I libri di Gloria raccontano di storie, luoghi, persone che molte di noi conoscono. Il suo primo libro, Presente remoto, racconta gli anni vissuti da studente in una città in cambiamento, Bologna e il movimento del ’77, ultimo fuoco di rivolta. Gloria annota a margine degli eventi collettivi le storie personali. Il suo sguardo distaccato e ironico non ha niente della fredda distanza: fa scoprire un altro lato, quello invisibile, che si annida in ogni esperienza umana personale collettiva.
Per questo direi che i suoi libri, raccolta di racconti brevi, alcuni “fulminei” quasi aforismi, sono delle bio-grafie di tutti. Non solo auto-bio-grafie ma pensieri sulle crepe della vita quotidiana che è sempre intreccio tra storia personale e storia collettiva.
Questa caratteristica la mantiene anche nel suo ultimo libro, Salnitro, ma con accresciuto controllo della lingua scritta che, pur mantenendo le caratteristiche di una forma di linguaggio”zero”, della lingua quotidiana, dei nostri ordinari pensieri, riesce a raggiungere vertici poetici di maggior spessore e maturità stilistica. Si continua a ridere con Gloria, ma si ride amaro o meglio si sorride. Come nel racconto Quando è troppo è troppo che ricorda i suoi precedenti racconti.
La precisione della lingua scritta, senza ingannevoli sentimentalismi, coglie con esattezza gli scarti, i paradossi, i rovesciamenti presenti in ogni esperienza umana. A lato dei grandi avvenimenti – un viaggio, una riunione, una fine analisi – si aprono spazi imprevisti che lo sguardo attento della scrivana nota e rielabora. La sua scrittura denudata si inoltra nei risvolti emotivi di un’ esperienza comune, nel senso di comunitaria presente in ogni singolarità, a una storia a cui non si può, forse, mai dare un termine.
Le storie di Gloria aprono sempre a nuove storia in un richiamo all’infinto del narrare che si vivifica dalla relazione con chi legge.
Il primo racconto (Storia di comune originalità) diventa occasione per una riflessione su come un eccesso, vergognoso e disturbante, apra la porta a un’assunzione di soggettività che marca una differenza irriducibile, da frustrante difetto diventa occasione di distinzione dal gruppo. All’iniziale avvilente anomalia si sostituisce, nel tempo, una originalità che è la cifra del proprio essere al mondo. Il confine tra originalità e stravaganza si fa labile: si può essere e l’una e l’altra senza esclusione perché tra originalità e stravaganza la differenza, forse, è nel significante: tra origine e vagare, tra ancorarsi e debordare. E la nostra esistenza si dipana tra le origini e i distacchi, tra le radici e il nomadismo. E se i nostri viaggi non si svolgono sulla terra ferma in fantasia non si finisce mai di stra-vagare.
Questa capacità della scrittura di Gloria di oscillare tra due estremi dell’esperienza, una oscillazione che dura una vita e produce infinite storie, porta alla creazione di uno spazio intermedio, che è il tempo del racconto, e ci trascina, noi lettori, in un altro universo tendente all’infinito perché caratterizzato da ulteriori incrinature, incrostazioni che lasciano scorgere altri mondi.
Le storie di Gloria hanno sempre delle fini impreviste, non va mai come ci si aspetta.
Chi legge è chiamat* a seguire Gloria nelle sue scorribande tra alto e basso (Il congedo dell’angelo), tra spirituale e materiale (Vis alchemica dei numeri), tra morti e viventi (Senza capo né coda) e in questi rapidi movimenti dei paesaggi narrativi e dei personaggi in trasformazione non si perde mai il punto di vista affettuoso verso una realtà, anche la più dura, che offre sempre nuovi punti luoghi da visitare.
I racconti o meditazioni sul reale di Gloria sono anche il risultato dell’ascolto dell’Altro, filtrato e metabolizzato dalla sua sensibilità e soprattutto dalla sua scrittura misurata e fedele che ricostruisce scenari dove si muovono personaggi in cerca di libertà.
Per questo dopo trent’anni di lavoro, ricerca, scrittura delle donne su come si racconta l’Altro, lo sconosciuto, l’estraneo dentro e fuori di noi stessi, Gloria può utilizzare un Io narrante al maschile, che maschile non è, ma neanche femminile e ci porta a pensare che si può di nuovo rimescolare con leggerezza le carte. E’ venuto il tempo in cui una donna che scrive può utilizzare un io narrante,”sono andato, ho cercato” senza che ciò faccia problema alla scrittrice e alla lettrice, senza identificazioni rigide ma ascoltando e cogliendo le dissonanze che si aprono in ciascun*.
Ma si sa che aspetti identificatori costituiscono il piacere del testo: il l’ho trovato nel racconto che dà il titolo alla raccolta, Salnitro, incrostazione, appunto.
Essere in una grande città, più o meno conosciuta, mitica (Parigi) e per caso trovarsi in un luogo carico di storia, eppure mai visitato, un luogo della memoria che non trovava il riferimento nello spazio architettonico della città, forse perché alcuni luoghi che continuano ad avere la stessa funzione di sempre malgrado i cambiamenti epocali di una metropoli diventano invisibili. Un luogo leggendario, Salpetriere, che continua a essere, con la sua architettura del Seicento,quello che è sempre stato nei secoli: un ospedale. Da questa scoperta casuale, durante una passeggiata senza mete, l’autrice ci suggerisce che nuovi incontri sono sempre possibili, che andare verso la realtà, soprattutto quella nascosta da un muro, significa scoprire che in certi momenti e stati della vita, nello stesso tempo vigili e sognanti, il passato si fa presente e perché no? Può diventare anche un futuro che contiene tutti i tempi della vita, mai del tutto sommerso dalla storia e dalle nostre umane dimenticanze e che la storia, le storie non hanno mai fine.
E come gli spazi esterni riscoperti e disincrostati ridiventano nuovi, anche nelle nostre private vicende affettive basta un pomeriggio di flanerie per farci incontrare ciò che era da sempre è stato là e non avevamo mai visto.
Gloria Zanardo, Salnitro, L’Iguana Editrice, Verona 2012, pp.238, euro 13,00
Gloria Zanardo, Presente remoto, Luciana Tufani Editrice, Ferrara 2000, pp. 115, euro 10,33
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