Credo che la nostra attenzione alla cultura che nutre o cerca di contrastare la violenza sessista omofoba e razzista vada tenuta alta non solo nei confronti del discorso popolare ma anche di quello accademico e di ciò che i media spacciano per artistico. La devastazione economica e sociale dei nostri tempi ha molti compagni che la sorreggono.
Per esempio, provo perplessità e preoccupazione di fronte all’entusiasmo con cui Fabrizio Ravelli annuncia (La Repubblica 8/5) l’uscita del ciclo Le Vendicatrici di Carlotto e Videtta, quale sfida agli uomini che odiano le donne. La tragedia dei femminicidi in quotidiana ascesa richiede sicuramente interventi culturali insieme a quelli sociali e giuridici, ma temo che la “sfida” delle donne immaginata dagli autori porti una mera rappresentazione sensazionale di questa piaga sociale più che indicare come uscirne. Peggio ancora, l’intervista a Carlotto lascia intendere che l’intento è radical sinistroide, con toni che mi fanno tornare in mente la necessità che noi donne ci si ribelli come si fece quando dicemmo no al ruolo di angeli del ciclostile.
Ho appena assistito alla rappresentazione dell’audiodramma di Carlotto, Il giardino di Gaia, un testo in cui pure si consuma un femminicidio. Ho provato un forte disagio, non certo per l’argomento, che invece seguo con dolore ma coinvolgimento interessato se guardo, per esempio, il docu-film di Nerina Fiumanò Una su tre, o leggo il libro di Riccardo Iacona. Ho ascoltato con noia e indignazione l’eloquenza di Sergio Ferrentino di Caterpillar che lo promuove esaltandone l’innovazione tecnica, senza mai un cenno ai contenuti.
Troppe riflessioni accademiche di questi tempi si esonerano dal considerare i contenuti per parlare solo di forme e stili, come se la forma altro potesse essere se non l’estensione del proprio contenuto. Sono operazioni intellettuali preoccupanti che si annunciano quale novità rispetto agli approcci limitatamente sociologici alla letteratura fioriti negli ultimi decenni, ma altro non sono che il loro esatto contrario.
Il giardino di Gaia è la storia cupa di uno spaccato di realtà contemporanea purtroppo diffuso, caratterizzato dalla rovina dei rapporti familiari e affettivi e dalla caduta di ogni principio morale. Peggio, si accompagna a una narrazione che non mostra alcun distacco né narrativo né autoriale dalla storia. Questa si svolge in un banale gioco di specchi di infedeltà coniugali lungo una trama esile e prevedibile, che ruota attorno alla figura di una moglie e madre strega cattiva, talmente perfida da essere lei la causa prima dell’assassinio da parte del marito dell’amica e rivale. Il testo tace invece sulla causa prima della perfidia della strega attorno alla quale tutto si muove. E questo silenzio è più grave del semplicistico detto.
Una narrazione banale dunque ci mostra la banalità del male nel nostro quotidiano e ci soffoca, perché la sensazione è che nessuno, l’Autore per primo, sappia intravedere una via d’uscita. Appare invece evidente che personaggi e Autore sono del tutto incapaci di pensare a maschilità e femminilità diverse da quelle che imprigionano i loro uomini e uccidono le loro donne.
Eppure il contemporaneo è ricco di rappresentazioni del maschile e del femminile plurali, sempre più aperte ad alternative differenti per ospitare vite vissute diversamente. Solo immaginare che maschilità e femminilità possano essere altrimenti libera la mente dal rapporto di schiavitù tra maschio dominante e femmina sottomessa. Sono questi immaginari che possono spezzare le catene, far dire alle vittime e ai carnefici: io posso essere diversamente.
Carlotto invece sembra solo capace di rovesciare i ruoli, inventare un femminile dominante per sfidare il dominio di un maschile sempre uguale a se stesso. Una rappresentazione banale del banale è male, come dimostra Lorella Zanardo nel suo documentario Il corpo delle donne. Che ciò avvenga nella TV pubblica è socialmente inaccettabile, che una semplificazione simile si manifesti in ciò che media ed editori promuovono come letteratura è culturalmente offensivo. Che dopo decenni di teorizzazioni femministe un autore che si dichiara un duro e puro di sinistra sia ancora incapace di immaginare altri femminili e maschili da quelli patriarcali è deprimente e frustrante più che scandaloso. Ma chi gli offre microfoni e pagine di giornale per glorificarlo va criticato da coloro che ancora credono che fare cultura sia prima di tutto esplorare paradigmi e concetti non scontati, capaci di ospitare le differenze.
Massimo Carlotto, Marco Videtta, Ksenia. Le Vendicatrici, Einaudi Stile Libero, Torino 2013, 317 pagine, 16 euro
Massimo Carlotto, Il Giardino di Gaia. Con l’adattamento di Sergio Ferentino, Feltrinelli Milano 2013, 112 pagine 8 euro
PUOI SEGUIRE LA SIL SU:





PASSAPAROLA: