Pare fatto apposta per ricordarci i settant’anni di voto alle italiane appena festeggiato, il nuovo, piacevolissimo romanzo di Maria Rosa Cutrufelli. Si intitola Il giudice delle donne e racconta la storia delle dieci maestre marchigiane che, prime in Italia, nel 1906, ottennero l’iscrizione alle liste elettorali dei comuni di Senigallia e Montemarciano. Come fu loro possibile riuscire non certo a votare, ma a farsi iscrivere nelle liste elettorali accanto agli uomini? La legge vigente stabiliva che fossero elettori i cittadini italiani che avevano compiuti i 21 anni, che sapevano leggere e scrivere e che pagavano una determinata imposta annuale. Tra le categorie di elettori di diritto c’erano “i professori e i maestri di qualunque grado”.
Da lì nasce l’idea di esercitare il diritto di voto. La battaglia imperversava anche in Inghilterra – come racconta l’imperdibile film di Sarah Gavron sulle suffragette inglesi appena passato sui nostri schermi – e le suffragette italiane, forti dell’appoggio di Maria Montessori, non erano da meno.
Maria Rosa Cutrufelli ha ripreso una vicenda colpevolmente dimenticata romanzandone con lievità e competenza i contorni, mescolando storia vera e vicende verosimili. Al centro del romanzo è la giovane Alessandra, una maestra che fa parte di quell’esercito di donne che all’inizio del ’900 raggiungevano borghi, anche lontani, per esercitare un mestiere che spesso alimentava intorno a loro molte critiche, comprese quelle della famiglia d’origine, da cui si allontanavano e non per matrimonio. Alessandra arriva dunque a Montemarciano, un paese in provincia della sua città natale, Ancona, dove conosce la maestra Luigia (Meucci, realmente esistita), leader delle dieci suffragette della sua zona e moglie del sindaco repubblicano che la sostiene, contro le malelingue e i pregiudizi.
Alessandra affitta una stanza presso un vecchio stagnaro che vive solo con la nipote Teresa, orfana di madre e il cui padre è emigrato in America. La “maestrina” che viene dalla città e gira in bicicletta trova un modo per comunicare con Teresa, muta probabilmente per via di un trauma infantile. Teresa è anche la prima ad accorgersi dell’amore che sta nascendo tra Adelmo, un giovane del paese sceso a tentare la carriera del giornalista ad Ancona e la “maestrina”, che non gradisce il diminutivo con cui lui scrive delle maestre che sfidano il divieto al voto per il suo giornale.
Ma come avvenne che le maestre marchigiane arrivarono a essere iscritte nelle liste? Il fatto è che incontrarono il giudice di corte d’Appello di Ancona Lodovico Mortara, “il giudice delle donne” del titolo, un insigne studioso che, contro ogni previsione, diede loro ragione. Del resto lo Statuto Albertino non portava scritto da nessuna parte un esplicito divieto di voto per le donne. Procedendo su questo vuoto legislativo le nostre fiere personagge finirono per diventare note e meritarsi le cronache dei giornali dell’epoca. Anche se dalla sentenza innovatrice nata dalla lungimiranza del giudice Mortara dovettero passare 40 anni, una guerra mondiale, una dittatura, un’altra guerra mondiale e infine la Resistenza perché il suffragio diventasse davvero universale: solo nel 1946 le italiane votarono e ebbero il diritto ad essere elette, iniziando un cammino che tutt’oggi procede.
Maria Rosa Cutrufelli sa restituire la voce alle donne (e anche degli uomini) nel loro tempo e lo abbiamo visto in tanti libri come La briganta, D’amore e d’odio e prima ancora nel libro appassionato La donna che visse per un sogno, dove aveva ricostruito la vicenda privata e politica di Olympe de Gouges, autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina che finì sulla ghigliottina di Robespierre.
È una gran bella storia questa che ci arriva dalle preziose pagine di Maria Rosa e dal suo paziente lavoro di ricerca storica. Storia tutta da ricordare perché come dice la maestra Alessandra, la libertà femminile è tanto precaria che “basta un soffio e se ne perdono le tracce”.
Maria Rosa Cutrufelli, Il giudice delle donne, Frassinelli, 264 pagine, 18 euro
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