Baba Dunja è la prima a ritornare a Černovo dopo l’incidente nucleare. E’ una vecchia donna, anzi vecchissima (“non ho più ottantadue anni” è una sua frase ricorrente), la protagonista dell’ultimo romanzo della giovane Alina Bronsky, nata in Russia e cresciuta in Germania.
Agli anonimi e grigi edifici kruscioviani di Malyši, la prima città non contaminata, Baba Dunja preferisce la sua dacia, con i rumori della campagna e preferisce i cetrioli contaminati del suo orto al cibo spazzatura della città. Sdegna il contenuto futile dei pacchi che le manda la figlia Irina dalla Germania e vive in un mondo di oggetti di recupero. La dacia stessa sopravvive tra “i festoni argentati e appiccicosi” delle ragnatele che Baba Dunja considera ornamenti inevitabili, essendo i ragni proliferati e forse mutati per la sparizione degli uccelli.
Dopo di lei torna in paese una sparuta corte dei miracoli, “una dozzina di zoppi e decrepiti” che, ognuno con le proprie motivazioni – irrazionali o meno, a volte non espresse – compie la stessa scelta, dando vita a una microcomunità solidale quanto basta. E il paese intorno a Baba Dunja si popola di personaggi sull’orlo dell’abisso o di fantasmi che tornano, o che piuttosto non se ne sono mai andati, che siano il marito Jegor o il vecchio gallo di Marja: nella via del paese “ci sono giorni in cui i morti si pestano i piedi”. E non manca nemmeno una festa di matrimonio, con sposi attempati in una cornice folk colorata e alternativa.
Ma Černovo è visitata da altri fantasmi, gli “imbacuccati”, meno reali e meno comprensivi dei fantasmi veri, e sono i geologi, biologi, chimici e rilevatori, che si presentano alieni, con le loro tute di protezione, buoni solo a mettere in provetta e a etichettare quei lamponi o quei cetrioli che con gran gusto e soddisfazione Baba Dunja coltiva, raccoglie e mangia.
Il contatto col mondo esterno è difficile e costa fatica: una camminata di due ore fino alla pensilina della fermata di autobus, “verniciata di verde e pulita”, vicina alla fabbrica di cioccolata abbandonata e che segna il confine ufficiale tra la vita e la morte.
Baba Dunja, perfettamente a suo agio nella sua economia autarchica, affronta il viaggio ogni tanto per recarsi a ritirare la pensione e la posta, per concedersi il lusso di acquistare del “formaggio, una penna a sfera , della carta da lettere con le rose… il sale, cinque limoni e tre banane”. Carta da lettere per una corrispondenza per lei importantissima, tutta al femminile, con la figlia Irina – medica, che ogni anno si reca a trovarla riaccompagnando a casa i bambini che vanno a respirare l’aria buona di Germania – e la nipote Laura, che ha rinunciato a incontrare per non comprometterne la salute.
La vita di Černovo è sconvolta dall’arrivo imprevisto della piccola Aglaia. Una bambina sana a Černovo non può stare. Questo a Baba Dunja è chiarissimo, tanto che è pronta a tutto pur di rispedirla via. E intanto, per il tempo che la bimba passa con lei, la impacchetta in una giocosa e salvifica armatura di carta stagnola.
“Baba Dunja della Zona Morta”, come ha iniziato a chiamarla la stampa, soprattutto quella occidentale per la quale è quasi famosa, non sembra scomporsi nell’attraversare il confine tra salubre e mortale.
Ecco, la forza e l’incanto di Baba Dunja e del piccolo libro di cui è protagonista è questo paradosso per il quale lei è perfettamente consapevole della realtà desolante e mortifera che la circonda e al tempo stesso della realtà idillica della sua Černovo, con i ciuffolotti, la gru cinerina e la lepre: “ Ho imparato a sorridere dopo essere tornata a Černovo”. Alla soglia della morte, per dati anagrafici e per pericolosità ambientale, Baba Dunja scopre il sorriso e la libertà: “ Se c’è una cosa di Černovo che non baratterei nemmeno con l’acqua corrente e una linea telefonica, è la questione del tempo. Da noi il tempo non esiste. … Non siamo obbligati né ad alzarci la mattina né ad andare a letto la sera. Potremmo anche fare esattamente il contrario. Mettiamo in scena la giornata, così come i bambini mettono in scena la vita con le bambole e i negozi in miniatura.”
La fiaba disincantata e ironica di Baba Dunja indica una via rovesciata dalle risorse insospettate.
Alina Bronsky, L’ultimo amore di Baba Dunja, Keller, 2016, traduzione dal tedesco di Scilla Forti, pp. 165
PUOI SEGUIRE LA SIL SU:





PASSAPAROLA: