Perché Oriana Fallaci, negli Stati Uniti considerata “il più grande giornalista” italiano del Novecento, da noi è invece tenuta da parte? Perché, a otto anni dalla morte, è per molti soprattutto una donna di successo insopportabile? Chi la detesta e la incolpa di tradimento politico, di lei menziona solo gli ultimi scritti, La rabbia e l’orgoglio e il seguito, nati dopo l’11 settembre 2001 quando Oriana vide il fumo nero delle due torri dalle finestre della sua casa di New York, la città dove viveva ormai da quasi mezzo secolo. È ammalata di cancro, è furiosa, usa toni apocalittici, sposa la tesi della guerra di civiltà, anzi la enfatizza a modo suo: fino a dire che l’islam ci distruggerà anche per via della nostra stessa codarda complicità. Come sempre politicamente scorretta, polemica, sfrontata, urta sia i musulmani sia i cristiani, sia i credenti sia i laici. La sinistra la insulta, la destra la usa. Per entrambe le parti resta una scocciatrice presuntuosa. Una donna scomoda che non è mai nel posto e nel ruolo in cui la si vorrebbe.
Cristina De Stefano, sua autorevole e magnifica biografa, nelle note finali a Oriana. Una donna , dopo aver letto ogni suo scritto, compresi i diari, le poesie e gli appunti che nessuno aveva mai visto prima, ci avverte di esserne turbata. Ha anche intervistato uomini e donne che l’avevano conosciuta, ma nessun giornalista italiano, perché per quello, scrive, ci vorrebbe un altro libro. Qui da noi dunque si preferisce ricordarla come scrittrice, i colleghi non competono con lei neppure da morta. E dire che, come mostra nel libro e spiega bene De Stefano, “Oriana rivoluzionò il modo di intervistare i ricchi e i potenti. Osò chiedere decenni fa alla Lollobrigida se non si vergognava a guadagnare tanto. E nel ’54, giovanissima, seppe usare i silenzi e gli sguardi di Soraya per raccontare che avrebbe intrapreso delle cure in America per curarsi dalla sterilità senza che l’imperatrice lo dicesse”.
Scriveva scenografie dove non aveva trovato parole. E si fidava del proprio sguardo, dell’intuito, senza sudditanza alcuna. Del resto il potere non la seduceva, passò la vita a indagarlo, quello economico e quello politico. Mise nei guai Kissinger, carpendogli risposte che lui cercò poi inutilmente di smentire. Lei implacabile aveva le registrazioni. Osò togliersi il velo davanti a Khomeini che abbandonò la stanza e interruppe l’intervista. E lei, minuscola e magrissima fino alla fine dei suoi giorni? Rimase lì, seduta per terra per sei ore, senza andare neppure a fare pipì, fino a che il figlio del leader religioso le garantì che il giorno successivo avrebbero concluso l’intervista.
“Era una forza della natura, una lavoratrice instancabile, la ricordano tutti così. Senza paura, spesso arrogante, ma anche generosa, sincera, leale. E per ogni intervista si preparava per mesi facendosi tradurre i discorsi di Gheddafi dall’arabo o quelli di Golda Meir dall’israeliano. Finalmente nel 1967 riuscì a convincere il direttore dell’Europeo a inviarla in Vietnam: poteva scrivere di politica dopo che per anni l’avevano costretta a seguire i divi di Hollywood o le mondanità, mentre lei era seria, cresciuta nella fame e nella guerra e aveva vivissimo il senso della giustizia sociale”, racconta ancora la sua biografa.
Ma come è riuscita Cristina a vedere il materiale di Oriana a cui tanti miravano dal 2006, quando lei morì? L’ha convocata direttamente Edoardo Perazzi, erede di Oriana e del suo immenso archivio di scritti e fotografie. “Il nipote aveva letto le mie biografie nel libro Americane avventurose e mi ha chiesto di scrivere quella di Oriana. Ho vissuto anni immersa in una vita talmente straordinaria da stordirmi”, risponde Cristina De Stefano, scout letteraria per case editrici di vari Paesi e autrice anche di una biografia di Cristina Campo.
Come si fa a render conto di una vita tanto leggendaria e unica malgrado sia ben illustrata in un libro rigoroso ed esemplare che si divora? Il padre, socialista e partigiano, fu torturato e non parlò. Come il nonno anarchico, che sua madre Tosca (da lei amatissima) considerava un eroe della Prima guerra mondiale. Ma per averla disertata, quella guerra, pagando naturalmente col carcere. Oriana crebbe con l’idea che gli eroi esistono, suo padre lo era, i suoi nonni, i partigiani. Alekos Panagoulis, il greco incarcerato dai colonnelli, con cui ebbe una storia d’amore movimentata, lo era (Un uomo, 1979). In fondo anche il suo grande amore, il giornalista François Pelou, conosciuto a Saigon e inseguito poi per anni fino in Brasile, le parve se non eroico, certamente un uomo fuori dell’ordinario. Come il loro amore, grande, meraviglioso. Peccato che Pelou, cattolico, non lasciò mai la famiglia. Oriana a un certo punto se lo strappò dal cuore e non amò mai più nessuno come lui.
I suoi rapporti coi molti uomini della sua vita sono un’altra storia emozionante e che la rendono simpatica, o per lo meno più accessibile. Oriana, tanto coraggiosa da partire per Budapest già nel ’56 per vedere la rivolta contro i sovietici, con gli uomini poteva diventare fragilissima. Andava in Vietnam in prima linea, poi in Messico nel ’68 durante le Olimpiadi e le contestazioni degli studenti (beccò una scheggia nel fondoschiena, una brutta ferita) e non si fermò neppure davanti alla guerra in Libano. Ma poteva logorarsi per un uomo fino quasi a morirne. “Non si può vivere senza amore. Io ci ho provato, ma non ci sono riuscita”, diceva.
In Libano, dopo la morte di Panagoulis, si innamorò di un soldato italiano che poteva essere suo figlio e col quale addirittura convisse. Intorno a quell’amore, come sempre, è costruito un altro romanzo di successo planetario, Insciallah (1990), dove Oriana, forte della sua conoscenza del Medio Oriente, prevede la nascita del terrorismo che noi oggi definiamo qaedista. Naturalmente anche quell’amore, come quel romanzo, suscitarono critiche e dispute a non finire tra i suoi nemici e i suoi fan. Lo stesso destino le toccò per i figli che non riuscì mai ad avere a causa di alcuni aborti spontanei che la addolorarono fino alla fine. Naturalmente scrisse un altro libro, che è tuttora letto in tutto il mondo – Lettera a un bambino mai nato – e che fece disperare i credenti perché la protagonista lascia andare via la vita dal suo grembo, non ascoltando i medici che le vorrebbero imporre il riposo. Ma urtò moltissimo anche le femministe per il fatto che a quel feto Oriana si rivolge fin dall’inizio come se fosse già un bambino bello e fatto. L’anno in cui uscì era il 1975.
Ha lasciato scritto: “Essere giornalista per me significa essere disubbidiente”.
Cristina De Stefano, Oriana. Una donna, Rizzoli Milano 2013, 315 pagine, 19 euro
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