È sempre una doppia storia

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Pubblichiamo due estratti del saggio di Diana Sartori dedicato a Histoire d’O, di cui è appena uscita una nuova edizione presso Bompiani, pubblicato in “Ri-scritture d’amore”, a cura di Paola Bono

È una riscrittura d’amore, Histoire d’O, che non smette di turbarmi da anni; infinite volte ci sono tornata sopra per questo aspetto perturbante, tante volte ho progettato di scriverci sopra, inseguendo le riletture che ne sono state date, e finalmente, faticosamente, lo sto facendo: qui e  anche con altre  in un libro sul desiderio femminile nel suo tratto turbativo e oscuro. È una sofferenza scrivere su questa storia che intercetta zone del mio immaginario con le quali non è agevole venire a patti. Eppure ci torno per un particolare godimento che mi attira – un sentire che anche altre lettrici femministe hanno confessato, qualcosa che muove un’ambivalenza espressa meglio che da ogni altra da Maria Marcus (1981, p. 204): «At last I find myself – because I have lost myself. At last I have become – O».

Histoire d’O turba, tocca, non gratifica le “magnifiche sorti e progressive” della libertà femminile, si mostra come riscrittura divergente e quasi opposta rispetto all’intento che hanno avuto molte riscritture femminili. Queste tendevano a ritrovare quella che era sempre stata mero oggetto d’amore come soggetto femminile attivo e desiderante; in Histoire d’O una donna riscrive la storia d’amore collocandosi dalla parte dell’oggetto, narrando una volontaria sottomissione a un itinerario di annientamento. Un vero traditore colpo basso, ma lì in basso ci sono viscere che accusano il colpo, persino con godimento.

Ci sono state più stagioni di discussione femminista attorno a questo libro scandaloso, che solitamente si sono confrontate con la provocazione del testo e della sua vicenda, con il fatto, messo persino in discussione, che l’avesse scritto una donna. Solo più di recente si è tentata una analisi che mettesse nel conto le circostanze della sua scrittura, la sua strategia complessiva alla luce di queste, tenendo presente dell’autrice sia la biografia, solo negli ultimi anni indagata a fondo, che il resto della produzione intellettuale, in particolare il seguito della Histoire, Ritorno a Roissy. La questione era già intricata, e questi nuovi elementi complicano ancora di più il quadro – ma cominciamo comunque a entrarci.

Una giovane innamorata disse un giorno all’uomo che amava: “Sarei in grado anch’io di scrivere storie come quelle che ti piacciono”

Un giorno l’amante porta O a fare una passeggiata in un quartiere dove non vanno mai. Il parco Montsouris, il parco Monceau. A un angolo del parco, all’inizio di una via dove non stazionavano mai tassì, dopo aver passeggiato nel parco ed essersi seduti a fianco a fianco sul ciglio di un prato, notano un automobile col tassametro, che assomiglia un tassì. “Sali,” lui dice. Lei sale.

Così inizia la doppia storia: un giorno O sale sul tassì che la immette sulla via che la porta al castello di Roissy, un giorno la giovane innamorata, che è poi Dominique Aury, imbocca una via di scrittura che la porterà in un tassì a narrare al suo amante la storia di O, poi pubblicata con lo pseudonimo di Pauline Rèage. C’è un lato oscuro e celato, e uno che sembra chiaro e diurno. Che poi a venire alla luce della pubblicazione e dello scandalo sia il lato segreto, mentre quello vissuto con successo alla luce del giorno resta nascosto, è anch’essa cosa non nuova. Però la storia di Dominique che racconta la storia di O ha a che fare in modo esemplare appunto con l’essere una storia sempre anche una doppia storia, con il trapassare di una storia in una storia: quella che si scrive vivendola in quella che ci prende e prende a narrarsi nella messa in scena di una vicenda il cui filo sottile ci annoda a una trama sottesa e già tante volte narrata.

Una relazione, un amore, sono detti non a caso una storia ed è una storia sempre doppia, perché l’amore si fa in due, semplicemente, ma forse anche perché l’amore si divide in due o si riduplica, l’amore che viviamo e quello che si riproduce in un’altra storia, sognata da noi e dall’altro e sognata in un sogno altrui. Doppio sogno, più propriamente, e un solo doppio non basta.

Così può capitare di trovarsi lì all’aperto, in pieno giorno, nel bel mezzo della via, chissà come incamminate per l’oscura strada che sale alla prigione del castello, su per la solita vecchia storia.

Torniamo dunque alla Histoire d’O, che esce nel 1954 a firma di Pauline Rèage e con una introduzione di Jean Paulhan – intitolata “Felicità nella schiavitù” – che suggerisce che il romanzo sia stato scritto per un uomo (in verità, come vedremo, lui stesso). L’entusiasta introduttore gioisce per la rivelazione da parte di una donna della scandalosa verità nascosta del desiderio femminile. In effetti quella verità celata è quella che gli uomini hanno sempre sostenuto, di cui sono stati sempre intimamente convinti. La novità è che lo ammetta una donna – con grande soddisfazione dell’amante-introduttore, perché è la riconferma che il grande mistero di che cosa vuole una donna è quel segreto di Pulcinella che gli uomini sapevano già: la verità finalmente si palesa ed è proprio quella palese che stava davanti agli occhi di tutti. Quel che vuole una donna è essere dominata, essere schiava per amore dell’uomo che ama. Nessun uomo avrebbe potuto dirlo con altrettanta forza e convincimento, e ora una donna lo rivela facendo vedere come l’altra parte del gioco erotico maschile e della sua storia sia esattamente il doppio speculare di quella storia.

La Storia di O in effetti racconta questo doppio della storia amorosa sessuale del soggetto maschio dal punto di vista dell’oggetto posseduto. Ciò che narra è la riscrittura della storia d’amore dal punto di vista della donna che ne è oggetto, o soggetto essendone oggetto, volontariamente e felicemente. Ma è una storia doppia in molti sensi: doppio inizio e doppio finale, innanzitutto. E non solo, riscrivendo la storia d’amore si duplica e riscrive anche una storia di ascesi mistica, il plot del castello della tradizione cortese, e la struttura dell’itinerario nel castello interiore teresiano (vedi Pallister 1995).

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La storia di O sarebbe presumibilmente diventata un classico dell’erotismo e della letteratura sadomaso anche fosse stata anonima; la circostanza che fosse firmata da una donna, per quanto con uno pseudonimo, la ha fatta diventare non solamente un caso scandaloso e dibattuto, ma la ha addirittura resa essa stesa canone. Canone del cosiddetto masochismo femminile come Sade o von Sacher-Masoch lo sono diventati per il sadismo e il masochismo maschili. Nei fatti quella di O è una storia che si propone come riscrittura del plot erotico maschile, nello specifico del modello di Sade.Torniamo al doppio inizio già ricordato: “Una giovane innamorata disse un giorno all’uomo che amava: ‘

Sarei in grado anch’io di scrivere storie come quelle che ti piacciono’”.

È l’attacco dello scritto Una giovane innamorata che Réage prepone a Ritorno a Roissy, togliendo un primo velo sulle circostanze della scrittura di O nel racconto dell’autrice, ancora occultata dallo pseudonimo. La giovane innamorata ha una relazione clandestina, i due amanti si incontrano nascostamente per anni, leggono libri, lui ama i racconti erotici, gli piace Sade. Lui sostiene che le donne non siano capaci di scrivere erotismo, lei accetta la sfida, sarebbe capace. Comincia così nottetempo a scrivere prendendo a prestito il nome di Paolina Borghese e Pauline Roland e il cognome Réage, dando così voce (al di là della sfida) «alla parte a lungo silente di un’altra, la parte notturna e segreta, che non s’è mai tradita pubblicamente né con un atto né con un gesto, neppure con una parola, ma che comunica attraverso i sotterranei dell’immaginazione con sogni antichi quanto il mondo» (Reage 2001, p. 18).

La vita diurna di lei, dice, è organizzata, ammansita, lì è il mondo dove ci si pensa liberi, ma c’è un altro mondo, un mondo notturno di schiavitù, di castelli, prigioni e fruste dove fanciulle “prostituite dall’amore” trionfano nelle loro catene. Quelle fantasie atroci e apparentemente insane che si ripetono prima di dormire sono in realtà più salutari di quelle che immaginano dimore ideali dove vivere felici e contenti, per quanto più realizzabili e possibili. Non sa, ammette, da dove le vengano quei sogni oscuri, ma con essi sente di saldare un debito, di pagare un riscatto rispetto alla vita che vive alla luce del giorno e ai suoi ideali, in fondo quelli sì,  impossibili:

So unicamente che mi erano benefici, e che mi proteggevano misteriosamente – all’opposto dei ragionevoli sogni ad occhi aperti che ruotavano intorno alla vita diurna e che cercavano di organizzarla, di ammansirla. Non sono mai riuscita ad ammansire la mia vita. Tuttavia era come se quelle strane fantasticherie mi aiutassero a farlo, come se venisse pagato un qualche riscatto dai deliri e dalle delizie dell’impossibile (ivi, p.18)

La donna libera del giorno e la schiava della notte sembrano nemiche, opposte e incompatibili: tra quella lei che racconta O e quella lei che lei stessa si racconta pare esserci un abisso, eppure questa doppiezza ha una natura intima comune e del tutto comune, che se riconosciuta e nominata per un “curioso contraccolpo” può diventare liberatoria come in un esorcismo che rovescia la schiavitù in libertà:

Tutto concorda fedelmente, la vita vissuta e il sogno, tutto si rivela come una realtà comunemente condivisa, nell’universo di una stesa follia – e se si ha la forza di guardare in faccia orrori, meraviglie, sogni e menzogne, tutto finirà per essere esorcismo e liberazione.” (pp.24-25)

“Ma è stato Sade a farmi comprendere che siamo tutti carcerieri,  tutti prigionieri, poiché c’è sempre in noi qualcuno che incateniamo con le nostre stesse mani, che rinchiudiamo, che facciamo tacere. In virtù di un curioso contraccolpo, accade che è la prigione stessa a donarci la libertà.”(p.19)

Lo pseudonimo coprirà la sua doppia vita e la sua identità per molti anni – e persino la sua identità sessuale visto che il dubbio che si trattasse di un uomo fu spesso avanzato- e sarà lei dapprima ad esporsi parzialmente concedendo un’intervista ancora con il suo nom de plume, e infine a rivelarsi pochi anni prima di morire, novantenne, nel 1998.

La misteriosa autrice dello scandaloso romanzo caso letterario degli anni ’50 era tutt’altro che oscura e aliena dalla scena letteraria, al contrario era avvezza a muovercisi da signora, rispondendo al nome di Dominique Aury, pseudonimo a sua volta di Anne Desclos la quale lo aveva assunto per la sua variegata e intensa attività di scrittrice, saggista, traduttrice, nota curatrice editoriale, e influente segretaria della NRF, La Nouvelle Revue français.

Anne/Dominique è una donna emancipata, di buona famiglia e buona educazione, nazionalista ma amante della lingua e della letteratura inglese, di destra e conservatrice ma coinvolta nella resistenza e di mentalità aperta nello stile di vita che la vede presto divorziata intrattenere avventurose e plurime relazioni sentimentali con uomini e donne, è una intellettuale, impegnata nel dibattito culturale e politico di un tempo che vive attivamente da protagonista condividendolo con l’intellettualità più in vista. Una donna dalla figura pubblica, insomma, dalla vita ricca, sfaccettata, insieme estremamente esposta e segreta sulla quale solo da pochi anni è possibile avere uno sguardo d’insieme grazie alla monumentale biografia scritta da Angie David, che indaga minuziosamente sulla sua vita nel lavoro e nelle vicende sentimentali. Sarebbero innumerevoli gli spunti biografici che potrebbero essere raccolti proficuamente per illuminare il rapporto tra la storia di O e la storia di Anne/Dominique (e non è possibile qui raccoglierli), ma va subito chiarito che non emergono nella biografia elementi che autorizzino a illazioni sulle effettive pratiche sessuali s/m di Dominique nella realtà. Non si può certo dire se Histoire d’O rappresenti o meno la vita sessuale o i giochi erotici dell’autrice, ma è certo che essa da una parte dà letterariamente espressione ad un immaginario e a un gioco sessuale nel quale lei è presa, dall’altra è una scrittura che fa letteralmente parte di un gioco erotico messo consciamente e lucidamente in scena da Dominique. A mezzo tra letterarietà e letteralità, alla storia di O, suggerisco, può esser attribuita la funzione di una riscrittura della storia d’amore e dell’immaginario erotico che consente alla storia di Dominique di non collassare nel destino fatale di quella di O.

Dominique Aury, Vocation: clandestine. Entretiens avec Nicole Grenier, Gallimard, Paris 1999.

Dominique Aury, La Révolte de Madame de Merteuil, « Le Cahiers de la Pléiade », XII (1951

David , Angie (2006) Dominique Aury, Paris: Ed. Leo Scheer

Marcus, Maria (1981)  A Taste for Pain: On Masochism and Female Sexuality, New York: St.Martin Press

Pallister, Janis L. (1985) “The Anti-Castle in the Works of “Pauline Reage””, The Journal of Midwest Modern

 Pauline Reage, Histoire d’O, traduzione di Andrea D’Anna, Bompiani Milano 2013, 236 pagine,  12 euro

Pauline Reage, Ritorno a Roissy, traduzione di Giulia D’Angelo, ES 2007

Paola Bono (a cura di), Riscritture d’amore, Iacobelli, Roma 2011 190 pagine, 13,90 euro

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