo di poesia che mescola voce, corpo, presenza in scena, musica, video che scorre e a volte “copre” il volto della donna che parla. L’assemblaggio dei testi poetici delle autrici lo costruisce Mia Lecomte seguendo un filo poetico, musicale e di senso, più che un tema specifico o una storia. C’è una attenzione al pubblico nell’alternanza di testi brevi e lunghi, di momenti di poesia comica e lirica, in modo da mantere attiva la partecipazione; la stessa Mia Lecomte ha esperienza di teatro, e Candelaria Romero è anche attrice e regista.
La Compagnia nasce, all’inizio, con tre poete, Mia, Candelaria e Cristina, poi, via via, si arricchisce di nuove presenze. Anche in questa delicata fase c’è una attenzione particolare al progetto globale, percepito come un organismo complesso, vivo: le inclusioni sono fatte una per volta e ogni volta – dice Mia – «è stato come tornasse in famiglia, dall’estero, il figliol prodigo. E’ stato bello”. Prosegue poi: “Non tutte hanno reagito allo stesso modo. Alcune poete hanno dovuto superare qualche blocco. Ad esempio Vera Lúcia de Oliveira era piuttosto reticente e anche rigida, all’inizio. Ricordo che dieci minuti prima di andare in scena voleva ritirarsi, non esporsi, sostenedo che la sua poesia non aveva nulla a che fare con il suo corpo. E’ stata praticamente spinta in scena perché a quel punto crollava lo spettacolo, e poi a metà abbiamo visto che si trasformava. Lei stessa, dopo, disse che il corpo c’era ed era diventato una parte di un corpo unico, una cosa speciale che correva tra tutte noi».
Oralità e scrittura, dunque, memoria, esposizione, la presenza offerta del corpo, non solo voce ma anche densità, movimento, fisicità sulla scena. Sono una serie di passaggi critici che le poete hanno dovuto affrontare nel loro percorso e nei diversi appuntamenti in giro per l’Italia . Alcune avevano esperienze teatrali, di danza, per cui il corpo aveva già trovato un suo spazio dicibile, altre si dimostrano più legate, hanno difficoltà ad agire il corpo, perfino la voce. E’ stato attivato un percorso che, nella libertà di espressione di ognuna, rendesse compatibili le presenze, soprattutto attraverso il coinvolgimento di Vesna Stanic, altra amica scrittrice ed esperta di tecniche di espressione, di teatro. Senza forzare, senza imporre una dizione d’accademia Vesna ha lavorato a lungo, singolarmente con le poete, girando tra le loro case in una sorta di preparazione. Compito non facile dato che le poete abitano in città diverse. Ora anche Vesna ha esaurito il suo compito e le autrici sono interamente responsabili della messa in scena. E’ un lavoro coordinato da Mia, costruito sulle singole poete, tiene conto delle differenze di prestazione di ognuna, alternando i volumi e, a volte, usando i microfoni, sovrapponendo le voci.
In questa avventura di rilievo c’è anche il tema della poesia che si fa spettacolo, un discorso abbastanza controverso nella contemporaneità, con altre e diverse performances che spesso attraversano la scrittura poetica dei giovani. Sto parlando, ad esempio, di Slam Poetry, della recitazione di testi da parte di attori, delle letture sceniche, di veri e propri spettacoli teatrali che usano la poesia come forma di espressione privilegiata. In questa esperienza la molla decisiva sembra essere il desiderio di riportare la poesia tra la gente, come forma antica e comune di parola pubblica, e la volontà di creare un legame tra donne che le raccontasse nel loro vivere quotidiano. L’evoluzione del progetto da una forma più legata alla poesia, nella quale vengono utilizzati testi preesistenti, scritti nella soggettiva produzione poetica delle autrici, a una forma più orientata verso il teatro, è stata un fatto di evoluzione naturale del percorso, un approdo derivato dalle numerose messe in scena di Madrigne, da un dibattito continuo tra le poete, da un desiderio comune di sperimentazione.
Gli spettacoli che oggi sono presentatati al pubblico sono due. Il primo, Madrigne, fondato appunto su un percorso squisitamente poetico, il secondo, Novunque, vero spettacolo teatrale, nel senso che i testi sono stati scritti per questo. Mentre Madrigne non ha un vero tema, anche se gioca sulla contaminazione tra madri e matrigne (con tutto il non detto del senso di colpa che ogni donna si trascina dietro, e le questioni che sempre ritornano nelle poesie delle donne), il tema che attraversa Novunque è la favola e la riscrittura delle eroine che raccontano la propria storia. E’ costruito con una vera scenografia teatrale, con le sagome delle autrici disegnate e proiettate sulla scena, un teatro delle ombre (costruito dal burattinaio argentino Coco Barraza su disegni di Cristina Gentile) astratto e onirico.
Un punto importante di questo esperimento di poesia contemporanea è capire quanto e se, la scrittura delle singole poete sia stata influenzata dalla comune collaborazione. La frequentazione della Compagnia, a detta di Mia Lecomte, ha modificato molto la scrittura poetica delle singole autrici, agendo come una sorta di contaminazione reciproca, che sta conducendo a una forma di assimilazione/riconoscimento della scrittura di autrici già più vicine per sensibilità e consonanza. Anche questo è un tema su cui riflettere, rivela infatti alcune dinamiche di composizione dei testi e le soggettività delle autrici; sarebbe interessante capire come incide sulla scrittura nella modificazione del processo creativo. Imparando a memoria i testi, dicendoli, si mette in moto una relazione che porta alla correzione reciproca, nelle prove; il tessuto complessivo dello spettacolo è frutto di un lavoro collettivo, non nel senso che i testi vengono elaborati insieme, ma nel senso che il lavoro finale viene corretto collettivamente, a seconda delle rispondenze di suono e di parola, e poi le correzioni trovate incidono anche sulla composizione definitiva dei testi delle diverse autrici, quelli che ognuna pubblicherà singolarmente. Infatti non esiste un elaborato globale della Compagnia, ogni poeta riporta il proprio testo nella propria produzione singola. Solo il copione di Novunque è un vero lavoro collettivo, anche se poi i testi rientrano sempre nella produzione personale. Altro dato interessante che è stato osservato è che l’intento comunicativo tende a rendere più semplice la scrittura.
La poesia, lo sappiamo, non cambia il mondo ma circola nel mondo e ha un alto valore simbolico/culturale, di affettività di chi scrive, legge o ascolta, e anche politico. Questo esperimento collettivo porta ancora un altro merito. Decidendo di misurarsi tra donne di origine non italiana, sulla poesia scritta in lingua italiana, (non tradotta dalla propria lingua madre), entrano in un circuito pubblico di pertinenza della letteratura italiana. Questo progetto collabora a incrinare il concetto ristretto di letteratura nazionale, perché ormai molti autori e autrici cosiddetti migranti scrivono da parecchi anni in italiano. E’ un tema ancora poco recepito nelle patrie lettere, infatti dopo vent’anni di pregevoli testi di autori e autrici che vengono da fuori non esiste una critica adeguata da parte di critici italiani su questi poeti, che sono ancora considerati un corpo estraneo, esotici, rispetto alla letteratura italiana. Non è solo questione di lingua madre e lingua del posto dove vivi. E’ un equilibro tra diverse componenti da trovare giorno per giorno, come la vita che si fa, ma è un cuneo che si è ormai inserito nella cultura italiana e l’ha modificata. Il punto nodale, credo, non è includere gli autori e le autrici nella letteratura italiana così com’è, ma chiedersi se le letterature nazionali oggi sono ancora come le abbiamo sempre pensate.
Una scrittura legata al corpo. Mettere in scena parole da parte di non attrici è stato assai problematico. Venti poete con voci diverse, anche dal punto di vista fonetico, un groviglio di suoni, a volte difficili da districare, ma suggestive; anche se gli spettacoli non portano mai tutte le autrici sulla scena, ma si costruiscono nei vari luoghi con quelle che possono partecipare. Spesso alcuni testi delle assenti sono letti dalle compagne in scena. Questo gioco di presenze e assenze è rilevante, anche se deriva dalle opportunità e dalle contingenze. Significa che uno stesso spettacolo rimane concettualmente aperto, modulare, si monta ogni volta in modo diverso, come una specie di puzzle dalle molte soluzioni, o dalle soluzioni compatibili. E’ anche un modo per avvcinare la poesia alla gente comune, riportando i testi a contatto diretto con il pubblico, togliendo quella sacralità o oscurità che la parola poetica sconta con la solitudine. E’ poesia di autrici che hanno percorsi soggettivi diversi, generalmente estranei alla letteratura italiana, meno legati, quindi, a tutte quelle questioni sulla poesia ermetica o sulle neoavanguardie, che ha reso, a volte, difficile la parola poetica nell’ascolto diretto, quasi una parola per pochi eletti, poco comprensibile. Spesso la poesia proposta dalla Compagnia è più narrativa, legata all’oralità, come nella tradizione africana, o legata al teatro, con monologhi lunghi, come in quella americana.
La contaminazione è un altro dato significativo di tutto il lavoro. Non solo tra i testi e le autrici, ma anche con vari artisti, videomaker, artisti visivi, musicisti, a volte ballerine, che intervengono nei luoghi dove va in scena lo spettacolo della Compagnia. In Madrigne, ad esempio, in scena c’è la poesia detta dalle voci e dai corpi, non recitata, nel video dietro scorre la quotidianità della vita delle autrici, anche questo dà conto del tempo e dei ritmi di vita di una donna, crea un circuito di senso che non annulla né gerarchizza le operazioni. Il corpo è messo in primo piano dalle mani e dai piedi che scorrono sul video, una scelta anche ironica, che rende lo spessore quotidiano alla vita, ne mostra la normalità. Dalla scena la poesia arriva al pubblico senza enfasi, una poesia colloquiale, non declamata. Il senso fondamentale di tutta l’operazione dela Compagnia delle poete è nelle parole che presentano il progetto sul sito: «Per riportare la poesia al pubblico, restituendola alla sua originaria funzione di oralità condivisa. E per dare voce alla scrittura migrante, che all’oralità è legata più di ogni altra per quanto riguarda la tradizione di alcuni paesi, ed è il risultato più interessante e innovativo dell’ibridazione e del meticciamento che contraddistinguono la storia più vitale della cultura di questo secolo».
Le poete che attualmente compongono la Compagnia sono: Prisca Agustoni, Cristina Ali Farah, Livia Bazu, Laure Cambau, Adriana Langtry, Mia Lecomte, Sarah Zuhra Lukanic, Natalia Molebatsi, Vera Lúcia de Oliveira, Helene Paraskeva, Brenda Porster, Begonya Pozo, Barbara Pumhösel, Sally Read, Melita Richter, Francisca Paz Rojas, Candelaria Romero, Barbara Serdakowski, Jacqueline Spaccini, Eva Taylor.
Il progetto è stato presentato all’interno di un programma di seminari creoli, pensati e coordinati dal prof. Armando Gnisci dell’Università La Sapienza di Roma, con il sostegno dell’Assessorato alle Politiche Culturali della Provincia di Roma, presso Palazzo Valentini e l’Università Sapienza, ed è oggetto di tesi di laurea di studenti dello stesso Ateneo.
Il sito della Compagnia delle poete
Novunque, a cura della Compagnia delle poete, Aracne, 2012, 80 pagine, 6 euro
Francesco Armato, Premiata Compagnia delle poete, Isernia, Cosmo Iannone, 2013.
La foto che ritrae le poete è di Dino Ignani.
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