Desidero tornare su Il giudice delle donne di Maria Rosa Cutrufelli, nonostante le belle recensioni di Silvia Neonato sul nostro Letteratemagazine e di Barbara Bonomi Romagnoli su Il Manifesto.
Abbiamo avuto il piacere di ospitare Cutrufelli a Trento, in occasione 70° anniversario del suffragio femminile per iniziativa della Commissione provinciale per le Pari Opportunità. La sua presenza ha dato significato al ricordo della fortissima unità d’intenti espressa dalle 21 Madri Costituenti per affermare i diritti delle donne e riconoscere piena cittadinanza di genere con la formulazione di specifici articoli della Costituzione: il numero 3 che introduce il sesso fra le causa di discriminazione, il 51 sulla parità di accesso alle cariche elettive, il 37 sulla parità di trattamento nel lavoro e il riconoscimento del doppio ruolo di madri e lavoratrici, il 31 sulla protezione della maternità, il 48 sulla parità nel diritto di voto.
Le parole pronunciate dalla Presidente Simonetta Fedrizzi e con la mostra Libere e sovrane curata da SNOQ Trentino, ANPI e Casa delle donne di Rovereto hanno sottolineato con enfasi particolare la necessità di riequilibrare la presenza delle donne nei luoghi della politica con azioni positive perché il Trentino Alto-Adige, così spesso considerato territorio virtuoso, è in ritardo rispetto al resto d’Italia, non avendo ancora adottato la doppia preferenza di genere, la composizione delle liste elettorali 50&50 e il rispetto delle pari opportunità nei programmi di comunicazione politica. Presentare Il giudice delle donne con Maria Rosa Cutrufelli in questo contesto ha dato forza all’urgenza locale per maggiore democrazia.
La voce naturale e precisa di Maddalena Primo Carozzini ha costellato con recitazioni dal testo l’incontro. Cutrufelli ci ha fatto toccare con mano la sua straordinaria capacità di tradurre in narrazione e quindi anche in emozioni avvenimenti che riguardano la storia delle donne, con la puntuale precisione e forte incisività esibita in tutta la sua opera che così bene incarna impegno estetico e politico
Si è ripetuto che Il giudice delle donne rompe un inspiegabile silenzio su un fatto cruciale per la nostra storia democratica: le 10 maestre marchigiane che ottennero l’iscrizione alle liste elettorali per illuminata decisione del Giudice Lodovico Mortara nel 1906. Si è sottolineato il ruolo decisivo che questo romanzo dovrà avere nei corsi di formazione per insegnanti, per la sua capacità di includere tante materie, dalla letteratura alla storia al diritto, di raccontare fatti nazionali fin qui taciuti dalla storiografia e di offrire numerosi e sostanziali esempi del significato culturale e politico dell’uso non sessista della lingua italiana. Si è discussa l’efficacia con cui il romanzo traccia la differenza tra una suffragista e una suffragetta, tra una maestra e una maestrina, la novità della parola elettrice che dovrà attendere altri 40 anni prima di trovare la propria referente, e molto si è apprezzato il fatto che ne Il giudice delle donne le parole non sono mai solo parole.
Si è espressa la convinzione che interventi educativi potenziati dal romanzo di Cutrufelli sono necessari a condurci oltre la rottura del silenzio su un fatto storico che invece avrebbe da tempo dovuto essere motivo di orgoglio non solo femminile ma nazionale, perché dimostra che già nel 1906, seppure per un solo anno, l’Italia concesse il voto alle donne, terza solo a Nuova Zelanda e Australia. Si è detto che il romanzo è però molto più di una revisione storiografica, che in quanto interpretazione sentimentale di quei fatti articola un discorso politico per il nostro presente capace anche di farci immaginare il futuro di cui tanto ancora abbiamo bisogno. Il giudice delle donne non solo ci fa comprendere e amare le nostre bisnonne, consegna anche strumenti alle nostre figlie per dire, “io voglio di più!”
Proprio così dice Alessandra, che con Teresa e Adelmo è voce narrante del romanzo, e nello spazio di quell’incredibile 1906 i loro racconti ci conducono dalla notte al giorno, dall’oscurità del passato verso la luminosità del futuro. Con tutto l’orgoglio di essere una maestra, Alessandra vuole di più e si iscrive all’università. Persino la muta Teresa vuole di più, non solo imbarcarsi per l’America e ritrovare il padre, ma anche impossessarsi della parola. E ottiene ciò che vuole, ora che non ha più paura sentiamo che potrebbe volere anche la luna pur di prendersi la vita in mano:
Prima avevo paura di certi ricordi. Ora non più, perché ho capito come funzionano.
A pensarci bene, sono come le lettere dell’alfabeto, che non significano niente se le prendi una per una e ti fanno disperare proprio perché non le capisci: ma se impari a metterle insieme, una lettera dopo l’altra, formano una parola. E dopo una parola, viene la frase. E dentro ogni frase c’è una storia… magari, andando avanti così, alla fine anch’io avrò una storia da raccontare a me stessa. (240)
Soprattutto nella forza conquistata contro ogni previsione da Teresa–lei orfana di una mamma che morì in quanto donna, lei che era solo una servetta–c’è tutta la strepitosa forza delle lotte delle donne, che non sono mai conquiste contro, ma conquiste per e in quanto tali apparentemente meno gloriose, parziali. Ma sono invece conquiste di vita, non di morte. Il racconto di Cutrufelli appare emblematico di questo paradigma che io voglio definire femminista—le donne che conquistato un avamposto sembrano poi abbandonarlo, in quello spazio non più sorvegliato i detrattori dichiarano morto il femminismo e inutili le femministe perché le donne avrebbero già avuto tutto ciò che volevano, e invece il femminismo continua a rinnovarsi, perché ogni generazione di donne vuole sempre di più! Sempre di più perché il femminismo non si fonda sul dogma di un Libro né sull’utopia di un Sistema, bensì è per tutti e tutte e finché tutte e tutti non vi partecipano non è compiuto.
Cutrufelli aggiunge parole ineludibili a questo commento, che colgono perfettamente quanto questa ulteriore recensione vuole evidenziare: il valore politico femminista di questo importante romanzo. Le lotte delle donne non essendo di una parte contro l’altra non sono lotte epiche basate sulla vana ricerca dell’immortalità, ma lotte frammentarie, imperfette alla ricerca dei compromessi che la vita sempre richiede, cambiamenti che si basano su modelli materiali, storici non su eroi metafisici e mortiferi.
Le donne cercano modelli non eroine. Nemmeno Maria Montessori, che in questo romanzo ci mostra il nesso dirompente tra una pedagogia che non impone di stare fermi nei banchi e una ricerca di diritti per tutta la cittadinanza, quei diritti politici che sono sempre diritti di libertà, diventa eroica. Rimane un modello di potenziamento per il futuro. Le maestre marchigiane hanno dunque vinto, non il diritto di voto che hanno perso in Cassazione, ma l’onore di passare il testimone dell’amor proprio e dell’indipendenza alle più giovani, così che nel valore dei propri modelli queste sappiano trovare la forza per dire, “io voglio di più!”
Maria Rosa Cutrufelli, Il giudice delle donne, Frassinelli
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