Scarpa-grafia, le vite attraverso le scarpe

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Si è tenuto nello scorso weekend 30 novembre – 2 dicembre  a Firenze il seminario “La scarpa negli archivi dei sentimenti e nelle culture pubbliche” organizzato dal Giardino dei ciliegi e dalla Società italiana delle Letterate.

 

 

 

Dopo il saluto della presidente del Giardino Mara Baronti che ci ha augurato di camminare insieme unendo le forze ed i differenti passi, la parola è passata a Stefania Ricci, direttrice del Museo Ferragamo che ha illustrato, attraverso i loro vari modelli di calzature, come la scarpa racconti la storia di una città, di un momento storico, di un personaggio, dei materiali, delle idee, essendo la scarpa in sé un archivio dei sentimenti.

 

Liana Borghi ha introdotto le giornate, ricordando la performatività degli oggetti, il loro intimo legame con le persone, la possibilità di interagire alla pari, soggetti ed oggetti, per creare forme di relazione più democratiche. Ci ha sollecitate ad immedesimarci nelle scarpe,  a diventare “noi scarpe” di modo da cambiare la nostra percezione del comune. Ha sottolineato che l’immagine sul manifesto del seminario  -lo scarpone con una piantina dentro- allude alla scarpa fertile come aspettativa di rinascita politica.

E sul contesto politico si è focalizzato l’intervento di Clotilde Barbarulli, la quale ha intrecciato i passi delle scarpe abbandonate dai migranti nei viaggi estenuati dal Sahara all’Europa, ai passi degli Indignados, a quelli delle mondine che lavoravano scalze in condizioni di enorme sfruttamento. In questa complessa geografia di luoghi e corpi, le scarpe narrano storie di resistenza tra oppressione ed ingiustizia sociale, dicono di radicati dolore ma anche di desideri che nonostante tutto si affermano.

 

 

L’artista Kiki Franceschi ha illustrato la mostra di scarpe allestita per il seminario. Per lei in principio c’era l’impronta, l’orma da dove nasce la storia, la presenza. Le scarpe suscitano la fantasia, avviano favole e narrazioni.

 

 

Bia Sarasini interrogandosi su femminilità e libertà, ha percorso la storia del tacco 12, ricordando come la generazione di donne giovani negli anni ’70, era stata educata  alle scarpe come riti di iniziazione che segnavano le tappe della vita: a 13 anni le ragazzine potevano iniziare a calzare scarpe con un lieve tacco di 3 centimetri che cresceva col passare degli anni. Col movimento del ’68 prima e con la critica femminista poi, cambiò l’abbigliamento delle donne che calzavano zoccoli e clarck anche come segno di protesta al codice della femminilità.

Quella a tacco12 è una scarpa ambigua, al confine tra seduzione e tortura, è una scarpa che deforma il corpo, imponendo posture non naturali per il piede e la schiena, ed al tempo stesso lo erotizza enormemente divenendo oggetto di desiderio sia per le donne che li calzano che per gli uomini che ne restano affascinati.  Laura Graziano ha legato la riflessione al tacco 12 all’idea dello slancio suggerita dalla figura di Gradiva. La figura dello slancio esige consapevolezza per proiettarsi verso l’alto e verso gli altri, è una proiezione tra flusso e stabilità. Oggi lo slancio, incarnato dai tacchi diventa sfida all’equilibrio e si riduce in un alzarsi, divenendo per la Graziano una caricatura della libertà. Nella camminata è importante lo slancio come figura spaziale e della relazione.

 

Barbara Serdakowski ha proposto una performance poetica, una poesia interattiva con parole che vanno toccate, come se la poesia fosse tradotta in oggetto, in questo caso una scarpa che la poeta laccia e slaccia recitando i versi.

 

Il linguaggio artistico ha accompagnato tutto il seminario: dall’opera di Donatella Mei “Fuga dagli Uffizi”, dove un sandalo ed un’orma in plexiglas alludono all’assenza di bellezza ed amore dovute al dipartirsi della Venere di Botticelli, al corto “Alla ricerca della scarpa perduta” di Matilde Tortora un film breve in cui si “cammina con scarpe provvisorie” affinché a tutti vengano riconosciuti i propri passi, alla “MariaMare” di Eleonora Baglioni ironica composizione che dona un paio di ciabatte da mare alla sempre scalza Madonna.

Ed ancora le poesie di Brenda Porster che attraverso le parole sue e delle altre della Compagnia delle poete ci ricorda che sulla punta delle scarpe c’è il mondo intero; la presentazione della mostra On your feet, installata a Genova da Caterina Gualco; per arrivare alle opere di Carol Rama dove, secondo Roberta Mazzanti,  il corpo è diventato una cosa in mezzo alle cose, dove le ferite ed il dolore feroce sono passati e attraverso la potenza degli oggetti si riesce a trasmettere la compresenza di sentimenti ed affetti contrastanti.

La potenza del linguaggio artistico sta in questa forza catartica, nella capacità di dire immediatamente come stanno le cose e riuscire a far fare un passo ulteriore. Giovanna Covi sollecita a leggere le scarpe non solo come simboli feticcio, fermi e statici, ma a far sì che con le scarpe ricreiamo la stessa tensione degli oggetti nelle opere d’arte trattate, dove l’oggetto crea l’atto e attraverso questa tensione succede qualcosa che lega il simbolico al politico. Giovanna e Lisa Marchi hanno presentato l’iniziativa politica svoltasi il 25 novembre, giornata contro il femminicidio, riprendendo l’opera dell’artista Elina Chauvet, una distesa di scarpe rosse a ricordo delle donne ammazzate dalla violenza dei loro amati.

Lisa, attraverso l’installazione di Ulrika Eller-Ruter “Valore di scambio. Raccontami la storia delle tue scarpe”, mostra una possibile alleanza tra soggetti ed oggetti dove le scarpe narrano le storie delle donne palestinesi e le donne palestinesi raccontano le storie delle loro scarpe.

 

Numerose anche le suggestioni letterarie che hanno accompagnato i nostri passi: dalla ciabattina luccicante indossata da una donna migrante velata in una fredda città leghista descritta da Cristina Ubah Ali Farah e riproposta da Clotilde Barbarulli, alla scarpina onnipresente nelle varie riscritture di Cenerentola illustrate da Silvia Porto, per arrivare alla rilettura di Herta Muller fatta da Jelena Reinhardt.

Quest’ultima osserva come il segno visibile dell’identità passa dalle estremità del corpo, dalle mani e dai piedi. L’oggetto riporta al profilo della persona che lo possiede, l’oggetto come parte estrema tolta dalla pelle delle persone.

Maria Nadotti ha osservato come in tante parti del mondo le scarpe si indossino poco o raramente, come molte persone della sua generazione abbiano indossato le prime scarpe intorno ai 14 anni e come tutto ciò influisca sul nostro modo di camminare e stare nel mondo, basti pensare alla contrapposizione in una zona di guerra tra un soldato in stivali corazzati di fronte ed un manifestante in infradito. Le scarpe sono oggetto di fuga, per questo nelle istituzioni totali, dai lager al carcere, le persone ne vengono private, per menomarle di una loro parte importante.

Il piede richiama anche alle torture che vi si affliggono, come la fasciatura dei piedi femminili in Cina, un massacro del piede ufficializzato dalla cultura. Sadismo e feticismo si accompagnano alla scarpa, come mostra la carrellata di pubblicità di calzature che Nadotti analizza osservando come oltre alla scarpa di venda altro, anche una tipologia di donna. Altro campo di feconda indagine è la relazione tra teatro e scarpa, dove la postura nasce dall’appoggio sul piede, come ben sapeva Pina Bausch che faceva danzare donne e uomini sui tacchi. Le scarpe sono legate al travestitismo ed al genere. Se la scarpa col tacco femminilizza, quale scarpa virilizza? si e ci chiede Maria Nadotti. Esiste una scarpa neutra, che faccia saltare la dualità maschile-femminile? La scarpa bifida, ad esempio, richiama anche al rapporto con il non umano. Ci sono infine le scarpe politiche, lanciate contro il potere, o abbandonate ai lati delle piazze arabe, le scarpe simbolo di rivolta.

Il Collettivo Le Acrobate ha tracciato un percorso di riflessioni sulle scarpe, tra il globale e l’intimo,  connettendo le scarpe di Auschwitz e quelle del Museo per la memoria di Ustica a quelle delle persone racchiuse nei lager contemporanei per migranti, gli ignobili Cie. Le Acrobate hanno sottolineato l’importanza anche del suono della scarpa: dal terrificante rumore evocante gli zoccoli delle sorvegliati naziste al rincuorante tintinnio del tacco alto in una strada buia che allontana la probabilità di aggressione.                                                                Le scarpe usate contengono la forma del nostro piede, dicono la nostra storia. Di qui l’invito a pensare la nostra autobiografia attraverso le scarpe calzate, per riprendere il significato dei nostri passi di donne. Per scrivere la nostra scarpa-grafia.

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