Il telefono squillò una mattina di ottobre 2011. – Pronto sono Miriam Mafai, non metterti a ridere, ho deciso di scrivere la mia autobiografia.
Fu così che Miriam mi chiese se avevo il tempo di aiutarla nelle ricerche, per ricostruire il periodo abruzzese della sua vita. Le risposi che il tempo non mi mancava, da quando ero stata liberata dal lavoro dipendente. Fu così che, da novembre 2011 al febbraio dell’anno dopo, le prestai, all’occorrenza le mie gambe e il mio sguardo su archivi digitali e vecchie raccolte di giornali e riviste.
Sentiva sul collo il fiato corto della malattia da cui era afflitta e che io non avrei mai sospettato, se non me ne avesse parlato lei stessa. “Secondo i medici dovrei già essere morta”, mi rispose un giorno quando le chiesi come erano andati i controlli clinici appena effettuati. Faceva parte di una generazione che guardava alla vita come alla morte con gli occhi asciutti. Alla scrittura della sua autobiografia, cui si era decisa troppo tardi, ha dedicato tutte le sue ultime energie: “Con un’urgenza dettata non solo dal suo carattere ma anche dalla malattia, dalla consapevolezza che non avrebbe avuto molto tempo davanti a se'”. Scrive la figlia, Sara Scalia, nella bellissima prefazione al libro uscito con Rizzoli il 31ottobre.
Una vita, quasi due è un libro “imperfetto” perché incompiuto e perché autentico. Come un vino imperfetto per il quale non ci si preoccupa di confezionare il prodotto, ma ci si prende cura di salvaguardare le caratteristiche del vitigno e del territorio da cui ha preso vita e corpo; così l’editore ha scelto di pubblicare i capitoli interamente scritti e titolati da Miriam, inserendo in corsivo solo pochi frammenti, tratti da note e appunti preparatori, utili a ricostruire il filo del discorso dell’autrice. Dopo un lavoro di pulitura e verifica dei fatti narrati, il risultato ci restituisce: “Un’agile cavalcata di parole – come lei ben sapeva fare – lungo la sua esistenza, con la densità di un quadro impressionista”, ha scritto Nadia Tarantini nella sua recensione sul numero di novembre di Leggendaria.
Il racconto sarebbe dovuto arrivare fino alla conclusione dell’esperienza del Pci e alla scomparsa, nel 1990, di Giancarlo Pajetta, il suo compagno di vita. Il libro comincia e si ferma a Parigi. La città tanto cara ai suoi genitori, Mario Mafai e Antonietta Raphael due artisti e grandi protagonisti del Novecento italiano. La città, amata prima di conoscerla, dove Miriam approda a 30 anni con il marito, Umberto Scalia, e i due figli, Luciano e Sara, rispettivamente di sei e tre anni e dove avrà inizio la sua seconda vita. Il libro ci narra di questi trent’anni, i più privati e meno noti della giornalista che abbiamo imparato a conoscere sulle pagine di Repubblica.
La lettura corre veloce lungo gli anni dell’infanzia anticonformista delle tre sorelle Mafai, Miriam Simona e Giulia, cui Miriam c’introduce con un incipit folgorante: “Sono nata sotto il segno felice del disordine”. La conquista dell’Abissina e l’esperienza precoce della guerra. I genitori “un po’ speciali” che si tengono al dito le loro belle fedi d’oro, mentre milioni di donne corrono ad offrirle per la patria. Il sincretismo religioso che le vedeva crescere in bilico tra feste e cerimonie, ebraiche e cattoliche, bruscamente interrotto dalle legge razziali. Le città di Miriam. L’adolescenza a Genova, dove la famiglia si rifugia durante gran parte degli anni della guerra. Il ritorno improvviso a Roma, prima del l’8 settembre, i mesi dell’occupazione che vedranno le due sorelle più grandi, Miriam e Simona, militare giovanissime nelle fila della resistenza romana, la loro precoce uscita di casa dopo la Liberazione grazie al lavoro nel Pci.
La cocente sconfitta del Fronte Popolare il 18 aprile del 1948, che la vedrà correre dove il Partito chiama. E sarà l’Abruzzo, dove Miriam organizza le donne, il movimento per la pace, partecipa alle lotte dei contadini del Fucino contro i Torlonia e per la riforma agraria; dove si sposa, nascono i suoi figli e diventa, a soli 26 anni, assessore alla Sanità e Assistenza del Comune di Pescara. “Il mio 1956” è il titolo che ha voluto dare all’ultimo capitolo. L’anno del XX congresso del PCUS e dei fatti d’Ungheria, un anno cruciale per la vita di Miriam e per il Pci. Un capitolo scritto con un urgenza che ci lascia con il desiderio inappagato di volerne sapere di più.
Miriam Mafai, Una vita, quasi due, Rizzoli Milano 2012, 264 pagine,18 euro
Leggendaria n.96 novembre 2012
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