La notte dei mascheri di Camilla Salvago Raggi
Il mio esordio narrativo come scrittrice – termine impegnativo! diciamo, come donna che scrive…- fu tardivo (avevo passato la trentina) però preceduto da un lungo, lunghissimo periodo di gestazione.
Infatti posso dire di aver sempre scritto.
Sarò stata sui sei – sette anni, e già scrivevo un giornalino illustrato che distribuivo (facendomelo pagare) in famiglia.
Scrivevo poesie tipo “dagli alti e cupi cieli/ la gialla e tonda luna/ guarda tra i ricchi veli/ di una finestra bruna” e consimili.
Poi – dai tredici anni in poi – cominciai a scrivere sul serio: romanzi e racconti, però in inglese, sulla scia dei libri (inglesi) che divoravo: quelli della Florence Barclay, della E.M. Montgomery, della Eleanor Farjeon. Posso dire che imparai l’inglese prima dell’italiano.
In inglese scrissi anche interi poemi e poesie, una delle quali fu accettata da non so quale rivista inglese e avrebbe dovuto venir musicata se…il giorno in cui ne ebbi l’ annuncio , non fosse stato il 10 giugno, quello fatidico dell’entrata in guerra !
In quegli anni imparai a scrivere in italiano, e fu l’inizio di una sorta di saga familiare ispirata ai libri di Karin Michaelis, cioè le varie Bibi pubblicate da Vallardi.
Bibi era una bambina danese, i suoi nonni erano nobili , ma sua madre si era resa colpevole di una mésaillance sposando – orrore ! un capostazione.
Nel mio caso la borghese era mia madre, cioè la situazione in- versa ; però le analogie erano tante e posso dire che i libri di Bibi mi segnarono profondamente.
La mia saga si svolgeva in Riviera, e riempì volumi, o per meglio dire quaderni, certi quaderni belli spessi, dalla copertina cartonata che compravo alla Cartoleria Corvetto di Salita Santa Caterina ( solo qualche coetaneo genovese potrà forse averne memoria…)
Seguì un periodo di inattività scrittoria, o meglio, di incapacità a mettere nero su bianco le varie idee che mi si affollavano in testa.
Trovai quella che posso chiamare la mia strada quando, negli anni Cinquanta, mi stabilii con mia madre a Campale, nella casa dove villeggiavo al tempo dei nonni.
Bazzicavo il cortile, le stalle, le cucine dove mi sentivo di casa: la sera si ascoltava la radio, Nilla Pizzi, i primi festival di Sanremo…
Poi sull’aia a sfogliare granturco, nella vigna a aiutare a vendemmiare.
E i qui scaturirono i miei racconti, ambiente contadino, echi (lontani..) di Pavese, Fenoglio…
Ne misi insieme parecchi , oltre a un romanzo (anche quello di ambiente contadino) che mandai a Vittorini, di cui avevo letto da qualche parte che si diceva disposto a leggere testi di autori “giovani” in cerca di editore.
Li lesse infatti, e mi rispose con una lettera che conservo a tutt’oggi come una reliquia:
“…E se anche”, diceva,”mi sembra che (i suoi racconti) non possano fare un libro, la soddisfazione di avere incontrato <una scrittrice> l’ho provata”.
Scrittrice ! Detto da Vittorini ! Cominciai a crederlo sul serio.
Continuammo a scriverci, lui sempre incoraggiante e partecipe malgrado i miei insuccessi (Calvino aveva rifiutato i racconti per i “Gettoni”) tanto che mi suggerì di rivolgermi a Leonardo Sciascia, e poi alla Banti. Sciascia infatti ne pubblicò due su Galleria, e uno (La padrona giovane) lo pubblicò la Banti su Paragone.
E a questo punto – il miracolo !
Raffaele Crovi, un giovanissimo Crovi allora mio referente presso Vittorini, mi scrisse che un suo amico, tale Marcello Venturi, aveva letto la “Padrona Giovane”, gli era piaciuta, e volentieri avrebbe visionato altri miei racconti per una collana che al momento stava dirigendo per Feltrinelli (Nuova Universale Economica).
Naturalmente glieli mandai, gli piacquero, lui venne a Campale per parlarne (io, convalescente di una pleurite, non potevo affrontare il viaggio) e – fu un colpo di fulmine per entrambi !
Galeotto fu il libro, è il caso di dirlo.
Marcello non solo me lo pubblicò (col titolo “La notte dei mascheri”), ma la data della sua pubblicazione coincise con quella del nostro matrimonio.
Matrimonio felice sotto ogni aspetto: lui scrittore, io, che nel frattempo mi ero fatta un piccolo nome, comunque avevo pubblicato, raggiungendo, passo dopo passo, lo scopo che da sempre mi ero prefissa.
Ed eravamo alla vigilia delle nozze d’oro se un male – di quelli che non perdonano – non se lo fosse portato via.
Io vivo ormai del suo ricordo, e del coraggio che in qualche modo me ne viene e che mi consente – anzi, mi incoraggia – a continuare a scrivere.
Intervista di Valentina Carosini a Camilla Salvago Raggi per Radiodelledonne.org
Camilla Salvago Raggi è nata nel 1924 a Genova e ora vive in Piemonte, a Campale. Ha debuttato nel 1960 per Feltrinelli con la raccolta di racconti “La notte dei mascheri”. In seguito ha pubblicato, tra l’altro, “Dopo di me” (Mursia, 1967) e “Paradiso bugiardo”, riedito nel 1988 da La vita felice. In seguito escono per Longanesi “L’ultimo sole sul prato” (1982), “Il noce di Cavour” (1988) e “Prima del fuoco” (1992), trilogia in cui racconta il destino dei Raggi negli ultimi tre secoli, una della due antiche famiglie di cui è l’ultima erede e la cui nobiltà risale al 1528. Con “Prima del fuoco” (1992) ha vinto il premio Rapallo Carige.
Camilla, pescando dall’enorme archivio familiare di cui dispone e dalla propria memoria, trasforma in opera narrativa il frutto della propria minuziosa ricostruzione storica e della libera inventiva. Nei suoi romanzi non viene mai trascurata la storia parallela di contadini, serventi e famigli che lavorano per cardinali, banchieri e finanziatori. Nel 2003 con “La druda di famiglia” si avventura anche nella storia ancora più antica dei Salvago e ne trae il ritratto di un’antenata medievale.
Di recente ha pubblicato vari libri di racconti tra cui “Un’estate ancora” (Aragno 2006) e “Prima o poi” (Viennerierre 2009), in cui abbandona le storie di famiglia per narrare, con tratti ironici e brevi, storie e vicende dell’oggi. Il suo romanzo storico “Donna di passione” (Viennepierre 2007) è invece incentrato su Anna Giustiniani, nobildonna genovese innamorata di Cavour e morta suicida. Ultima opera è “L’ora blu” (Aragno 2009), magnifico, denso, romanzo in cui racconta degli anni dell’ultima guerra a Genova.
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