La piccola epica dentro le cose

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“Vestiti che fanno cadere le braccia”, “Vestiti che ricordano troppo”, “Vestiti compiacenti”, “Vestiti persino rabbiosi”, “Vestiti dalla voce allegra”, “Vestiti che piangono dentro l’armadio”, “Vestiti che sanno aspettare”… così Eleonora, la protagonista del nuovo libro di Elvira Seminara, Abiti smessi, elenca tutti i suoi abiti nel lasciarli alla figlia, Corinne, che non vede da anni. Fugge da Firenze, dal passato, a Parigi per “rinascere”, filtrando i ricordi, pur nella consapevolezza che “siamo storiografi imperfetti”, e sperando che Corinne riesca a superare il “rancore” e la raggiunga, prima o poi. Nel libro di Seminara, scrittrice giornalista e pop-artist, i vestiti sembrano avere memoria e sentimenti, hanno una storia che Eleonora spera di poter trasmettere alla figlia, insieme alle scelte fatte, agli errori, alle speranze: “vestiti sopravvissuti che reggono i peggiori addii”, e vestiti “che hai paura a rimettere perché quel giorno sei stata così felice. E non vuoi rovinare il ricordo”. L’elenco è come “la biblioteca di Borges, illimitato e progressivo, inesauribile”. L’abito, che avvolge il corpo, è denso di impronte e di valenze simboliche, in un’estensione che arriva a rappresentare la stessa protagonista, ed è il tramite delle relazioni con il mondo, perciò arricchisce la trama e moltiplica significati e punti di vista della narrazione.

Se le cose, con la loro “piccola epica dentro”, hanno il “diritto all’usura”, anche le vite – riflette Eleonora – “non vogliono essere risparmiate”, come la sua esistenza fatta di “abrasioni, strappi e guasti”: “Ci vuole pietà, Corinne, per gli oggetti” le scrive in una lettera che non spedirà, chiedendo comprensione per se stessa.

Le fantasie infantili sugli oggetti che si animano durante la notte ritornano con frequenza nelle fiabe ma anche uno scrittore come Pamuk parla delle cose che nel silenzio della notte sembrano parlare. Il modo in cui viviamo gli oggetti che ci circondano e che hanno scandito la nostra vita, il modo con cui entriamo in relazione con essi, sono intessuti di emozionalità e le cose stesse sembrano corrispondere a un tale carica affettiva. Gli oggetti (non solo abiti, ma anche caffettiera, poltrona, persian, bottoni, quadri…) sono protagonisti in questo libro e ci offrono la “poetica dell’impensato” (Thrift), perché hanno condiviso speranze e delusioni nel contatto col corpo di Eleonora che, attraverso di loro, cerca di ricostruire il suo passato, disomogeneo, per la figlia. Così la rappresentazione delle cose si dilata ad esprimere il potere della fantasia nel saper offrire l’immagine emotiva di ogni abito o altro oggetto cha passa da un’esistenza “muta a uno stato orale” (Barthes), risignificando la vita di una donna, delle sue passioni e dei suoi scarti.

Eleonora compra molte cartoline che non spedirà, e la figlia le invia una sola laconica cartolina, metafora emblematica di ogni forma di comunicazione differita (Derrida): la cartolina vive nel tragitto, non si sa quando giungerà a destinazione né come verrà decifrato il messaggio spesso nascosto nei vuoti tra le parole. L’incontro fra di loro, epistolare e reale, sembra impossibile, tuttavia accade, in un finale aperto, “prima che il tempo schiacci” le loro esistenze “con un baule scaricato addosso, pieno di sillabe tarlate, scolorite”.

Elvira Seminara, la “cantascorie” – come ama definirsi, ad indicare il suo recupero creativo di cose e parole – ci invita ad un vero coinvolgente, fascinoso, travolgente “ballo delle parole”: “Ne scelgo una fra tante, la spolvero e guardo, finché prende a brillare. Faceva così, la Dickinson. La tengo sospesa con due dita in aria, come una farfalla. E infatti quando la poso, ogni volta, resta stecchita sulla scrivania, non vola più”.

Elvira Seminara, Atlante degli abiti smessi, Einaudi 2015, pp. 178, euro 17,00

Orhan Pamuk, Altri colori, Einaudi 2010.

Nigel Thrift, Non-rapresentational Theory: Space, Politics, Affect, Routledge 2007.

Roland Barthes, Miti d’oggi, Einaudi 1974.

Jacques Derrida, La carte postale, Mimesis 2015.

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