È stato ripubblicato da pochi mesi da Einaudi, in una nuova traduzione dell’eccellente Susanna Basso, Chi ti credi di essere, di Alice Munro, uscito per la prima volta in Italia nel 1995 con la casa editrice e/o. Ricordavo bene di averlo letto tutto d’un fiato, come sarebbe accaduto poi con tutti i suoi lavori successivi. Ma sempre con un filo di apprensione, di inquietudine, che non mi sono mai attardata troppo ad analizzare. Ora mi ha preso la curiosità di rileggerlo e sono rimasta folgorata.
Ho riletto tutti i racconti più di una volta, ho sottolineato passaggi e trascritto frasi. Scoprendo che ricordavo poco dei dieci racconti che compongono la raccolta, credo di aver capito le ragioni di quell’inquietudine, e forse anche di una qualche rimozione operata nei confronti di una scrittura capace di incidere la carne e togliere il fiato. I racconti corrispondono ad altrettanti momenti della vita di Rose, la protagonista, che si susseguono in ordine cronologico, con anticipazioni e flash back che contribuiscono a rafforzare la sensazione della circolarità del tempo della vita, e il legame stretto che corre tra tutte le vicende che ne compongono il mosaico, anche quelle all’apparenza più insignificanti; la storia ci viene raccontata da un narratore onnisciente, che conosce così bene Rose da poter descrivere le pieghe più nascoste della sua anima.
All’inizio ce la mostra bambina ostinata e orgogliosa, impegnata a crescere nel confronto-scontro con la matrigna Flo e un padre al quale la lega un rapporto di odio-amore reciproco. «Sta’ attenta a non diventare troppo intelligente, che poi ti penti>>, commenta lui alla vista dei libri di scuola di Rose; perché lei si appresta a diventare una «femmina nel modo sbagliato, un modo che non le avrebbe permesso di diventare il giusto tipo di donna». Invece Flo, che rappresenta il tipo giusto di donna, non esita ad apostrofarla con quel «chi ti credi di essere», ispirato da un pragmatismo depressivo e senza speranza, capace di sgretolare i tentativi caparbi di Rose di diventare se stessa, adulta. Ma, nonostante tutto, il tempo passa, e con il tempo arrivano l’adolescenza, le opportunità di allontanarsi dalla soffocante cittadina di provincia dove è nata, di frequentare l’università.
Qui incontrerà e sposerà un uomo molto diverso da lei, per nascita e condizione economica, innamorato al punto da volerla “salvare”, e che lei per un po’ crederà di amare. Tra illusioni e delusioni il matrimonio durerà dieci anni, nascerà una figlia, Rose avrà degli amanti sbagliati, perchè non c’è mai corrispondenza tra ciò che lei immagina debba essere il rapporto con gli uomini che incontra e ciò che la spinge verso di loro.
Il percorso della sua vita si snoderà contro ogni pronostico lungo una strada di libertà e di pienezza. Ma tutt’altro che lineare, è invece costellato di smagliature impercettibili, agguati e svolte che lo rendono ben più accidentato di quanto possa apparire in superficie. E forse quell’inquietudine di cui parlavo ha origine da qui: da quelle smagliature che possono apparire all’improvviso e che ci colgono di sorpresa, perché in qualche modo ci riguardano e rappresentano verità sgradevoli sepolte in qualche angolino nascosto di un’esperienza che non ci è estranea.
Come la sordida iniziazione sessuale che subisce durante un viaggio in treno per mano di un taciturno prete, nel corso della quale la condizione di vittima si confonde con quella di complice: «Ma c’era dell’altro. La curiosità. Più presente e imperiosa di qualsiasi desiderio. Di per sé una forma di desiderio, che ti fa indietreggiare e attendere, attendere troppo a lungo, fin quasi a rischiare il tutto per tutto, solo per vedere cosa succederà». Una pagina memorabile. Così come le pagine che raccontano quel modo contraddittorio di affidarsi alle ragioni del cuore, nel passaggio che la porta a decidere di sposare l’uomo che dice di amarla: «Lei non poteva rifiutare Patrick. Non poteva. E non era la quantità di soldi, bensì la quantità d’amore che lui le offriva a non poter essere ignorata […] La dimensione, il peso, la lucentezza di ciò che lui chiamava amore, dovevano per forza far colpo su di lei, anche se non aveva mai chiesto tanto […] Era ciò che aveva sempre sognato, non ciò che aveva sempre voluto».
Nell’ultimo racconto Rose ha quarant’anni; il percorso per diventare se stessa l’ha riportata nella cittadina da cui era partita, per far visita a Flo ricoverata in una casa per anziani, ormai priva di memoria e di cattiveria. Ora che è arrivata a capire chi davvero crede di essere, chi davvero è, può anche ricordare senza inciampi il tempo passato e un lontano e sorprendentemente mai dimenticato primo amore. Ricorderà anche la sua maestra: anche lei le aveva detto un giorno «chi ti credi di essere», ma con l’intento di salvarla dalla mediocrità. E Rose ora lo sa.
Alice Munro Chi ti credi di essere, trad. di Susanna Basso, Einaudi, Torino 2012, 280 pagine, 19,50 euro
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