A Paestum sono stata felice

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Avrei voluto parlare di felicità. Se primum è vivere, Paestum è il posto per farlo mi sono detta.

Come  trasferire nella politica la felicità che provo nella scrittura? Questa la domanda.

Perché  felicità per me è quando nel dialogo /conflitto con l’altra me, riemergo con qualcosa di cambiato. La felicità che dà l’inventare. Come far diventare pratica politica le invenzioni, le scoperte che riesci ad attivare attraverso la scrittura?

A Paestum sono andata pensando di trovare una risposta alla mia domanda attraverso l’ascolto di nuove pratiche creative messe in campo e agite nei territori (dentro o fuori le istituzioni poco importa); quali nuove mediazioni agite e con chi. Pratiche dove l’invenzione avesse scompaginato, anche di poco, un ordine preesistente. Per farne un bilancio e raddrizzare il tiro se necessario.

Cose già fatte, perché il femminismo è già storia e le donne sono già nel mondo. Cose che hanno funzionato e cose che invece no. Quali i limiti da superare, quali i punti di forza su cui insistere. Di questo non si parla abbastanza. Non ci si confronta.

“La rivoluzione necessaria” recita il titolo della lettera di convocazione. Se di radicalità parliamo, e di radici, allora è l’Autorevolezza femminile che si deve mettere in mostra. L’eccedenza “la vischiosa vicinanza tra reale e irreale” tutta e solo di stampo femminile. Rimettere al centro il corpo, la sua forza simbolica. Non la capacità di adeguamento,  di aggiunta ad un ordine che già esiste, che va pure bene quando serve, se serve. Ma Paestum chiamava ad altro.

Rispondere per esempio alla domanda di un’amica che chiedeva: “come faccio a mettere insieme il vostro bisogno di governo col mio di scendere in piazza e fare la rivoluzione?” Perché solo se messa in questo modo, con un passo nell’altrove della rivoluzione, qualunque cosa nel presente (comprese le quote, 50 e 50, la rete di sostegno alle candidate, etc) prende altra luce.

Perché le pratiche che fanno agire l’Autorità, se non vogliamo che questa venga “rimpicciolita” a semplice bisogno di giustizia, hanno bisogno di un contesto, di uno spazio pubblico che va costruito apposta e di volta in volta per essere mostrata.  E di una lingua che l’accompagni. La lingua del racconto. Dell’autocoscienza.

Costringerle dentro la strettoia del dispositivo della rappresentanza, di per sé neutralizzante e seriale, è come fare passare il cammello dalla cruna dell’ago. La cruna si può allargare mi dice un’amica. Io preferisco un passaggio tutto da inventare, adeguato alla grandezza dell’Autorità da mettere in campo.

Voglia di esserci: era questo che trasbordava da tutti gli interventi.

Ci si può sentire protagoniste anche fuori dai percorsi che portano dritto nelle istituzioni? Mi è sembrato che a Paestum essere protagoniste del cambiamento significasse sopratutto governare in parlamento.  “Una necessità più che un desiderio individuale” è stato detto. Una assunzione di responsabilità  collettiva di fronte all’urgenza della crisi.

“Si potrebbe ragionare per sottrazione e proporre la cura dell’irresponsabilità” ha osato una giovane sarda in conclusione della seconda giornata.  Una voce isolata.

E ancora: Se radicalità dev’essere, allora bisogna  spogliarsi del proprio etnocentrismo e volgere lo sguardo di 360° per guardare alle donne che vivono  dall’altro lato del mondo. Sforzarsi di capire se chi vive in quei contesti (senza lavoro e senza servizi) non abbia oggi qualcosa da insegnare sulla materialità della vita, sulle sue priorità, a noi che viviamo in contesti dove “presenza dei servizi e del lavoro, quando ci sono, non sempre coincidono con la qualità della vita”. Di questo poco o nulla è stato detto.

Eppure  malgrado l’assenza di risposte alla mia domanda iniziale, a Paestum sono stata felice. Perché a Paestum protagoniste non erano solo le parole ma i comportamenti, soggettività in azione. Sono stata felice per la caparbietà dimostrata da tutte –  donne dei  movimenti e donne delle istituzioni e dei partiti – nel volere ascoltare le ragioni dell’altra; per il desiderio sopra tutto di venirsi incontro “tracciando d’ora in poi sentieri di cammino condiviso”; felice per la fortissima passione politica mostrata; felice per la grande tenuta di democrazia interna, per l’assenza di leaderismo, di prevaricazione. Felice perché giovani e meno giovani, ci siamo scoperte tutte femministe storiche.

Il blog di Paestum 2012

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