Nell’ordine patriarcale che ha fatto della genealogia maschile la misura dell’ordine sociale, la relazione madre-figlia è stata storicamente occultata e negata. “Nelle nostre chiese, nei nostri municipi, nei nostri luoghi pubblici, non esiste nessuna immagine valida di coppia madre-figlia”, scriveva Luce Irigaray nel 1987 e aggiungeva che per accedere a una cultura effettivamente fondata su due sessi era necessario “ristabilire le relazioni madre-figlia”. Per questo suggeriva di “esporre in tutte le case e in tutti i luoghi pubblici belle immagini (non pubblicitarie) di coppia madre-figlia [perché] queste immagini hanno lo scopo di dare alle figlie una rappresentazione valida della loro genealogia, condizione indispensabile per la costituzione dell’identità.”
Di fronte ad una scultura lignea di Anna e Maria, la coppia femminile sacra dell’iconografia cristiana, la stessa Irigaray raccontava di aver provato “un effetto percettivo e mentale di intensa giubilazione ….. sentivo di trovarmi davanti ad una figura estetica ed etica di cui ho bisogno per vivere senza disprezzo della mia incarnazione, di quella di mia madre e delle altre donne”.
Rappresentazioni di madri e figlie sono piuttosto frequenti nell’arte occidentale, in particolare nella ritrattistica, ma per rispondere appieno al suggerimento di Irigaray è necessario soprattutto un lavoro critico di valorizzazione simbolica capace di rendere visibile la coppia madre-figlia. È ciò che occorre fare, ad esempio, nel caso delle più note artiste dell’Impressionismo Berthe Morisot e Mary Cassatt che la critica ha sempre esaltato per la raffigurazione di bambini, un soggetto molto popolare nella pittura della seconda metà dell’Ottocento.
Fu Cassatt, in particolare, la pittrice più celebrata per le sue madri e bambini “che brillano di freschezza e salute”6 e che le guadagnarono l’apprezzamento dei contemporanei. Joris-Karl Huysmann, ad esempio, è ricordato da Ann Sutherland Harris e Linda Nochlin come uno degli ammiratori più convinti della pittrice americana di cui lodava “la magistrale padronanza del tema di madre e bambino: un tema che facilmente lo esasperava, ma i cui aspetti gradevoli, lo riconobbe, la Cassatt sapeva trasmettere senza logori sentimentalismi”. Anche in tempi recenti, sulla rilevanza che questo soggetto assume nella pittura di Mary Cassatt, Maria Teresa Benedetti ha scritto: “la pittrice non vive nella realtà l’esperienza della maternità … ma afferma con rara intensità la pregnanza del rapporto madre-figlio, rendendone con efficacia la fisicità, il calore, l’intimità ..”
Che in realtà Morisot e Cassatt raffigurino soprattutto bambine (Berthe, in particolare, la figlia Julie) appare del tutto ignorato. Cosa ha impedito/impedisce di riconoscere il sesso della rappresentata, cosa ne rende possibile la cancellazione?
Riprendendo Luce Irigaray: “Le nostre società presentano … due carenze, due rimozioni, due ingiustizie o anomalie: 1) le donne che hanno dato vita e cresciuto l’altro in se stesse vengono escluse dall’ordine creato dai soli uomini; 2) il bambino figlia, anche se concepito da uomo e donna, non viene inserito nella società come bambino del padre allo stesso titolo di un bambino figlio”. Nella cultura del corpo sociale maschile che si è costruita escludendo la differenza, l’esistenza di madri e figlie è, quindi, rimasta senza simbolizzazione, puro dato biologico, pressoché ignorata anche nella cultura visiva, massicciamente concentrata, invece e in particolare in ambito religioso, sulla coppia madre/figlio. Eppure, le impressioniste hanno rappresentato madri e bambine.
Se interroghiamo i loro testi a partire da una ricerca di senso e da una lettura radicata nel presente, nell’idea di una genealogia femminile, ecco allora che una maggiore limpidezza è restituita alle opere delle artiste, ecco che acquista visibilità e significato autonomo ciò che, altrimenti, non si riesce neanche a vedere: sia Morisot che Cassatt “mettono in scena” la relazione madre/figlia. Per Berthe, si è detto, si è trattato proprio di ritrarre se stessa con Julie. Particolarmente significativo è Julie au violon (1893) dove la figlia è raffigurata in primo piano, nel soggiorno di casa mentre suona il violino; sullo sfondo, alla parete, sono due ritratti: a destra una parte di quello del marito realizzato da Degas, a sinistra il ritratto della stessa Morisot fatto da Manet. Così Morisot equipara “se stessa a suo marito caratterizzando sua figlia con una linea di discendenza decisamente sbilanciata a favore del lato materno. E … inserisce in una nuova dimensione il rapporto madre-figlia perché nel dipingere se stessa e sua figlia nella medesima immagine ma con registri di raffigurazione diversi rende il legame fra loro più intellettuale che fisico”.
La relazione madre/figlia non è, quindi, descritta in termini di semplice continuità biologica ma è presentata sulla base di un’affinità artistica e culturale: la capacità femminile del generare – la dimensione materna- non implica solo il fare figli/e, ma sottintende un’idea della creazione simbolica di cui la donna si riappropria.
È stato ricordato che Mary Cassatt non fu madre e che, pertanto, “parla” di un’esperienza che non conobbe direttamente. Se certamente non fu madre, Cassatt fu, però, figlia; le sue raffigurazioni della maternità possono essere interpretate come traduzione visiva della relazione con sua madre così che, riproposta “nella vita adulta, l’antica relazione con la madre” rivive “come principio di autorità simbolica”.
Nel 1905 l’artista americana realizza Mother and Child: una figura femminile seduta in una poltrona posta di scorcio rispetto al piano pittorico porta sulle ginocchia una bambina. Il punto di vista è ribassato così che l’immagine della donna domina lo spazio pittorico. Rivolte verso chi osserva, le due figure sono disposte secondo una direzione diagonale da destra a sinistra, alla loro destra uno specchio a muro dilata lo spazio e ne rimanda l’immagine mentre la bimba stringe in mano, con l’aiuto della madre, un altro specchio rotondo che ne riflette il volto.
Il tema delle donne allo specchio, del rito privato della toeletta, costituiva un soggetto ricorrente nella pittura di quegli anni, interpretato superficialmente, anche da storiche dell’arte, come visualizzazione della vanità quale comportamento naturale delle donne. L’opera di Cassatt rimanda, a mio avviso, a tutt’altro senso, all’idea della scoperta di sé da parte della bambina, una scoperta incoraggiata dalla madre: l’adulta sostiene con la mano sinistra la spalla della bambina e con la destra l’aiuta a scoprire la sua immagine allo specchio, a guardare dentro di sé e la corrispondenza fra l’immagine riflessa della bimba e quella della madre mette in visione la genealogia non interrotta. Il divenire donna, la consapevolezza di sé per la figlia, “dice” Cassatt, è autorizzato dalla madre e questa crescita avviene senza che si spezzi, come vuole la cultura maschile, il legame con lei. “L’interiorità, l’intimità con sé, per una donna, non può stabilirsi, ristabilirsi se non tramite il rapporto madre-figlia, figlia-madre che lei stessa tornerebbe ad impersonare”: Cassatt la illustra nel parallelismo fra il viso della bimba che ci guarda dallo specchio e quello della donna adulta che la piccola tornerà ad impersonare.
L’esperienza della “coppia creatrice originaria”15 (la coppia madre/figlia) torna così a rivivere: Cassatt dà visibilità e significato a ciò che nell’ordine simbolico dato è, invece, invisibile, relegato a dato esclusivamente biologico. Organizzato in segno visivo, il dato concreto della relazione madre/figlia restituisce esistenza simbolica ai rapporti soggettivi tra donne ed esprime il senso autonomo della genealogia femminile come condizione necessaria per la costituzione della nostra soggettività.
Una soggettività ed un’esperienza, quelle femminili, che Cassatt era stata esplicitamente interessata a rappresentare. Il suo impegno aveva preso forma nella decorazione del timpano della sala d’onore del Woman’s Building, progettato nel 1893 da Sophia Hayden per l’Esposizione Universale di Chicago ed oggi distrutto. Il murale, dedicato alla “donna moderna”, presentava figure femminili mentre raccolgono frutti, interpretate in forma grandiosa e solenne secondo una impostazione monumentale, peraltro ricorrente nella sua pittura. Un’immagine simbolica che lei stessa, in una lettera, spiegherà così: “ho scelto per soggetto della composizione centrale e più grande giovani donne che colgono i frutti della conoscenza e della scienza ….. Un amico americano mi ha chiesto l’altro giorno in maniera piuttosto petulante: ‘allora questa è una donna al di fuori dai suoi rapporti con l’uomo?’ Gli dissi che lo era” 16.
Luce Irigaray, “L’ordine sessuale del discorso”, in Inchiesta, n. 78, Ottobre-Dicembre 1987
Berthe Morisot (1841-1895) fu una sperimentatrice originale, tanto in termini tecnici che espressivi. Il suo itinerario artistico vedrà il disegno e il colore progressivamente fondersi, le forme dissolversi una nell’altra grazie ad un tocco sicuro ed accurato, fatto di pennellate dinamiche, brevi e diagonali, in un gioco di armonie cromatiche costruite su una tavolozza semplificata e dominata dal bianco. La particolare qualità del suo tratto, enfatizzata intorno al 1880 dall’uso di superfici ruvide (sia per le tele che per i fogli), si leggerà anche nei dipinti a olio, sempre più simili a disegni schizzati e ad acquerelli, in particolare per la scelta della pittrice di mantenere, sulla tela, dei “vuoti” di colore, proprio come se si trattasse di un disegno o un acquerello, in quella ricerca di “spontaneità” che neanche l’uso del disegno preliminare riuscirà ad annullare.
Trasferitasi in Francia dagli Stati Uniti, Mary Cassatt (1844-1926) elaborò un linguaggio formale caratterizzato da una tavolozza chiara e vivace, da un tocco leggero e veloce, in una visione libera ed originale che non rinuncia alla solidità e all’interesse per il disegno. La particolare attenzione alla definizione di tagli visuali inediti si affianca ad effetti di compressione spaziale e di riavvicinamento del punto di vista, caratterizzando strutture compositive in cui la figura femminile è solitamente spinta contro il piano frontale del quadro in uno spazio poco profondo. Nei tardi anni ’80, l’incontro con le stampe giapponesi segnò una svolta importante nella produzione grafica con l’assimilazione e la traduzione delle peculiari concezioni formali dell’arte giapponese. Ne risultò una serie di 10 stampe a colori di grande efficacia ed originalità, caratterizzate dall’essenzialità del disegno, dalla semplificazione dei piani, dal colore steso in aree piatte ed omogenee, prive di sfumature. La tavolozza dei colori rimase quella tipica dell’artista che evitò l’uso del nero -preminente nelle stampe giapponesi- a favore di tinte brune, grigi, blu, verdi ed un’ampia gamma di rosa, gialli e azzurri.
André Mellerio, “Miss Cassatt” prefazione al catalogo della mostra di Mary Cassatt alla galleria Durand-Ruel nel Novembre-Dicembre del 1893, in Marianne Delafond e Marie-Caroline Sainsaulieu (a cura di), Les Femmes impressionistes, Paris, La bibliothèque des arts, 1993, p. 14.
Ann Sutherland Harris e Linda Nochlin, Le grandi pittrici.1550-1950, Milano, Feltrinelli, 1979 p. 248
Maria Teresa Benedetti scrive a proposito di Mary Cassatt: “La pittrice non vive nella realtà l’esperienza della maternità … ma afferma con rara intensità la pregnanza del rapporto madre-figlio, rendendone con efficacia la fisicità, il calore, l’intimità ..” in “Una donna soggetto”, Art e Dossier,n. 109, Febbraio 1996, p.27.
Anne Higonnet, “Immagini di donne” in Storia delle donne in Occidente. L’Ottocento, cit., p.295.
Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1991, p.35.
Kathleeen Adler e Tamar Garb, Berthe Morisot, New York, 1987
Luce Irigaray, L’etica della differenza sessuale, Milano, Feltrinelli, 1987, p. 57.
Frederick A. Sweet, Miss Mary Cassatt, impressionist from Pensnsylvania, Norman (Oklahoma), 1966
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