Il piccolo libretto narra le vicende di un tragitto di un’artista, Maria Grazia Brunetti, descritto dall’amica che ha condiviso con lei il percorso della vita di donna e di artista. È contemporaneamente un veloce attraversamento degli anni Settanta attraverso la narrazione delle vite di donne che si stavano mettendo in movimento, rivoluzionando le loro vite personali nell’incontro con le altre, e, attraverso un percorso comune, trasformavano le relazioni con gli uomini, con il lavoro e con loro stesse.
Questo libretto è sia un omaggio a un’artista misconosciuta sia un ricordo degli anni aurorali del femminismo quando iniziavano i gruppi di autocoscienza, le convivenze in un’allegra, almeno agli inizi, mescolanza di vita, progetti, amori che nascevano e rompevano; insieme a queste esperienze di vita vissuta cominciavano i tagli con l’ordine simbolico e sociale in cui erano state fino ad allora collocate le donne.
Il libro è la storia condensata e preziosa dell’amicizia tra due donne profondamente diverse, nel carattere, scelte di vita, rapporto con la realtà sociale e familiare, ma unite dell’amore per sé, per l’altra e per l’arte.
Attraverso la vita della scultrice, Maria Grazia Brunetti, l’autrice Anna Zoli ci porta nella sua stanza segreta di poeta che solo dopo molto tempo e molta vita ri-scopre ciò che era sempre stato lì: l’amore per la parola, in particolare quella poetica. Dall’incontro con la scultrice un’altra artista trova la forza per riprendere e portare alla luce anche la sua creatività. Nella biografia di una si scorgono sottotraccia le biografie di molte. L’attenzione alla narrazione porta l’Autrice a mescolare in modo sapiente e preciso le traiettorie artistiche di entrambe con le rotture, le pause e la ri-costruzione che caratterizzano ogni vita e ogni arte.
L’Autrice comincia a pensare di scrivere qualcosa sulla vita e il percorso artistico dell’amica scultrice di mosaico durante un viaggio di ritorno dall’altra parte del mondo, dove si era recata in visita alla figlia che ha scelto di vivere in Australia. Durante la sua permanenza viene raggiunta dalla notizia della morte dell’amica. Proprio in aereo, in quello spazio di passaggio tra un continente e l’altro, di sospensione dalla terra, concepisce l’idea del libro.
Una perdita, anzi due perdite, l’amica morta e la figlia lontana, sono l’origine del testo e della volontà di Anna Zoli di lasciare traccia della storia delle loro due vite intrecciate, le opere dell’una e dell’altra parlano da sé. È importante la narrazione del percorso che ha reso possibile la protezione e la crescita della scrittura e della scultura per le due donne che si sono incontrate da giovanissime in una piccola città di provincia, Faenza, e non si sono più perse di vista.
L’Autrice riconosce all’amica la forza di riprendere il cammino quando si presenta l’occasione propizia ma rende omaggio anche alla perseveranza che permetterà a lei, più tardi, di dare valore alla sua produzione poetica, togliendo dal cassetto le sue poesie
Questo libretto è anche un pezzo della mia storia: ho incontrato Graziella, così era per noi tutte, in quel luogo che lei scherzosamente chiamava “Il 101 delle nostre amiche femministe”. Una strada della vecchia Bologna, un grande appartamento sempre popolato di persone che andavano e venivano, un grande terrazzo sui tetti. E lì ho incontrato Annazoli, come la chiamo per individuarla tra le Anne che hanno attraversato la mia vita. La casa era quella di Donatella Franchi, artista, in quel tempo travestita da insegnante di inglese.
La ricordo vestita con colori sgargianti, massa di capelli biondo-rossi arruffati, zatteroni e pantaloni a zampa di elefante; io giovane studentessa guardavo con curiosità e attrazione quella signora svagata che mostrava anche il lato “forza della natura”. La sua voce squillante, “non cresciuta”, la chiama Annazoli, ricordava come in altri suoi atteggiamenti un che di bambinesco, non di infantile, lo sguardo dei bambini che guardano il mondo per la prima volta.
Ricordo suoi racconti di disorientamento, sul perdere l’uscita dall’autostrada, e si trovava poi in un’altra città. Un disorientamento che era anche ricerca di un nuovo percorso, come è stata la sua vita, molti sentieri tortuosi o interrotti e ripresi, e la sua arte, una continua ricerca di contaminazione di forme. La sua mancanza di orientamento, una certa svagatezza nella vita quotidiana, la si può avvicinare per contrasto alla precisione con cui seguiva le sue attività che portavano dal caos alla forma, attraverso uno stile che poteva sembrare disordinato e invece rispondeva a un ordine interiore decisamente scandito.
Graziella rompe con l’ordine di una famiglia borghese che non la voleva artista e lotta per conquistare il suo spazio in un mondo in cui le donne erano previste solo come aiutanti e non dotate di una propria creatività. Sceglie il mosaico. Scelta simbolica non casuale. Si tratta di assemblare i più piccoli frammenti della materia per costruire forme, anche di grandi dimensioni; nella sua ricerca non si limiterà a un solo tipo di materiale per costruire le sue opere ma aggiungerà elementi fino a quel momento eterogenei, come stoffe, lane, materiali di recupero con una libertà che riflette il desiderio che in quegli anni ha animato molte donne, la nostra generazione, alla ricerca di altre forme di vita libera.
La Graziella conosciuta nel “covo dell’autocoscienza” si affianca all’artista e amica di una vita di Annazoli, un’artista assertiva, concentrata, competitiva che si impone a studenti e committenti tenendo ferma la barra del suo timone artistico.
Nel 1976 Graziella espone, con grande scandalo, alla biennale internazionale del mosaico a Ravenna l’opera che risente della scoperta della forza delle donne negli anni Settanta, un frammento è la copertina del libro. L’opera ha come titolo “arborea donna libera aurea” noto anche come “la sfinge di Ravenna”. E’ un ritratto mosaicato di donna con grandi occhi obliqui, una vagina e ai lati spirali di mosaico: il tutto con mosaico dorato che rispende alla luce creando un effetto di sensualità, di splendore e di forza dirompente. Un inno alla donna, ai suoi antichi occhi sapienti che interrogano e penetrano, al suo sesso cavo, alla spirali del tempo che si avvolge su se stesso in una mescolanza di infinitamente nuovo e ripetuto. L’ esposizione del sesso da parte di un’artista donna fa scandalo: il fatto stesso di mostrare il sesso femminile è rivoluzionario soprattutto da parte di un artista donna che ne mostra forza e splendore dorato. Gli occhi della Sfinge rimandano alla sapienza penetrante della Donna-sfinge, che interroga e sa, la sua vulva è il grido delle donne che in quel periodo si stavano riappropriando di un corpo e di una sessualità differente che si stacca dall’immaginario maschile, mostravano la forza del loro sesso, non più “secondo”.
Graziella, oltre all’attività di scultrice, opere per edifici pubblici in Italia e all’estero e per collezioni private, svolge anche un’intensa attività di insegnamento e riporta l’arte dimenticata del mosaico a nuova vita attraverso la cattedra di mosaico a Firenze. Insegna ai suoi studenti a non aver paura di nessun materiale che può essere mescolato, trasformato per creare nuovi modi. Anche questa modalità creativa evoca la necessità ma anche la gioia delle donne che hanno plasmato, ricreato le loro vite partendo da situazioni ingessate e congelate della vita programmata da altri. La libertà di mescolare materiali ed esperienze eterogenee per creare nuovi percorsi di vite e creatività è un lavoro all’ origine delle trasformazioni più autentiche.
L’amicizia delle due donne segue le vicissitudine della vita e dei percorsi creativi disseminate di passività, paure, stanchezze, rotture mescolate all’esplosione di forza creativa. Narrando la vita di Graziella l’autrice si sofferma a meditare sul significato dell’ispirazione “un pezzetto in più di conoscenza, un frammento di realtà che sfugge alla concretezza della ragione”, e ancora “il significato del proprio lavoro infatti può rimanere oscuro per molto tempo, avviluppato nei veli dell’apparenza e svelarsi a volte all’improvviso in risvolti e angolature insospettate”.
In queste pagine la scrittura rimanda alla propria origine riscoperta nel pensare alla creatività dell’altra.
Il mosaico, che Graziella sceglie come forma della sua vena artistica, è mettere insieme il più piccolo per trasformarlo in grande: evoca la meditazione di Clarice Lispector su come l’infinitamente piccolo rischi di diventare invisibile proprio quando è lì sotto i nostri occhi e il compito dell’artista è rivelare l’invisibile. Con il piccolo bisogna saper togliere per mostrarlo nella sua grandezza. Questo paradosso dà il titolo al libro.
Graziella legge un libro di fisica delle particelle: “Il Tao della fisica” in cui è mostrato come l’infinitamente piccolo delle particelle atomiche si coniuga con l’infinitamente grande del cosmo. Per Annazoli la comprensione profonda, l’illuminazione di questo concetto non avviene nella lettura di un libro ma attraverso l’esperienza di una visione dell’opera di Graziella: il pavimento a mosaico del Palazzo della Ragione a Milano. Annazoli descrive la sua esperienza di visione “una pioggia cosmica di linee che si intersecano, di macchie di sprazzi, di vortici, di traiettorie, in cui sembra che materiali e colori gravitano, scoppino, si disgreghino per poi ricomporsi in aggregazioni, diverse cangianti a seconda di chi li guarda”. Un’opera in cui prevale “la rappresentazioni cosmica dell’infinitamente grande e allo stesso tempo dell’infinitamente piccolo”
Annazoli attraverso la descrizione della sua visione dell’opera ci trasporta, con le parole, in quello spazio in cui l’illuminazione della spettatrice/lettrice rompe le barriere tra attività dell’artista/passività del fruitore e la sua visione diventa la nostra partecipazione all’esperienza, emozione, conoscenza che sono le ragioni dell’esistenza dell’arte, per accrescere la nostra esistenza che si muove alla ricerca della bellezza e della verità.
Anna Zoli, Il Tao del mosaico. Vite intrecciate, ed. Pendragon, Bologna 2013, euro 14.
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