La critica femminista tra scritture letterarie e scritture critiche – di Laura Fortini
Nel corso della complessa e raffinatissima trama dell’ultimo romanzo di Antonia S. Byatt, Il libro dei bambini, ha luogo nella parte centrale della narrazione una conferenza che ha per argomento «La donna e il futuro».
Siamo alla fine dell’Ottocento, le suffragette ostinatamente conducono una lotta durissima per il diritto al voto, patendo violenze fisiche e morali in carcere e fuori, cui rispondono con altrettanta ostinata e ribelle tenacia. Il mondo sta cambiando ed è un cambiamento che la prima guerra mondiale sancirà come definitivo in tutti i sensi: non è un caso che il romanzo anticipi nella sua conclusione il futuro avvento del nazismo, e questioni di purezza della razza che sembrerebbero nella cronologia lineare molto di là da venire.
Ma tutto il romanzo è, come è nello stile della scrittrice inglese, puntualmente esatto nelle datazioni e nella cronologia, e capace in modo magistrale di rendere una complessità del vivere che contempla la singolarità e la collettività come intimamente connessi – ne ha scritto al proposito una bella e fine recensione Graziella Pulce su «il manifesto» del 9/10/2010. Una singolarità e una collettività fatta di donne e uomini, di bambine e bambini, rispetto cui il titolo nella traduzione italiana non rende adeguatamente il termine inglese children, quando invece il romanzo rappresenta differenze femminili e maschili del crescere e del divenire donne e uomini agli esordi della contemporaneità. Allora come adesso nel romanzo si parla del posto della donna, per voce di donne, però, quella dell’autrice e della voce narrante, delle protagoniste, delle donne autorevoli che vengono invitate a parlare alla conferenza. Parliamo oggi al plurale di donne, perché è ormai acquisito che non vi è un unico essere femminile: le oratrici nel romanzo di Byatt bene tracciano e con loro l’autrice la molteplicità dell’essere donne, ma ancora parliamo di un posto, come se le donne non fossero dappertutto.
Perché dagli anni Settanta a oggi moltissimo lavoro è stato fatto, da quando ci si interrogava sull’assenza delle donne dalla scena politica, dalla storia, dalla letteratura, nel momento stesso in cui esse si stavano affermando a livello collettivo proprio grazie al movimento delle donne. Se il primo atto che allora si fece fu quello di guardare fisso in volto quello che a tutti gli effetti appariva un vuoto, un’assenza, una mancanza di collocazione, quando non addirittura di voce propria, quello successivo fu di decostruire l’orizzonte simbolico che sottintendeva quell’assenza, e fu atto potente, che portò il corpo delle donne, a partire dal quale esse parlavano – e non a caso la prima tappa fu la legge 194 – al centro della scena pubblica, in modo inaudito, scandaloso, travolgente.
*Questo articolo è già comparso su Alfabeta e in una versione più approfondita su Italian Studies (leggi)
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