Cinema/ Imbrogliare il tempo

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images-9Dura soltanto 70 minuti Szerelem Patak, il documentario della regista ungherese Ágnes Sós,  tradotto in italiano con il titolo Flusso d’amore e presentato in anteprima alla 25° edizione del Trieste Film Festival, (17-22 Gennaio 2014).

Ma è stato chiaro fin dall’inizio che ci si trovava di fronte a un’opera di brillante linguaggio filmico che avrebbe raccolto grande successo. È stata una di quelle proiezioni che suscitano vibrazioni di empatia in sala e fanno trattenere il respiro per  l’ammirazione di fronte alle immagini che scorrono sullo schermo intrise di pura bellezza e per il messaggio intenso che emanano. Il caloroso applauso scoppiato alla fine della proiezione in omaggio alla regista presente in sala ha sigillato la scelta: Szerelem Patak è vincitore, ex aequo con The Special Need del friulano Carlo Zoratti, del Premio Alpe Adria Cinema per il miglior documentario in concorso. Vincerà anche il premio speciale Espansioni, assegnato dall’omonima rete nazionale di associazioni femminili a una donna distintasi in un settore del cinema.

La travolgente forza del film sta nelle pennellate delicate con cui la regista ha saputo affrontare  temi per niente ‘leggeri’: la vecchiaia, la solitudine, il desiderio. Ágnes Sós raccoglie una serie di vicende tragicomiche che gli abitanti di un villaggio di lingua ungherese in Transilvania affrontano quotidianamente. Si tratta di un viaggio in un mondo e tempo discosti, remoti, e allo stesso tempo attualissimi per l’universalità dell’argomento che il film tratta: l’amore e il desiderio in età avanzata. Un valore aggiunto all’opera è dovuto ai protagonisti, personaggi autentici e per niente inibiti di fronte alla cinepresa, donne e uomini molti dei quali ultraottantenni.

Come ha fatto ad ottenere una simile spontaneità e naturalezza con cui questi attempati contadini e contadine rivelano i propri pensieri intimi, parlano di sogni e desideri di amorosa brama per niente deposti nel dimenticatoio, è stato chiesto alla regista in un incontro con gli autori al Caffè San Marco, caffè storico di Trieste che ha affiancato il Festival, festeggiando così i suoi 100 anni dalla fondazione.

“Ho lavorato con la massima attenzione e sensibilità, sforzandomi il più possibile di creare un contatto intimo con i miei personaggi. Il mio metodo è quello di avvicinarmi il più possibile a loro, di creare una vicinanza ai limiti dell’intimità per essere in grado di mostrare il loro autentico destino,” ha risposto. “E con grande onestà e condivisione di lunghi periodi di vita sul territorio. La franchezza e la fiducia si erano rafforzate con il raccontarsi anche al di fuori del raggio della macchinina da presa, o quando questa necessariamente era spenta”.

Inoltre, rivela la regista, all’autenticità ha contribuito un sapiente montaggio ridotto ai minimi ritocchi e la decisione di non ripetere le scene qualora non risultassero in perfetta concordanza con la sceneggiatura. Questo per salvaguardare il nocciolo genuino della narrazione.

La regista avrebbe potuto forzare lo sguardo sulla questione della minoranza ungherese in Romania, tema politicamente ‘appetitoso’ anche nel contesto del nuovo assetto europeo, declinare il  messaggio tra quelli della denuncia sociale, avrebbe potuto scandagliare il concetto di solitudine, che inevitabilmente emerge in età avanzata, ma Ágnes Sós non ha fatto niente di simile.

Nel villaggio, che è il vero protagonista del film, le finestre delle case sono illuminate, dai loro tetti coperti di neve i camini fumano e la scia del fumo si leva alta nelle notti stellate transilvane, le donne lavorano nei campi, zappano la terra e nei solchi succosi depongono semi, patate, falciano l’erba, preparano il cibo, tagliano la legna, raccolgono i frutti del bosco, nutrono gli animali, compagni fedeli di vita, accompagnano i propri morti. I loro cortili hanno palizzate alte ma le porte di comunicazione sono sempre aperte. Quanto fanno, lo fanno in compagnia condividendo fatiche, tradizioni, risate, brame e confidenze. Le loro mani svolgono con abilità le mansioni all’esterno come all’interno, nel ventre caldo e curato delle case, lo fanno come se le famiglie fossero numerose, come se la vita non chiedesse loro i conti con l’anagrafe.

Lo fanno con brio contagioso perché i loro cuori sono giovani nonostante i corpi appesantiti stentino a rotolarsi giù dai pendii come facevano quando, giovani e strette ai fidanzati, praticavano questo gioco bambinesco ed erotico allo stesso tempo. La voglia di imbrogliare il tempo è vitale come lo sono le loro potenti e fragorose risate, mentre giù in pianura passa un rapido in direzione Budapest. È l’unico accenno alla modernità, alla tecnologia che abita altrove. Forse la direzione del treno è solo immaginaria, la capitale della madrepatria non si nomina affatto, tranne in una canzone che accenna un’arzilla sdentata. Il suo è un canto innocuo che parla di una fanciulla che passeggia per le vie di Pest… Nessun discorso di appartenenza etnica. Soltanto quello generazionale.

Condiviso con la sorte degli uomini, pure loro vedovi ultraottantenni dal cuore incredibilmente giovane. Neppure loro hanno abbandonato le armi della seduzione e del desiderio, accompagnati da gesti di incurabile romanticismo e vanità; come curare il corpo, pavoneggiarsi alla guida di un carro con il cavallo, essere autonomi nello svolgimento delle faccende domestiche ma anche cogliere un fiore e donarlo alla fiamma di sempre. O a una nuova, la scelta è generosa. Nonostante gli occhi brillino con più ardore in compagnia di sole due, tre predilette, nonostante i loro racconti non celino delusioni, tradimenti e fatiche intarsiati in un ricamo di vita di coppia ormai alle spalle. Ma di ricordo sempre vivo.

Szerelem patak è un film di stupefacente bellezza che scorre coi ritmi rispettosi di un tempo dilatato, lontano, attento ai mutamenti stagionali che offre la natura alla specie umana. Il paesaggio, l’altro protagonista indiscusso della pellicola è gradito contrappunto alla narrazione. Carico di inverosimili cromatismi, completa il linguaggio pittorico che distingue il documentario. E assieme alla palette di colori, ci arriva l’urto robusto del vento freddo dei Carpazi, o la quiete di neve che imbianca l’orizzonte, o l’opulenza di un sole-tuorlo-d’uovo che accompagna il ritorno dai campi di carri colmi di foglie e steli secchi di granoturco alla fine di un’estate senza età.

Ma più di tutto, il film è un ridente e dolce modo di confronto di una stagione di vita che riserva intatte le sue potenzialità relazionali.

Szerelem patak di Ágnes Sós,  Ungheria 2013  HD, col., 70’   v.o. ungherese – rumena

trailer

 

 

 

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