Corpi in piazza, segni di rivolta

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Con il 31 marzo 2016 inizia La Nuit Debout a Parigi: la protesta si amplia e si concentra sulle piazze che diventano ‘zone liberate’, forme utopiche per rifondare un vivere insieme. Proprio di fronte all’ urgenza di una riflessione sulle nuove modalità di partecipazione alla scena pubblica, tra occupazioni e diverse esperienze di autogoverno, Federica Castelli – studiosa di filosofia politica e redattrice di DWF – con questo libro intende prendere in considerazione alcuni di questi eventi specifici ma in connessione: il movimento degli indignados spagnoli, piazza Tahrir del 2011, Occupy, negli Stati Uniti, in Turchia e non solo, fino alle risonanze in Italia. Dall’“anno sognato pericolosamente”, così come Žižek ha definito il 2011, gesti di riappropriazione degli spazi urbani e della capacità di agire politicamente, aldilà delle dinamiche della rappresentanza, si sono manifestati in forme differenti, ma nel comune rifiuto di un capitalismo globale senza freni, e nell’aspirazione ad un a politica di relazioni e di autogestione delle risorse. Nonostante queste esperienze non rimandino a un programma politico definito, né ad un’identità politica omogenea, comune è l’urgenza di resistenza e restituzione di luoghi, ma soprattutto della capacità di fare politica a partire dalle esistenze.
​La ricerca di Federica Castelli analizza le categorie utili a comprendere l’esperienza materiale e simbolica di un corpo nel contesto collettivo della piazza in rivolta, attraverso analisi teoriche e narrazioni, all’interno di una distinzione tra la politica e il Politico. Il Politico, “inteso come dimensione simbolica di potere, si autodefinisce per opposizione a ciò che individua come non-politico: il corpo, la donna, la forza e la violenza”. Interessante è che il libro si chiude, passando dalla filosofia alla storia, sulla Comune di Parigi, che sembra incarnare la logica di rivolta come viene qui definita.
Nello stretto rapporto tra rivolta, corpo e spazio urbano, le proteste ridisegnano e risignificano lo spazio della città. Dalla “primavera araba” a Occupy Wall Street vengono riprese parti delle città, strade e piazze per dar vita a nuovi immaginari, opponendo “una politica fatta di relazioni, di pratiche, di presenza corporea”. Un corpo di donna in piazza pone domande: se la violenza femminile rappresenta un pericolo per l’ordine sociale, minacciandolo di divisione e distruzione, invece la violenza maschile comunque fonda e conserva il Politico. Cosa accade ad una donna, fissata nelle rappresentazioni comuni, di fronte alla possibilità/necessità dell’agire violento? Alcune giovani militanti raccontano di “un mutamento da agire su se stesse”. Se prima l’idea della violenza appariva attributo esclusivo del sistema patriarcale, oggi – secondo Castelli – va affrontata la violenza per parte di donne.

Nelle piazze il corpo del partire da sé e del pensare in presenza, cuore delle politica delle relazioni del femminismo, incontra le pratiche dei corpi in piazza, in una piazza in rivolta. Per le giovani donne, lontane da una politica delle relazioni, la piazza viene vista come un modo di esserci, segno di “una ricchezza corporea che entra in circolo con la dimensione collettiva della piazza e la nutre”, divenendo occasione di risignificazione e di contaminazione.
La rivolta è uno scoppio improvviso che non coincide con un complesso di movimenti insurrezionali orientati verso specifici obiettivi finali secondo una strategia temporale definibile. Si dà sempre al presente rispondendo alla violenza istituzionale del potere. Se sotto certi aspetti la rivoluzione è “interamente calata nel tempo storico, la rivolta lo mette tra parentesi, instaurando una temporalità altra”. In un contesto quale quello attuale, in cui la coesistenza di una perdurante crisi economica e di una crescente globalizzazione dei processi economici, sociali e politici, rimette in discussione alcune delle categorie fondative della sovranità così come la tradizione della teoria politica ce l’ha presentata, le esperienze di protesta non possono che ereditare tale mutamento del simbolico politico. Sono infatti “spazi di pura insorgenza, che tagliano il tempo storico”, sganciate da ogni domani: non mirano al potere, ma cercano pratiche orizzontali, rifiutano gerarchia, leader, organizzazione.
È una politica che si radica nell’esserci fisicamente – in quel luogo, in quel momento – contro politiche istituzionali e una finanza globale invisibile. I corpi ri-fondano così simbolicamente lo spazio pubblico, in un gesto di riappropriazione: spesso dormono e vivono nella piazza, si prendono cura del luogo e si curano l’un* dell’altr*. Danno così vita a nuove pratiche spaziali: il corpo “come luogo di costruzione della scena politica, strumento di dissenso e di eventuale violenza, porta a cogliere l’esperienza della protesta nella sua pluralità”, una performatività in cui la domanda collettiva emerge dalle storie singolari.
Il femminismo ha collocato al centro della politica la soggettività corporea che fonda una politica delle relazioni, con categorie tradizionalmente considerate non politiche quali desiderio e appropriazione del corpo: se porta avanti quel “taglio radicale che la rivolta disegna, marcando la distanza dall’esperienza rivoluzionaria, mantenendosi fuori dalla logica del potere e delle istituzioni”, il recente proliferare delle pratiche di rivolta in più paesi e contesti, tramite occupazione di spazi che vengono restituiti alla cittadinanza o reinventati, pone l’urgenza di una ulteriore riflessione. Una tale politica non sembrerebbe essere immediatamente – sottolinea Castelli – il modo proprio della politica delle donne, ma non è solo l’espressione non-mediata di un’urgenza politica, diviene la possibilità di prendere parola e agire nello spazio pubblico per chi non ha esperienza della politica relazionale. Pur non essendo forma specifica del femminismo, rappresenta comunque “un suo possibile modo di darsi”.

Il dissenso insieme alla voglia di esserci e di manifestare il desiderio di una politica differente con altri attraverso il proprio corpo, è una forma semplificata della politica, ma è pur sempre vero che tra la politica di relazione e il modo necessariamente diverso di vivere la piazza può stabilirsi – come giustamente auspica Castelli – uno scambio fertile.
Molti gli spunti su cui riflettere dopo una tale lettura: emerge comunque che, se amministratori e governi sembrano incapaci (e indifferenti) di ascoltare i corpi, lo spazio urbano esprime tuttavia un anelito irriducibile verso una città diversa da quella che il liberismo propone come approdo obbligatorio della Storia. Si esprime così “una potenza irriducibile dei corpi che consiste nella loro capacità di essere figure del desiderio”, e che nelle piazze tentano di realizzare una convivenza scoperta e inventata, perché oggi corpi, linguaggi e progetti sono chiamati “a riformulare l’espressione della vita contesa tra una metanarrazione mediatica e una materialità ben più articolata” (Villani).

Federica Castelli, Corpi in rivolta. Spazi urbani, conflitti e nuove forme della politica, Mimesis 2015, pp. 182, euro 16,00

Tiziana Villani, Il tempo della trasformazione, manifesto libri 2006
Slavoj Žižek, Un anno vissuto pericolosamente, Salani 2013

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