Ricordando Paola

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boraPaola Bora, Ancona, 27 agosto 1953 –Pisa, 24 gennaio 2015

Com’è difficile annunciare la morte di un’amica e tentarne un ritratto, cercando di condividere con altri – se questo è mai possibile – il dolore per la perdita e la ricchezza dei ricordi, senza retorica sentimentale e senza rigidità.

Paola Bora (così la chiamavamo e così si presentava, ma era Paola Argentina Bora) se n’è andata la sera di Sabato scorso, 24 gennaio. Se n’è andata via come da mesi ormai sapevamo sarebbe accaduto. Ma è scivolata nel sonno, con dolcezza, nella sua casa, dove le due figlie l’avevano voluta e dove la continua presenza di amiche e amici, giovani e meno giovani l’ha accompagnata.

Penso a Paola e agli aspetti molteplici della sua personalità e della sua vita che voglio ricordare, certo inadeguatamente, insieme a tutte le amiche della Società delle Letterate, cui Paola teneva moltissimo. So che con alcune di loro aveva rapporto strettissimo d’affetto, oltre che di collaborazione intellettuale. Non un elogio ufficiale, che Paola avrebbe comunque detestato, ma pochi indelebili segni sulla trama viva della memoria. Ora domina l’emozione bruciante, ma sappiamo bene che il vuoto dell’assenza si farà sentire a poco a poco più profondo, altri ricordi, forse più precisi, emergeranno.

Un accenno di biografia, e un –incerto–tentativo di ritratto

Paola aveva compiuto 61 anni in agosto, ad Ancona, la sua città di origine, che aveva lasciata per Pisa, come allieva del corso di Filosofia alla Scuola Normale Superiore dal 1972 al 1976 e poi del corso di perfezionamento dal 1976 al 1979. Brillante, profonda e originale nel pensiero, presto attiva in politica, militante nel PCI, si è poi dedicata senza riserve alla teoria e alla pratica femminista: Ricercatrice e docente di Antropologia Filosofica e di genere alla Scuola Normale, all’Università di Pisa e al Centro Studi per la Pace, metteva nell’insegnamento una rara combinazione di rigore senza pedanteria e di dolcezza umana. Le qualità, del resto, che portava nell’amicizia, nell’ascoltare e, qualche volta, consigliare.

Paola era lettrice onnivora e di grande preparazione culturale, ma non ne faceva sfoggio, spaziava dagli ardui ‘strumenti del mestiere’, i testi ‘di filosofia – ricordo che amava molto Spinoza – e di antropologia – e del femminismo, da Virginia Woolf, che amava e citava spesso, a Carla Lonzi, a Adrienne Rich e Donna Haraway, a Audre Lorde e alla difficile Judith Butler – fino ai romanzi, in particolare recentemente di autrici come Suad Amiri, per esempio. Anche la sua scarsa propensione a pubblicare — rispondeva, non solo, per i primi tempi, a priorità ‘familiari’, ma soprattutto a una scelta determinata di mettere avanti a tutto l’impegno attivo, la pratica della relazione tra le persone, le donne in particolare e i problemi della loro vita. Mi viene in mente scrivendo che mentre la Paola che ho conosciuta era pronta a sorridere, con quel suo sorriso luminoso, di un gran numero di cose, non l’ho mai vista sorridere del femminismo; però sorrideva quando, parlando di e con lei, la chiamavo ‘donna del femminismo pensante’: credo ancora che questo ‘titolo’ corrisponda alla sua sostanza.

Così metteva in pratica, a notevole costo personale, il principio fondativo del femminismo per cui il personale è politico. Anche la sua adesione, fin dall’inizio, alle attività della Casa della donna di Pisa, di cui è stata Presidente dal 2011, era in piena coerenza con quel principio. Teneva moltissimo all’Associazione, e per esprimere il suo impegno e la sua fiducia tutta hegeliana nella battaglia femminista per un mondo più equo e in pace, Paola aveva scelto come sua firma una bella citazione da Margaret Mead

“Never doubt that a small, thoughtful, committed group of citizens can change the world. Indeed, it is the only thing that ever has/ Non dubitare mai che un gruppo riflessivo e impegnato di cittadini non possa cambiare il mondo. In realtà è l’unica cosa che mai l’abbia fatto”.

Credo che nulla possa dare un’idea di lei a chi non l’ha conosciuta – del resto, che altro si può restituire di una persona se non un’idea, qualche segmento di vita? E ognuna/o poi avrà i suoi ricordi, i suoi segni privilegiati – come il ritratto composito ma insieme omogeneo che emerge dalle frasi di amiche e amici di fronte alla morte di Paola; da tutte arriva a chi legge il senso di un affetto e di un dolore profondi, e la coscienza di un lutto che si dovrà elaborare con fatica, con pazienza. Nella loro benedetta brevità sono testimonianze di affetto vero e caldo, e di grande ammirazione per la sua intelligenza, la sua cultura e la sua straordinaria qualità di docente di grande influenza e amica amatissima. Alcuni (uomini, per lo più) hanno detto della sua bellezza ‘abbagliante’ ai tempi in cui era loro compagna alla Scuola Normale. La maggior parte, sull’immediato dell’emozione hanno detto soltanto del sorriso solare e del calore che Paola trasmetteva. Una sua allieva/amica parla del “pensiero limpido e chiaro di Paola, che spiegava alla mente ma toccava il cuore”.

E infatti la singolarità della Paola che abbiamo conosciuta era, almeno per me, proprio questa combinazione straordinaria di parlare alla mente e insieme, soprattutto, toccare il cuore: studentesse e studenti ne erano affascinati: molte hanno seguito la traccia femminista segnata da Paola, con il volontariato o comunque l’impegno alla Casa della donna.

E per me? Paola: nessuna indulgenza per ipocrisie retoriche o sfoggi accademici, il fastidio per la banalità mediocre, la ricerca invece di autenticità e la costruzione di relazioni umane vive, reali. Questo includeva la sua straordinaria capacità di ascolto e di accoglienza dell’Altro/Altra, la sua evidente mancanza di prepotenza, la sua levità di tratto. E anche: come l’impressione, a lampi, di una fragilità indifesa, di una esposizione al pericolo, dietro lo spessore, che non capivo e non sapevo definire.

E il ricordo gioioso: il gusto condiviso per il buon cibo – famosi i suoi piatti per le cene autogestite dell’associazione – la cura del corpo, l’estetista e la pedicure – i bellissimi piedi, sorprendentemente piccoli!

E la sua relazione col fattore tempo: notòri i suoi ritardi, e, alle prime esperienze, incredibile la sua apparente assenza di percezione dello scorrere del tempo ‘sociale’, quello dell’orologio, per intenderci. A me, che solo tardi e con fatica ho imparato la ‘virtù’ tutta occidentale della puntualità, ma non solo a me, questo procurava ansia, e sorpresa… Poi ci si abituava, perché Paola era Paola, e anche questa era una sorta di lezione esperienziale, un esercizio di pazienza.

Torno, prima di chiudere, alla Paola femminista e studiosa del femminismo. Uno dei suoi progetti politici più costanti era l’ampliamento degli orizzonti, il superamento dell’etno/eurocentrismo, sia attraverso la pratica politica e fisica dell’accoglienza, che attraverso la conoscenza, e il rispetto di altre culture, di modi diversi di agire e di credere.

Illuminante in questo senso è il suo scritto: ‘Nella Casa delle Differenze’ (Athenet Online, N. 17, Settembre 2006) che mi sembra la rappresenti ancora molto bene.

La Casa della donna dedicherà a Paola Bora una giornata di studi, appena possibile

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