A circa dieci anni dalla loro uscita su varie riviste, principalmente la rivista letteraria Le Voci della Luna, ma anche Versodove e Atelier online, mi piace pensare che queste interviste a dieci poete italiane (Vera Lúcia De Oliveira, di origine italobrasiliana, è bilingue) possano farsi ancora gesto, incontro, relazione.
Mi è stato caro raccoglierle, mettere insieme le voci, ascoltare i racconti, cartografare il perimetro di un farsi della poesia oggi che, seppure fortemente connotato dalla cifra di ciascuna, assume sempre più il profilo di un’epica comune condivisa.
Come è spesso accaduto per le storiche librerie del passato, la Libreria delle Donne di Bologna è diventata per me negli anni un luogo reale di incontri con le scrittrici, un appuntamento con quanto il mondo della poesia andava elaborando.
Da questi incontri vivi di corpi o virtuali di email, frenetiche o lungamente attese ed elaborate, che cancellavano le distanze, sono nate amicizie, discussioni, elaborazioni feconde che mi piace restituire per condividere l’idea di un fare poesia come “lavorio di simili verso l’eticità della scrittura”, secondo la bella definizione che ne dà qui Maria Grazia Calandrone.
Credo nella novità di una “critica affettiva”, come sostiene Anna Zoli, che sia in dialogo articolato e costante con l’altro/a e che si serva di “un’attenzione insieme testuale e relazionale”, come scrive Clotilde Barbarulli, “scientifica e appassionata”. Questo modo di fare critica tiene conto dei corpi e delle vite dentro le parole, le contestualizza all’interno di un’epoca e dei luoghi, fedele e grato alla voce originale di ciascuna, che però sa far risuonare all’interno di sé.
Così come ciò che ci attraversa, ciò che leggiamo o abbiamo letto, visto o lasciato, le persone che abbiamo incontrato, i padri e le madri terrestri e celesti che ci hanno nutrito, parlano ancora attraverso la nostra scrittura, di questo narrare interiore raccontano le interviste qui riportate, ancora spero fresche e vive d’esperienza.
Rosaria Lo Russo racconta il suo incontro con la poesia di Anne Sexton, il rapporto con le autrici per lei fondamentali, la sua posizione rispetto alla riscrittura del canone e il rapporto fra poesia e globalizzazione. Sperimenta su di sé l’innovazione che viene dalla poesia angloamericana e si fa portavoce di un teatro della voce che risale all’originaria oralità della poesia.
Elisa Biagini si pone in modo problematico rispetto alla categoria tematica del femminile, sentita ancora oggi da alcuni critici come una categoria riduttiva, “una sorta di nuova cucina”. Rileva una “mancanza di strumenti nella critica ufficiale rispetto alla questione” e testimonia come la sua poesia offra una profonda affettività tematica, pur nell’osservazione distaccata della realtà, setacciando l’infanzia come “territorio sterminato di immagini”, mentre la poesia americana offre modelli insuperati di poesia sul corpo e le relazioni.
Bianca Tarozzi parla della sua come di una poesia dell’esperienza, centrata su una poetica degli oggetti e sull’incontro con figure familiari o del mito mai possedute del tutto. Secondo Tarozzi la “riparazione” della poesia è nella sua capacità “di ricreare e rivivere ciò che si è perduto”, mentre figure del mito e della storia come Artemisia Gentileschi, Eva o Penelope, ed ora le donne migranti, incarnano la tragicità di un universo simbolico che le donne stanno riscrivendo. Racconta dell’esperienza bolognese e della leggerezza e dell’allegria come “dono dell’infanzia”, chiudendo con un curioso e divertente consiglio di lettura.
Florinda Fusco individua nella perdita l’elemento fondante della sua scrittura, incarnata nelle autrici amate: Gertrude Stein e Amelia Rosselli. Racconta il suo battesimo letterario con Andrea Zanzotto e svela che la dimensione mistica del suo fare poesia ha come base una religiosità meridionale e mediterranea da cui ha attinge vita e corpo, “correlativo oggettivo della comunicazione”.
Mara Cini si chiede quale sia il rapporto fra scrittura ed esperienza, provenendo da un percorso che nasce visivo (“poesia visuale, scritture terrestri, assemblages”). Racconta gli incontri con i padri della narrative art, con il laboratorio poetico di Adriano Spatola e con il gruppo dei poeti che si riunivano a Mulino di Bazzano.
Maria Grazia Calandrone narra l’esistenza di una “vita leggendaria” all’interno di sé, nata dall’esperienza psicanalitica, e del “randagismo interiore” come “condizione e augurio per l’umano”, che spinga a conservare curiosità e stupore verso le cose. La sua scrittura è in perenne colloquio “con tutti i morti e con tutti i vivi” che insieme formano il mondo, nella “pietà che suscita il loro non potersi più correggere”. E’ Calandrone ad individuare nella nostra epoca la presenza di “una piccola comunità di minatori” della poesia, che la perseguono come forma altissima di “dignità, autorevolezza, metamorfosi, identificazione”.
Maria Pia Quintavalla scrive delle figure materne e paterne della propria esperienza, lanciando uno sguardo sul “meticciato nuovo millennio”, mentre il femminile è spinto a “reintegrare “nel canone letterario “il suo coté di universale mancante”. Dopo i deliri novecenteschi dei grandi sistemi dottrinali, il senso della storia sta oggi per Quintavalla nel “riassumere dentro al macrocosmo l’apprendimento di alfabeti piccoli”, ricercando una “lingua godiva” che recuperi e sveli la sua “beanza”.
Milli Graffi ridisegna per noi una Milano in cui una delle manifestazioni di poesia più importanti, Milanopoesia, si intitolava La poesia fa male, implicando un forte senso di responsabilità dei suoi linguaggi e gli scenari di una Venezia dove, ai Magazzini del Sale, iniziò giovanissima la sua esperienza di poeta all’interno di una mostra di poesia visiva organizzata da Franco Beltrametti. Traccia poi godibili profili degli amici Spatola, Corrado Costa e Giulia Niccolai.
Vera Lúcia De Oliveira scrive del suo paese d’origine, il Brasile, come di un paese lento e peculiare, capace di passare con un “jeitinho” dalla dittatura a una forma di democrazia che però resta fra le più ingiuste del mondo, causa di scandalose differenze di ricchezza. De Oliveira si porta dietro la sua memoria, come una lumaca la sua casa, trovando nel paese ospitante, l’Italia, il luogo dove poter sognare nelle due lingue (“talvolta sogno in portoghese, talvolta in italiano”).
Anna Maria Farabbi chiude questo libro con ancora una volta la metafora del centro della miniera, nel cuore della quale, come nel cuore di sé, occorre guardare per poter continuare a dialogare con il mondo animale, minerale, vegetale. Questo è l’insegnamento di uno dei poeti con cui si è posta in dialogo, Andrea Zanzotto, cui l’accomuna, pur nelle scelte differenti di linguaggi, l’aderenza a un sentire basso, animale, attento al respiro sottile della terra. Come per lavorare la terra, dice Anna Maria, per scrivere poesia occorre essere bassi, “concentrarsi in una fatica lenta, cerimoniale, attenta e precisa. Continua. Dialogante.”
Loredana Magazzeni, Dentro la scrittura. Colloqui con dieci poete italiane, Edizioni CFR, 2012, pp. 56 € 8,00
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