Il nuovo libro di Sandra Petrignani, Addio a Roma, è sorprendente e al tempo stesso coerente con un percorso narrativo che ha svariato dai saggi ai romanzi ai diari di viaggio alla memorialistica; fin dall’esordio nel 1984 con la pubblicazione di Le signore della scrittura – dieci interviste ad altrettante scrittrici italiane di rango come Ortese, Cialente, Banti, de Céspedes, Romano e altre – la brava scrittrice e giornalista è stata affascinata dai nessi fra biografia, ambiente e opera creativa; più in particolare, opere letterarie e per gran parte a firma femminile.
Addio a Roma sorprende in primo luogo per la struttura: è un oggetto letterario fuori dai generi, anche da quelle categorie librario-merceologiche di comodo che secondo Alfonso Berardinelli spingono oggi gli editori a classificare come “romanzo” quasi tutte le pubblicazioni di taglio narrativo, sperando con questo stratagemma di acchiappare quanti più lettori senza spaventarli con la prospettiva di un saggio ponderoso, di una divagazione letteraria senza intreccio, o di altre impegnative forme di lettura… Qui l’accattivante paroletta “romanzo” non compare in copertina né si insinua nella bandella, sebbene all’interno delle sue sostanziose 350 pagine cresca spontanea in un buon terreno fertile anche l’esile, fittizia storia di formazione alla vita e alla scrittura di una ragazzina, Ninetta. Ma non è neppure un saggio, sebbene contenga una svelta bibliografia di testi citati e un indice dei nomi lungo ben 15 pagine: nomi di moltissimi dei protagonisti italiani e stranieri della cultura letteraria, pittorica e cinematografica che dall’aprirsi degli anni Cinquanta del Novecento fino alla morte di Pier Paolo Pasolini nel 1975 ha trovato a Roma il suo centro propulsore, il suo ombelico creativo, a volte il suo salotto compiaciuto e conchiuso.
Singolare che Roma, e Pasolini, siano anche all’origine di un altro recente libro che esorbita dalle categorie narrative tradizionali, Qualcosa di scritto di Emanuele Trevi; e un terzo, Accanto alla tigre di Lorenzo Pavolini, condivide con Trevi e Petrignani l’anomalia di una narrazione basata su solide ricerche storiche e su più fluttuanti memorie personali, combinate con la presenza più o meno evidente dell’autore, delle sue passioni e peregrinazioni sulle tracce dei protagonisti famosi di cui racconta, dei quali spesso scruta il mistero. Così che non si può più dire, ormai da qualche decennio, che sia soprattutto la letteratura femminile a sentirsi costretta nei generi troppo codificati, e a volersi svincolare dai canoni – ma questo è un altro discorso, che varrà certo la pena di fare.
Torniamo a Sandra Petrignani, e alla sua Ninetta che a passo leggero, senza sapere quali mostri sacri via via si parano sul suo cammino da Trastevere fino alle terrazze degli scrittori, alle gallerie d’arte, ai caffè famosi e ai salotti letterari del centro cittadino, ci fa strada in un affresco grande, ambizioso e minuzioso, mai noioso né pedante per una sola pagina. Lo sguardo curioso, ingenuo di Nina è uno degli strumenti con cui Petrignani riesce a modulare tra le polarità del saggio e del romanzo, ottenendo una buona fusione di elementi che avrebbero potuto stridere o separarsi: svagatezza ed erudizione, ammirazione e distacco, leggerezza e solidità. Combinando la curiosità disinibita ma delicata della giornalista per ogni dato biografico, con la libertà della romanziera che si può «spingere là dove la Storia è costretta a fermarsi, il probabile spesso supera in efficacia il certo», alla competenza della saggista abituata a trarre spunti documentari dalle pagine dei suoi autori – in prevalenza delle sue autrici, se consideriamo le dieci “signore della scrittura” e le protagoniste di La scrittrice abita qui. Viaggio nella vita sentimentale di Grazia Deledda, Marguerite Yourcenar, Colette, Alexandra David-Néel, Karen Blixen, Virginia Woolf.
Certo le precedenti scritture l’hanno istruita a muoversi con agilità fra biografie, opere e dati critici, perciò non esita di fronte all’impressionante amalgama di genialità, stravaganza, ambizioni, delusioni, talento, successo, provocazioni e fallimenti che vuole riassumere e raccontare; né sbaglia passo, pur mutando di continuo direzione e luogo nella topografia romana per seguire le peripezie di scrittori e pittori, consulenti editoriali e critici, paparazzi e musicisti, giornalisti e psicoanalisti, protagonisti di mondanità e attori, registi e poeti. Citarne alcuni sembra un torto ai tanti altri non meno grandi, interessanti, dirompenti, famosi, geniali, appartati o ultramondani… perciò, cito soltanto alcune tra le donne anche per compensare i ruoli di secondo piano che alcune di loro, a quei tempi, furono costrette a occupare nonostante i talenti e le ambizioni: Elsa Morante, Cristina Campo, Giosetta Fioroni, Natalia Ginzburg, Elsa de’ Giorgi, Giovanna Bemporad, Maria Bellonci, Adele Cambria, Ingeborg Bachmann, Paola Pitagora, Anita Ekberg, Marianne Faithfull, Dacia Maraini, e fra tutte brillantissima, bella, provocatoria e tenacissima una delle personagge principali del libro e signora cruciale sulla scena artistica e mondana di quei decenni, Palma Bucarelli, della quale la romanzesca Nina appare l’aiutante, dog-sitter, protetta e allieva.
Fra le protagoniste, il ruolo di prim’attrice tocca però a Roma: dagli esterni descritti con pochi tocchi, mostrando una conoscenza puntuale di vicoli, piazze, giardini, ponti, caffè, gallerie e musei (Petrignani ha firmato anche E in mezzo il fiume. A piedi nei due centri di Roma), agli interni che sono eleganti salotti, austere case di studiosi, camere affittate da scrittori con scarsi patrimoni e grandi speranze, cortili e botteghe ribattezzati con riti trasgressivi a studi d’artista dell’avanguardia, e le famose, bellissime terrazze romane. Magistrali le due pagine in cui si descrive la stanzetta in affitto di via Margutta 27 alla quale era legatissimo il più autorevole dei consulenti editoriali italiani, Bobi Bazlen, che l’abitò tra fine anni Cinquanta e metà Sessanta. Petrignani ricrea con qualche ricordo di Silvia Rosselli e Toti Scialoja il fascino di quel giardino con la fontana rumorosa da cui si accedeva alla stanza monacale di Bazlen, la sua figura schiva, la morte inaspettata e forse accelerata dal dolore dello sfratto subìto.
La tessitura fra luoghi, persone, carta stampata, tele, pellicole è fittissima, preziosa e riesce a tenere insieme trame letterarie e ordito biografico, a darci ritratti freschi e aneddoti deliziosi di personalità ormai monumentalizzate, persino mummificate dalla gloria: esemplari le pagine su Gadda, sull’amicizia tra Fellini e Pasolini, su Natalia Ginzburg in cerca di casa, su Calvino innamorato dimezzato e furioso. I fili sentimentali sono di frequente anche comuni vocazioni artistiche, come per le coppie Natalia Ginzburg-Gabriele Baldini, Elsa Morante-Alberto Moravia, Elsa de’ Giorgi-Italo Calvino, Goffredo Parise-Giosetta Fioroni, Massimo Bontempelli-Paola Masino… e le coppie sono assai spesso scisse, ricomposte, aperte a triangoli o altre geometrie complesse, come nella polifonica vita sentimentale di Palma Bucarelli, o nelle pericolose relazioni a suon di rock ed eroina fra Schifano, Faithfull e Jagger.
Quando la tela si lacera, non è tanto per gli scandali paparazzati della Dolce Vita, quanto piuttosto per gli strappi e gli scossoni che dalla fine degli anni Sessanta spingono alla violenza tutto il Paese, e insieme Roma con tutta la conflittualità culturale e politica che l’abita, anzi l’assedia per il decennio successivo.
Addio a Roma si chiude con il funerale di Pasolini, con lo sbigottito dolore dei suoi cari e della folla presente, con l’ultima comparsa di Nina lacrimosa e curiosa, che lasciando la libreria Croce dov’è il raduno degli amici in lutto, scorge in vetrina il proprio romanzo da poco pubblicato… se citando la frase icastica di Ennio Flaiano: «Coraggio, il meglio è passato», definisce l’involuzione in chiave sarcastica, le pagine in cui torna sul delitto Pasolini, sul legame fra le tematiche buie delle ultime opere e la violenza che lo braccava nella vita ne mostrano il registro drammatico, pietoso.
I mutevoli registri che Petrignani ha saputo usare nei suoi libri, raccogliendo in un arco narrativo di oltre quattro decenni molte voci e destini di altre creature, e riannodando le proprie, nascevano dal desiderio di scoprire nella scrittura il «disegno nascosto nel tappeto di tante vite, (per) cogliere qualcosa del mio tappeto», per essere in parte illuminata, in parte messa in guardia, come scrive in apertura di La scrittrice abita qui.
Se grazie a Sandra noi ci aggiriamo oggi nella Roma di quegli intensissimi e insieme un po’ provinciali decenni, se la riguardiamo a partire da questo peggio italiano che abitiamo a disagio e che travalica ogni pessimistica previsione che ci eravamo fatte, riusciamo a vedere un disegno nel tappeto?
Sandra Petrignani Addio a Roma, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2012, 352 pagine, 16,50 euro
Le signore della scrittura, La Tartaruga, Milano, 1984, ristampato 1996, 128 pagine, 9,30 euro
La scrittrice abita qui. Viaggio nella vita sentimentale di Grazia Deledda, Marguerite Yourcenar, Colette, Alexandra David-Néel, Karen Blixen, Virginia Woolf , Neri Pozza Editore, Vicenza, 2002, 14,50 euro
E in mezzo il fiume. A piedi nei due centri di Roma, Laterza, Roma-Bari 2010, 128 pagine, 10 euro
Alfonso Berardinelli, Non incoraggiate il romanzo, Marsilio, Venezia, 2011, 288 pagine, 21 euro
Emanuele Trevi, Qualcosa di scritto, Ponte alle Grazie, Firenze, 2012, 247 pagine, 16,80 euro
Lorenzo Pavolini, Accanto alla tigre, Fandango, Roma, 348 pagine, 16,50 euro
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