Un romanzo costruito su tante alternanze, l’ultima opera di Patrizia Rinaldi, già riconosciuta autrice di testi per ragazzi. Alternanze di due voci, di due tempi, di due stili, tutte femminili. Le voci sono infatti quelle di Maria Antonia, una giovane donna rimasta vedova troppo presto con una figlia piccola, la cui storia incrocia la grande Storia del Novecento: fugge infatti nel 1943 – si apre così il romanzo- come profuga da Spalato con sua figlia Lucia in fasce verso Napoli, la sua terra d’origine, dopo essere stata separata dal marito Augusto di cui perderà ogni traccia nelle foibe e divenendo consapevole della sua morte solo 14 mesi dopo la loro separazione.
Maria Antonia è donna caparbia, dall’apparenza inscalfibile, determinata a non farsi schiacciare dalle asprezze della vita ma anche dalla consuetudini di una tradizione che vorrebbe le donne assertive e silenti. Maria Antonia è soprattutto assetata di vita, (“vitalità densa”, leggiamo a p. 137) perché si ritiene troppo giovane per poter accettare che con la vedovanza finisca anche la sua, di esistenza. Uno scambio di battute con un giovane prete esemplifica bene questo suo essere: «Certo che lei non si lascia intristire dai lutti!». «Avrei finito di campare da un bel po’. La morte, caro don Mariano, mi fa venire per dispetto una smania di vita».
Questa smania di vita appare forse l’eredità maggiore che trasferisce all’ultima delle sue figlie, Ena, avuta da un matrimonio del tutto controcorrente e inappropriato, per i tempi, con un uomo più giovane di lei che inizialmente era suo affittuario nella villa che faticosamente Maria Antonia aveva risistemato per la figlia Lucia dopo la guerra.
Ena è infatti l’altra voce, una voce di donna giunta al termine della sua vita – siamo infatti nel 2040 – che mostra tuttavia una energia e una acutezza che contrastano con il decadimento del suo corpo. Ena è bloccata a letto, assistita da una straniera che chiama l’Abbadessa e di cui si prende cinicamente gioco. Il cinismo e la sfrontatezza sono tratti che la caratterizzano e la rendono aspra agli occhi di chi legge e di cui ella è perfettamente consapevole: «Non è una bella cosa far cadere lo sterco del cinismo proprio sui vestiti degli altri» o ancora, quando a proposito delle lunghe telefonate con un’amica anch’essa in difficoltà riconosce di essersi finta dolce, quando non fa parte della sua natura: «E io là, addirittura dolce, che lo sai non è arte mia».
C’è una frase, pronunciata da Maria Antonia in risposta a quanto le dice il giovane affittuario, che forse avrebbe potuto essere pronunciata anche da Ena e che chiarisce il legame tra le due donne, le cui vite si incroceranno davvero solo nell’epilogo del testo: «Tornatene ai Quartieri, là sicuramente li trovi più grassi i tuoi ideali consumati». «Le nostre idee non coincidono, lo so». «Io non ho idee, ho i giorni e basta».
Sono i giorni, l’unica dura realtà che resta, lo scorrere del tempo, l’avvicinamento alla morte che tuttavia non sembra intimorire e che, pur nella consapevolezza della sconfitta, viene sfidata con beffarda spavalderia da queste donne forti.
*
Patrizia Rinaldi, Ma già prima di giugno, edizioni e/o, pp. 208, euro 16,50
PUOI SEGUIRE LA SIL SU:





PASSAPAROLA: