Violenza/2 Roberta Lanzino, ragazza

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Avevo 18 anni quando mi sono trasferita da Reggio Calabria a Rende per frequentare l’Università della Calabria. Primo anno di Filosofia, mi spettava un alloggio, come si diceva una volta, “per merito e per reddito”. Mi sono messa in attesa, perché c’era sempre qualcuna/o che il merito l’aveva più alto e il reddito più basso del mio e quindi bisognava aspettare: sono così entrata nel magico mondo dei subaffitti universitari. Ho fatto quell’esperienza al “Nervoso”, un plesso composto da tre palazzi di sette piani, rigorosamente senza ascensore, con quattro appartamenti per piano pieni zeppi di studenti. Ero ospite – a pagamento – di un appartamento vissuto da sei ragazze, tutte vetero studentesse. Dove il vetero va considerato come stato dell’animo prima ancora che anagrafico…

Erano tutte studentesse di economia tranne una, la mia affittuaria, che studiava lettere ma avrebbe fatto bene a fare la chiromante. Passava le giornate a leggere le carte, ad ascoltare le canzoni di Pupo e si permetteva incursioni nel neomelodico napoletano. Una personcina a modo con cui avrei dovuto dividere il posto-letto. Eppure, non si sa bene per quale motivo, alla fine io dormivo sempre in una brandina e quasi mai nel letto in cui avremmo dovuto fare a turno…

Ho iniziato a frequentare colleghe o comunque ragazzi degli altri piani e palazzi. E ho capito presto che ero capitata davvero nell’appartamento peggiore. Dietro di me, per esempio, nel terzo palazzo si divertivano un sacco. Ho socializzato un po’ con tutti, ormai il “paese Nervoso” era nelle mie mani. Conoscevo tutti – dai bacchettoni ai tossici, dai disadattati ai geni – ma nonostante tutto quella dimensione mi faceva paura. Forse non ho mai avuto percezione di cosa fosse realmente la mia terra prima di arrivare lì. Semplicemente perché lì si consumavano delle aspettative. Non credevo che la mia compagna di casa, giovane, studiosa, “fuori-sede” mi potesse dare le stesse risposte di mia nonna. E invece mi sbagliavo.

 

“Ma chi è Roberta Lanzino?” domandai.

“Una che hanno violentato e ucciso anni fa”.

“Quanti anni aveva?”

“19”

“E chi è stato?”

“Mah, chi lo sa? Vai a vedere cosa c’è sotto?”

“In che senso?”

“Nel senso che non si è mai saputo”

“Ma come sono andate le cose?”

“Si dice che stava andando con il motorino nella sua casa al mare di Torremezzo, qualcuno l’ha buttata fuori strada e l’ha violentata e accoltellata più volte. Fino ad ammazzarla”

“È una cosa terribile”

“Sì, certo che è una cosa terribile, ma dico io chi la mandava a fare quella strada…”

“In che senso?”

“Invece di fare la strada sterrata avrebbe potuto fare la statale. Si sa che quelle sono strade da non fare”

“Quindi è stata colpa sua?”

“No, che c’entra. Dico solo che poteva evitare di fare quella strada da sola con il motorino”

“Non pensi che sia stata semplicemente sfortuna?”

“Sì, è chiaro ma sai io non è che so che faceva questa nella vita…”

“In che senso?”

“Vai a vedere con chi stava…”

“Scusa non capisco che vuoi dire”

“Eh! Che voglio dire? Che certe cose non succedono per caso”

“Scusa prima mi hai detto che non ci sono colpevoli, ci sono sospettati?”

“Penso di sì, ma non so neanche di chi sospettano. Però dalle mie parti sappiamo bene che certe cose non succedono mai per caso”

“Ah siete tutti un po’ chiromanti nel tuo paese…”

“Che vuol dire?! Ah fai la moderna…”

“Moderna?!”

“Sì, fai la moderna. Fai finta di non capire”

“Purtroppo capisco fin troppo bene”

“Vabbò ciao. Stasera vedi che il letto serve a me perché mi fa male la schiena”

 

Quella notte non ho dormito a casa. Sono andata da Elisa, una ragazza conosciuta durante il corso di Filosofia morale. Ho ascoltato per la prima volta “Pablo Honey” dei Radiohead e ho pensato tutta la notte a Roberta Lanzino. La sua storia mi ha ossessionato per molto tempo.

Mi ha ossessionato a tal punto che, a distanza di 15 anni, sono qui, a Roma, con l’associazione daSud, con il mio collettivo di “ragazze interrotte” a parlare ancora di lei, di violenza, di criminalità, di Calabria. Quando ho deciso di affrontare questo lavoro di sceneggiatura ho ragionato molto su quello che volevo che si vedesse. Con molto pudore mi sono avvicinata agli affetti di Roberta e alla sua vita. Ho cercato e trovato Franco e Matilde, i suoi genitori, due persone devastate dal dolore che, nel momento stesso in cui mi dicevano che non si sentivano di collaborare a questo racconto, collaboravano semplicemente accettando di ricevermi, guardandomi, sorridendomi, facendomi vedere la straordinaria “Casa di Roberta”, la struttura che hanno costruito a Rende per le donne vittime di violenza. Abbiamo parlato, ed io ho compreso la loro scelta di “stare fuori”: proprio in quei giorni si era tenuta una delle tante udienze che stanno affrontando da quando è stato riaperto il processo. Un calvario che dura da 23 anni…

Una catena di morte infinita. L’uccisione di Roberta s’inserisce dentro la spirale della criminalità organizzata in maniera del tutto casuale. Il suo infatti non è un omicidio di ‘ndrangheta.

Roberta viene uccisa dalla bestialità umana, eppure io ho voluto inserire lo stesso il suo assassinio dentro questa collana che noi abbiamo dedicato alle vittime delle mafie perché penso che, accanto alla violenza sessuale, la ’ndrangheta sia presente in ogni passaggio di questa storia. Come ho scritto nella prefazione a “Sdisonorate – le mafie uccidono le donne” “c’è un modo di concepire il corpo delle donne nell’organizzazione criminale calabrese che è brutale e vendicativo. Anche nella totale assenza di conoscenza della vittima”. E poi se ancora oggi non si è riusciti ad avere una verità ufficiale su quanto è accaduto, è proprio perché quelli che sono considerati dalla procura i protagonisti di questo crimine sono personaggi organici alla ’ndrangheta. I depistaggi, le lungaggini processuali sono frutto di questo meccanismo mafioso. Io vorrei provare, con questa graphic novel, a ridare giustizia a due tipologie di vittima. Quella di vittima sessuale e quella di vittima di ’ndrangheta. Entrambe le figure sono sottoposte a spettri e ombre. In entrambi i casi la vittima deve aver fatto qualcosa per meritare quella fine, che è il modo che serve a negare l’esistenza di questi due fenomeni: il potere violento e criminale dell’uomo.

Ho cercato di raccontare la storia di Roberta, ma la verità è che non l’ho voluto fare fino in fondo. Una volta incontrati i genitori e aver registrato da parte loro la necessità del silenzio, non mi sono messa alla ricerca di parenti e amici per riuscire a strappare qualche informazione in più, che ne so… il suo colore preferito o la musica che ascoltava. Ho capito che forse non era giusto, sicuramente non era necessario. Quello che si deve sapere lo si sa già da chi ha avuto la forza e la voglia di raccontarlo, quello che non si sa dobbiamo poterlo immaginare perché Roberta Lanzino era una ragazza.

Una ragazza di 19 anni che andava all’università che aveva un Sì come tante di noi. E, come noi, a quell’età pensava di avere tutta la vita davanti. La sua storia poteva essere la mia. E chi non lo capisce si rende complice di questa morte. Tutti e tutte dobbiamo sentire il peso di questa storia e di tutte quelle che non sono state raccontate. Per questo solo “Roberta Lanzino, ragazza”.

Celeste Costantino,Marina Comandini Roberta Lanzino (Ragazza)prefazione di Carlo Lucarelli, disegni di Marina Comandini , Round Robin Roma 2012, 152 pagine, 15 euro

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