Il coraggio di Estella

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La casa respira a fatica, sembra un animale morente; si sforza di tenere ferme le travi, stringe le pareti come fossero braccia attorcigliate a un ventre. A fatica esala un respiro, poi un altro.
 
 

Sulle rovine di Alento, tra memoria e oblio, Estella – un nome di dickensiana memoria anche se la protagonista di questo romanzo potrebbe ricordare a tratti più la Miss Havisham di Grandi speranze che non l’algida nipote – è pronta a servire una cena. Una cena molto speciale. Intorno a lei infatti c’è solo il lento e inesorabile franare della terra verso un mare che, visto dai monti brulli del Cilento, abitati ormai soltanto da un’improbabile eroina del nulla, resterà per sempre un mare d’altri.

Questo sembra narrare il luminoso esordio di Carmen Pellegrino, storica per formazione, letterata per passione e abbandonologa per professione, dotata di una naturale raffinatezza nella costruzione sintattica e di una vis narrativa assolutamente unica nel panorama italiano. Ma nelle maglie di Cade la terra  non si snodano soltanto i vissuti raccontati attraverso le voci di quelli che hanno lasciato, per necessità o per destino, le case del paese in rovina.

Il romanzo apparente nasconde infatti un romanzo implicito che va ben oltre l’amore ruvido e spigoloso, a momenti sadico e inesprimibile, del capriccioso Marcello e di Estella; sconfina al di là delle nozze di Libera Forti, del padre Cola, delle grida di banditore di Giacinto, della luce elettrica in casa Parisi o del negozio del Maccabeo, tra le storie minime di una normalità anormale, un po’ selvatica e ormai consegnata all’aldilà. Dice della persistenza della memoria capace di appiccicarsi ai muri, imbrattarli di ectoplasmi, mettere radici sui sassi, impregnare le tappezzerie scolorite e restituire vita dove la vita sembra non esserci più.

Probabilmente così la pensa Estella imbandendo di nulla una tavola di struggimenti che pure alimenta cercando disperatamente di tenere in vita uomini e cose con una perseveranza tanto maniacale da diventare accanimento. Il suo segreto però è il medesimo rivelato dalla Pellegrino, che traccia la via di un salvamento possibile soltanto attraverso la parola. E nella parola bella e performante, a volte biblica, rivivono infatti i personaggi strappati alle fosse e rinati alla luce portandosi dietro, di quel buio di sepoltura, solo il velo modesto della melanconia.

Della bellezza accecante della polvere che copre con ineffabile democrazia sia le case dei poveri che quelle dei ricchi, le stamberghe e i palazzi, della vita delle piante infestanti che allignano spontanee nelle crepe e delle bestie più umili che trovano asilo nelle dimore abbandonate si trova già nella fulminante apertura del romanzo, quando il lettore scorge la protagonista ancora giovane che, accompagnata dal cane Gedeone e con la tonaca da suora addosso, sul sagrato della chiesa di Alento si strappa la veste sacra in un gesto talmente icastico da mettere subito in allerta, perché dietro l’atto esiste un simbolo. È dunque proprio il privarsi di tutto ciò che le appartiene ad offrire alla donna la possibilità di appropriarsi prima della vita di Marcello, al quale fa da istitutrice nonostante sia di pochi anni più grande, e poi di ogni pietra del paese divenendo voce e voce narrante di un passato privo di futuro e quindi senza tempo.
In questo modo, laica e forte della nuova povertà, Estella accetta il fatalismo ma ne squaderna le coordinate portando avanti la ricostruzione con una potenza inversamente proporzionale alla forza con cui la natura sta decretando il franare delle case.

Non c’è traccia di nichilismo o di trita retorica dei vinti nel coraggio di Estella perché lei è capace di snidare il bello nei luoghi più inattesi (dello spazio o dell’anima), sa ergersi a giudice unico della storia in un tribunale degli affetti che resta imperturbabilmente in piedi mentre tutto intorno crolla.
Così Cade la terra, mettendo insieme il portato dell’opera di Alfonso Gatto e di Corrado Alvaro, di Salvatore Satta, di Elsa Morante e di Tommaso Landonfi, merita di entrare di diritto nella grande letteratura meridionale moderna nell’atto stesso di ridare dignità di memoria all’abbandono, con una compostezza e una grazia assai rare.

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Carmen Pellegrino, Cade la terra, Giunti, pp. 224, euro 14

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