L'incantesimo di Mary

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villa magniAlla fine di ogni passeggiata letteraria, lo confesso, torno a casa con la sensazione di averla conosciuta per davvero la scrittrice, in carne ed ossa. Di essere entrata talmente in confidenza con lei, come capita chiacchierando fittamente con un’amica, da condividere, alla fine della conversazione, i suoi desideri, le sue paure, i suoi sogni.

Così è stato per Mary Shelley durante la passeggiata, o meglio durante i percorsi di terra e di mare, da Genova a Lerici e Viareggio, ideati da Silvia Neonato, giornalista, ex presidente della SIL e infaticabile organizzatrice di eventi, insieme a Carla Sanguineti, artista, creatrice dell’associazione “Amiche e Amici di Mary Shelley”, oltre che autrice di diversi saggi. A guidarmi verso la conoscenza dei “luoghi incantevoli del cuore e della memoria” sarà infatti il suo libro non a caso intitolato Come un incantesimo Mary e Percy Shelley nel Golfo dei Poeti. Un testo che, solo attraverso la scelta della forma romanzata poteva restituire, attraverso immagini e visioni, tutta la passione degli ideali politici e dell’amore di Mary e Percy e di tutti i loro amici.

Ed eccomi dunque a Lerici col libro in mano, davanti a Villa Magni e al suo giardino. Immagino Mary piena delle sue visioni, “rivisitazioni ossessive del suo vissuto” come scrive Sanguineti. Piena del suo dolore per i tre figli perduti in tenerissima età, e col cuore gonfio di un triste presagio – aveva letto del funerale di Miseno con la pira, nell’Eneide da lei consultata prima di partire da Pisa – sbarca nell’aprile del 1822 a san Terenzo, la baia dove sta villa Magni, insieme a Claire, la sorellastra e Percy Florence, l’unico figlio sopravvissuto. Ha lasciato a malincuore Pisa dove aveva trovato finalmente “momenti di dolcezza” e amici, per prendere possesso della villa tutta bianca e vuota dove entrava il mare, che Percy B. Shelley, partito anche lui da Pisa “trafitto da mille dolori”, aveva affittato pieno di speranza che il luogo lo guarisse. Il paesaggio, i suoi colori, la luce che mi accompagnano lungo il tragitto per arrivare alla villa è talmente bello, un eden, che capisco perché entrambi, alla vista, “sentirono il cuore balzare e ammutolirono”. Così abbagliante nel suo splendore da “non potere essere sostenuto da occhi che avevano bisogno di penombra e silenzio”. La vide, Mary, la casa, come la vedo io, scendendo verso Lerici, a ridosso della collina, e cerco di immaginarla senza la strada asfaltata che adesso la separa dal mare, con la distesa infinita di sabbia che entra fin dentro gli archi bassi del portico. La immagino saltare giù dalla barca, scavalcare le pietre sulla spiaggia e ritrovarsi “nelle bianche stanze quadrate col soffitto a volta che riverberavano la luce accecante del sole”.

Non potrò vederle le stanze perché la villa adesso è di privati, ma ci è permesso sostare nell’ingresso. Tocco le pareti e sono calde, oggi come allora, prive di colori propri, ma animate solo di riflessi. Il mare non si sente, oggi è piatto, non c’è un alito di vento. Sento però le voci dei bagnanti che giocano sulla spiaggia o a pallanuoto, sotto un sole cocente. Così come Mary “udiva i gridi di gioia di suo figlio mentre si rincorreva con Claire”. Che sofferenza dev’essere stato per lei ammirare tanta bellezza ma non riuscire a goderne perché una voce dentro di lei le dice “questa è la casa della morte”.

Salendo lungo il viale che ci porterà a villa Marigola, davanti allo scorcio di mare che all’improvviso, come una visione, sulla cima che si allarga in un giardino lussureggiate, mi appare incorniciato da lecci secolari, mi chiedo se Mary non riuscisse a dimenticare, anche solo per un attimo, i suoi tormenti. Me lo chiedo anche quando arrivata in cima al castello, davanti a me sconfina il golfo azzurro punteggiato da mille imbarcazioni bianche che all’imbrunire si trasformano in piccole luci tremolanti che trapuntano il mare come un ricamo. Il giorno dopo andremo a Viareggio costeggiando le tre isole del Golfo dei Poeti , Palmaria, Tino e Tinetto, dove si avvererà la profezia di Mary. Lì infatti è naufragato Percy con la sua barca Ariel travolta da una tempesta. Visiteremo la piazza a lui intitolata e che ospita la sua statua nel punto in cui ospitò la pira che arse il suo corpo restituito dal mare il 10 luglio 1822. Pochi giorni dopo avrebbe compiuto 29 anni.

shelley mon

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