Attenta allo spazio del mondo che attraversa con l’originalità complessa della sua storia personale e letteraria, Igiaba Scego ha perseguito la sua naturale attitudine alla scrittura con una ricca e varia produzione letteraria, ripercorrendo vasti territori linguistici e culturali in cui si stagliano figure e voci rivelatrici della complessità contemporanea.
L’attribuzione del premio Mondello 2011 al suo La mia casa è dove sono nella categoria “opere di autore italiano” segnala senza ulteriori specificazioni il suo contributo alla letteratura italiana contemporanea. Qui tracciando mappe degli spazi e della storia Igiaba afferma se stessa – anzi sé e i suoi piedi (p.31). Ma per noi lettrici afferma lei e le sue parole che fanno emergere i luoghi e la memoria concreta che la lega a due amate città – Roma e Mogadiscio. In questo che è il suo ultimo libro l’autrice procede lungo i percorsi della memoria per riappropriarsi della città distrutta e allo stesso tempo dispiega con sicurezza la sua città natale, Roma, che ha imparato a tracciare e a fermare saldamente nella sua personale enciclopedia partecipando alla mappatura dell’esilio della sua famiglia, e attribuendo agli spazi la suggestione della sua stessa genealogia. L’elefante della Minerva, un animale africano al centro di una piazza romana ha lo sguardo dell’esule, anzi lo stesso sguardo della mamma di Igiaba, che nei suoi successivi spostamenti ridisegna la sua mappa. E con il bagaglio che è proprio della tradizione somala, dispiega le molte storie.
Anche il primo libro pubblicato da Sinnos in una collana per ragazzi con il testo a fronte in somalo è scopertamente autobiografico, ma l’io narrante è in questo caso Kadija, la madre di Igiaba. E’ con la voce di Khadija che leggiamo le esperienze di una nomade che amava Alfred Hitchcock, come recita il titolo del libro, ma che da bambina viveva in boscaglia, in grande familiarità con gli animali, i classici protagonisti delle favole somale che tutte si concludevano con una pedagogica considerazione morale. Da questa linea di letteratura orale somala, dalla presa di parola delle donne, uscite da un silenzio troppo a lungo imposto, la scrittura di Igiaba si frammenta e si ricompone nel romanzo Rhoda (Sinnos 2004) con la presentazione in tempi e situazioni diverse di quattro voci, tre donne somale e un solo uomo, italiano. Solo una delle personagge, la Rhoda del titolo, si esprime in prima persona. Qui la mappatura, l’individuazione del fuoco di attenzione del discorso è temporale, ma non ordinata cronologicamente. Una simile architettura narrativa la troviamo in Oltre Babilonia (Donzelli 2008) dove attraverso una triplice dislocazione ambientale le narrazioni che hanno protagoniste due giovani donne e le rispettive madri sono anche qui seguite, in tutte le otto sezioni in cui si articola il romanzo, da un solo personaggio maschile, definito “Il padre”. Il disegno geografico e la mappatura oltre a Roma si allarga all’Argentina, e alla Tunisia. Nell’oltrebabilonia si apre un mondo scoppiettante: nelle pagine di questo libro-mondo i narrati delle quattro voci femminili e di quello maschile si snodano e si riintrecciano in un flusso di narrazione che recupera il passato e si proietta nel futuro, in alcuni casi affidando a un registratore il racconto del presente. Un’articolazione per voci che ricorda la virginia Woolf di Le onde.
In questi quattro libri autoriali (2003-2011) è sempre presente il jamesiano “destino complesso” della scrittrice consapevole delle grandi ferite del colonialismo e della difficile storia di una Somalia dilaniata dai conflitti, ma sommessamente portatrice di una speranza tutta africana. Di questo destino Igiaba Scego fa generosamente regalo alla pubblicistica italiana con acuti e puntuali interventi sulla stampa. In ragione del suo contributo a una cultura letteraria di più vasti orizzonti e del suo impegno per una nuova e condivisa cittadinanza che tutte ci coinvolge, la Società Italiana delle Letterate accoglie con piacere Igiaba Scego tra le sue socie onorarie.
Roma, 7 aprile 2013
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