Ogni pagina del libro di Savina Dolores Massa, Cenere calda a mezzanotte, dispensa l’emozione del ritorno a casa; vi si ritrova il conosciuto sempre diverso, il nuovo che sa di antico. I racconti che compongono questo romanzo sui generis non smettono di avvolgere: la loro eco non si interrompe, la narrazione prosegue in una spirale infinita al di là delle 424 fitte pagine. Questo libro è epica nel senso etimologico della parola. ‘Epica’, infatti, significa ‘racconto’: la sua sostanza è orale, la sua genesi si realizza nell’andare di bocca in bocca, nel costituirsi spontaneo di una trama intarsiata di temi e scene tipiche, attinti dalla memoria collettiva, sempre uguali e sempre nuovi, cangianti. I racconti che compongono Cenere calda a mezzanotte costituiscono altrettanti ‘quadri’, accostati l’uno all’altro, come gli episodi nell’epica arcaica: la paratassi domina dunque la lingua e le vicende, tenute insieme da un filo che si dipana ma può essere interrotto in ogni punto e da un punto qualsiasi cominciare o ricominciare.
- Il succedersi di una storia ad un’altra avviene perciò come in un canto amebeo: la voce rincorre la voce e le passa il testimone. Ma la voce, come nell’epica greca arcaica, è voce poetica, è audè, canto. Si fa torto perciò a questo libro se lo si legge silenziosamente, come accade naturalmente in una civiltà della scrittura; andrebbe recitato in pubblico; le sue pagine dovrebbero esser dialogate, cantate in una piazza, per tutto il giorno e sino al giungere della notte: ché il racconto ben riuscito, di cui il narratore organizza il ‘cosmo’ poetico, cioè l’ordine, la retorica e la suspence, riesce a vincere anche il sonno, come sappiamo sin dai racconti falsamente autobiografici di Odisseo nei libri centrali dell’ Odissea, incorniciati dal silenzio attonito di chi ascolta e mai si mostra sazio, anzi avido sempre più di ascoltare. Anche nel libro di Savina Dolores Massa il gusto, la gioia del raccontare, vince su ogni necessità della vita. Il racconto è una magia, un farmaco miracoloso, che induce all’oblio di qualsiasi dolore e lutto: impariamo anche questo dall’epica di Omero. Il racconto dà terpis, piacere, consolazione, gioia; brilla come prezioso amuleto per ogni occasione della vita; ma è d’altro canto la vita stessa, la sua mimesi.
- Il romanzo di Savina Dolores Massa, voglio insomma dire, è autenticamente ‘omerico’: dunque assai ambizioso, se in Omero si intende e riconosce l’archetipo della narrativa occidentale. Facili nascono altre analogie tra l’epica omerica e questo libro: non c’è un protagonista, la voce narrante scaturisce da una pluralità di voci, talora in dialogo come in un testo rudimentalmente teatrale. Si direbbe una enciclopedia tribale, il repertorio di un sapere condiviso da secoli. Il luogo delle vicende è noto, ma non è significativo – ogni angolo di mondo contiene storie e la memoria fluttuante e inscalfibile dei suoi eroi. La Storia certo compare, fagocitando gli individui tutti succubi di una potenza superiore persino agli dei, la Tyche, il caso: e compare con le guerre, le stragi, la fame, le violenze, le ferite dell’animo e del corpo dei reduci. Gli esseri umani sono piccoli piccoli, ‘mangiatori di pane, diciamo con Omero, a sottolineare il loro limite di infelicità; stretti al loro universo composto da una via, un cortile, una casa assediata dalla natura e dalle umane follie, e tuttavia ardua difesa, rifugio agognato, centro del mondo. I sentimenti umani arrancano naufraghi, sommersi dalla Storia: eppure non ne escono scempiati, ma luminosi nella loro resistenza.
- Il narratore, nel libro di Savina Dolores Massa, non c’è, l’impersonalità non ammette smagliature. La lingua diventa una lingua d’arte, ingannevole, imita il ritmo del parlato mentre si compiace della propria stessa invenzione (talora troppo). Il racconto, i racconti, in una catena inarrestabile all’infinito, scaturiscono direttamente dalla memoria, ma chiedono d’altro canto l’aiuto della memoria: lo ottengono grazie al fitto tessuto di epiteti, di ripetizioni, formule fisse di tipo omerico, ausilio del ricordare e asterisco sul procedere inarrestabile delle parole. Il cuore segreto del narrare, lo ripeto, ce lo ha insegnato Omero nell’ VIII secolo a.C., una volta per tutte: questo ‘romanzo’ ne fa tesoro. Perché questo romanzo si sostanzia di ‘bugie simili al vero’ (vedi p. 170), come le favolistiche avventure di Odisseo: il quale – lo sappiamo – nel suo ritorno dalla guerra incontra mostri e seducenti maghe, giganti e delicate fanciulle, ninfe e regine; e incontra anche i morti, uguali com’erano in vita, solo intangibili, puro soffio, psyché, tuttavia presi dall’immensa nostalgia del mondo dei vivi, dalle sue poche gioie, dalle sue tante sofferenze. Anche in questo romanzo c’è una nekyia, una discesa all’Ade, un affollarsi di anime assetate di conoscenza di quel che accade nell’altrove che hanno lasciato. E per continuare con le analogie omeriche: anche in questo romanzo c’è un cantore cieco, come la tradizione vuole Omero, ma è una donna; la sua cecità, tragicamente reale, nondimeno è metaforica. Il poeta non può che esser cieco al mondo, perché contempla con la fantasia e sa tradurla in versi.
- Ecco: rispetto all’epica omerica, il romanzo di Savina Dolores Massa è dominato da voci di donne. È vero che per alcuni studiosi, brancolanti nella scia di buio lasciata dal pur splendente nome di ‘Omero’, in realtà Omero fu una donna, ché solo una donna poteva così profondamente penetrare nell’universo femminile di Calipso innamorata, di Circe stregata, di Nausicaa in attesa di marito. È vero che in Omero troviamo la prima narratrice della letteratura occidentale, la luminosa Elena, che intesse al telaio le storie di cui è protagonista, consapevole del suo futuro poetico, sa imitare tutte le voci e conosce il farmaco che induce all’oblio.
- Ma i protagonisti dell’epica arcaica sono i maschi e le loro guerre. Diversamente nell’epica di Savina Dolores Massa: la civiltà della scrittura e del libro non ammette anonimie, e la voce dell’autrice qui, anche se dietro il sipario, difficilmente può essere ignorata nelle emozioni pure delle voci femminili che cantano la loro epica, le loro durature ombre d’amore, il destino pesante di donna (e non di leggera nuvola), i tradimenti e le incostanze dei maschi, i desideri caparbi e inconfessabili, il legame inalienabile con i figli, con le sorelle, con le madri. Questo romanzo inattuale, in cui la parola non è sommersa dall’immagine o da altre forme di comunicazione, costituisce un esempio modernissimo di epica ‘omerica’ al femminile. Omerica e dunque mediterranea ed europea. Un altro torto infatti sarebbe volerlo deporre, dopo la lettura, in uno scaffale di “letteratura sarda”.
Savina Dolores Massa, Cenere calda a mezzanotte, Il Maestrale, Nuoro 2013, pp. 424, € 18.
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