È a partire da sé che ha iniziato Alina Marazzi, regista e autrice che intesse nei suoi film trame fatte di memorie personali capaci di divenire collettive, di intrecciarsi alle vite delle spettatrici e degli spettatori. Tutto parla di te è l’ultimo film della regista, scritto a quattro mani con Dario Zonta, prodotto dalla Mir cinematografica, e montato ancora una volta da Ilaria Fraioli, con la quale Marazzi ha stretto da tempo un proficuo ed efficace sodalizio, nonché una grande amicizia. Il film è stato presentato alla festa del cinema di Roma; lo abbiamo rivisto in anteprima italiana a Paderno Dugnano, assieme ad una serie di fotografie di Paola De Petri, Io parto, che ritrae con efficacia e reale smarrimento la gravidanza ai nostri tempi, nei paesaggi smarriti e assolati dell’hinterland milanese. Una proiezione partecipata ma intima, dove, lontane dai riflettori dei tappeti rossi e dalle folle affamate dei critici, ci siamo incontrate, molte donne e anche uomini, con la regista e con il produttore Gianfilippo Pedote, per parlare del film e dell’importanza, del coraggio e della necessità di affrontare un tema così delicato come quello della depressione post-parto e delle difficoltà legate alla maternità.
Nel film, una narrazione costruita intorno a molti modi di raccontare, molti materiali, molti sguardi – la fiction, il documentario, la fotografia, i filmati di archivio e l’animazione – si racconta la storia di Pauline (Charlotte Rampling) che, bambina, ha vissuto la depressione e la perdita della madre, e di Emma (Elena Radonicich), ragazza alle prese con una maternità difficile. L’incontro tra le due donne non è casuale: Pauline è tornata a Torino, alla Casa del quartiere, per proseguire delle ricerche iniziate anni prima.
La Casa è un centro che aiuta le madri sia nella preparazione per il parto, sia nelle fasi successive. L’incontro tra le due donne è l’incontro con molte altre, accomunate dall’essere madri, dal desiderio di esserlo, di esserlo a modo proprio, dovendo fare i conti con quel ruolo imposto dall’idea patriarcale di donna perfetta, dedita alla famiglia e ai figli, capace di rinunciare al proprio sentire per alienarsi completamente ai compiti e ai doveri coniugali.
Marazzi sovrappone le storie di queste donne, cinema verità, documentario, intrecciandole in maniera magistrale con la fiction, con l’animazione. Il film porta all’attenzione un tabù, e lo fa in maniera diretta, forse anche proprio per la ricchezza dei linguaggi che usa: le sequenze, quasi oniriche, dedicate alla memoria di Pauline, ricostruite attraverso filmati di famiglia, sono passaggi di grande respiro e allo stesso tempo di profondo dolore, al pari delle sequenze di fiction dedicate alla solitudine e al disagio di Emma, immagini rallentate, dove la natura e il corpo restituiscono il senso di abbandono e di chiusura.
Nel ricostruire il proprio percorso di madre e di figlia Marazzi lega indissolubilmente Tutto parla di te al suo primo film Un’ora sola ti vorrei (2002), mostrando il progredire della sua ricerca, non solo stilistica e formale. Il discorso si dipana attraverso la sua storia personale indagando la relazione tra donne, a partire da una mancanza, da un’assenza. Lo avevamo già visto nel suo primo film, dedicato alla madre Liseli, una donna fragile, come tante altre, che affronta il suo sentirsi inadeguata, il senso di colpa di una madre che lotta per esserlo.
Marazzi si sofferma sull’assenza delle relazioni, portando poi la sua indagine al di fuori della vicenda personale, cercando la sua storia nella storia di altre donne: in Vogliamo anche le rose (2007), altre Liseli si riconoscono nel racconto. In Tutto parla di te non c’è solo la messa in scena di un tabù, scaturita dal desiderio di portare all’attenzione delle spettatrici e degli spettatori una storia che è la storia di molte, che è la storia di tutte le donne che affrontano la gravidanza e la nascita di un figlio. C’è anche un messaggio, che passa, molto più forte di quanto forse sia stato pensato: è la relazione con l’altra, il riconoscimento nell’altra, che può e deve esserci sempre, al di là dei rapporti familiari, dei rapporti umani, dei rapporti sociali. È il desiderio di questa relazione che spinge molte donne a creare luoghi propri, i centri dove potersi incontrare, parlare e affrontare un’esperienza che non è un problema, ma che lo diventa se schiacciata dal senso di colpa e dalle costrizioni che la società ancora così legata al dover essere del patriarcato impone. E il desiderio ha spinto anche Marazzi a cercare, attraverso la costruzione di relazioni, la via per un discorso che parla di personale e politico. non è un caso certo che la regista lavori per questo film con l’amica di sempre Ilaria Fraioli, con la quale ha condiviso il montaggio doloroso e liberatorio di Un’ora sola ti vorrei, ma anche con altre donne (Daniela Persico, Francesca Bergonzi ed Elide Albertinotti, Irene Dionisio, Beatrice Pucci); perché le relazioni femminili non sono solo trama, ma anche una pratica, un modo di stare al mondo che fa parte dell’agire femminile e che a volte va rivendicato.
Un’ora sola ti vorrei il film
Vogliamo anche le rose il trailer
PUOI SEGUIRE LA SIL SU:
PASSAPAROLA:
[…] cui si parla nel film, commenta Sara Filippelli nella sua bella recensione a «Tutto parla di te», pubblicata sul sito della società delle letterate. Non è un caso, scrive Sara, che la sua collaboratrice principale per questo film sia l’amica di […]