Elegia delle donne morte
di Beatrice Monroy, Navarra Editore, 2011
“I balconi erano coperti di cenere, di lapilli incandescenti spinti dal forte scirocco. Nella piazza, piena di sterpaglia secca, ogni tanto un tizzone ardente generava un incendio che veniva spento da un’anonima secchiata d’acqua.”
Chi ha dato fuoco all’Archivio? E perché?

di Gabriella Genisi, Sonzogno, 2010
di Barbara Mapelli, Stripes Edizioni, 2010
Sono grata a Giovanna Providenti per quest’assoluto atto d’amore: ricostruire la vita di una grande scrittrice che, per aver osato uscire da ciò che ci si aspettava da una signora che scrive, è stata respinta, isolata, oltraggiata da una critica polverosa, presuntuosa e terrorizzata da ogni imperio letterario femminile libero e imprevedibile, che osi uscire dai canoni fissati dalle mode.
Nella tradizione letteraria italiana la figura di Grazia Deledda, anche grazie al Nobel del 1926, si staglia isolata, apparentemente senza epigoni né genealogia. In realtà le scrittrici e gli scrittori della Sardegna a lei hanno fatto costantemente riferimento: da Maria Giacobbe a Salvatore Mannuzzu, da Marcello Fois a Niffoi per arrivare a Michela Murgia, esiste una “Linea Deledda” nella letteratura italiana che dalla Sardegna da lei descritta e narrata arriva fino ai giorni nostri, mostrando una vitalità che dall’insularità si allarga a comprendere la letteratura italiana tutta.
Ci sono state le rivoluzionarie di professione, da Eleonora de Fonseca Pimentel a Rosa Luxemburg. C’è chi l’ha fatto part-time, come Tina Modotti. E chi ha rivoluzionato l’arte, come Isadora Duncan. Ci sono state quelle che ribelli non si sentivano affatto, come Leni Riefenstahl e Marie Curie, ma hanno fatto cose che nessuno al mondo avrebbe immaginato.
La raccolta di racconti che compongono Rosso Tango esercita sul lettore una suggestiva malìa, la stessa che cattura immaginazione e ispirazione nell’osservare le movenze sinuose, eleganti e passionali dellìomonimo ballo, ancestralmente nutrito da una malinconia di fondo a cui si reagisce con una vitalità carnale e dolente che afferma l’esistere.