Leggi l’introduzione di Loredana Magazzeni, vicepresidente SIL
Napoli è l’unica vera metropoli d’Europa secondo Allen Ginsberg, una città che sfugge a ogni definizione e che sfugge a qualsiasi etichetta. Napoli è donna, il suo ventre rigonfio e traboccante, genera numerosi figli ogni giorno. Questa continua gravidanza la rende protagonista e spettatrice di una metamorfosi che dà vita a una città multiforme. Secondo la leggenda, Napoli è nata dal corpo di una sirena, prototipo di una femminilità ammaliatrice che incatena e ipnotizza.
Napoli è stratificata e spesso soffocata dal racconto, soggetta a sovrastrutture presenti nelle narrazioni contemporanee, le quali ritraggono solo alcuni aspetti di questa città – teatro che distingue molto bene fra l’arte e la recita. Sempre ferita a morte, ma sempre vitale perché sa aprirsi e mettersi in connessione con lo spirito del tempo.
Una delle scrittrici contemporanee che riesce a rappresentare al meglio la sua natura, è Valeria Parrella. Autrice di testi brevi, opere teatrali, racconti, romanzi, la scrittura di Parrella descrive l’universo femminile, cantandone le infinite risorse, l’ostinazione, l’indocilità, la lotta e l’amore per la vita. Inoltre, i testi di Parrella vivono della femminilità eccentrica e poliedrica di figure femminili che portano avanti una battaglia volta ad affermare il loro diritto d’essere, in quanto soggetti desideranti, corpi liberi da qualsiasi tipo di assoggettamento maschile. Ognuna consapevole delle proprie scelte e della facoltà di essere chi si vuole essere.
1. Come è già stato rilevato da altri, Napoli è coprotagonista presente in quasi tutti i suoi libri. Partendo proprio dalla sua appartenenza ad una città così complessa, contraddittoria, labirintica, in che modo sente che Napoli ha influenzato la sua scrittura?
Non so quanto Napoli abbia influenzato la mia scrittura perché non ho mai scritto lontana da Napoli. Per esempio, un mio racconto, contenuto nella raccolta Troppa importanza all’amore, è ambientato a Liverpool, ma comunque è stato scritto a Napoli. Sicuramente esiste un’operazione di mimesi linguistica quando si scrive di un altro posto, ma io ho sempre scritto a Napoli. Quello che posso dire rispetto al rapporto tra scrittura e città è questo: quando ero ragazza leggevo i classici, leggevo i russi, i francesi e dentro di me pensavo che non avrei mai scritto pur desiderandolo molto, perché i grandissimi romanzi descrittivi mi spaventavano. Ad un certo punto iniziai a leggere Carver, ed è per questo che i miei primi due libri li ho pubblicati con ‘minimum fax’, perché all’epoca, pur avendo una collana piccolissima di italiani erano gli unici che dopo ‘Mondadori’, avevano deciso di pubblicare Carver. Mi convinsi che si potesse parlare di Napoli nello stesso modo con cui i nord americani parlavano dei viaggi on the road, delle grandi città, dei quartieri affollati. Sentivo che questo era fattibile ma se non fossi arrivata alla forma narrativa del racconto, probabilmente non avrei scritto. Quindi ho pensato che, in un certo senso, Napoli non debba essere trattata come tale, ma bisogna trattarla in maniera più intima, perché, trattare in maniera intima una città, va bene. In questo modo si può parlare di qualunque cosa e scrivere da qualunque latitudine.
Alla fine, Leopardi scriveva da Recanati, un posto minuscolo, e da dietro una siepe ci ha fatto vedere l’infinito. Il legame importante non è quello di partenza, è quello con il luogo d’arrivo, dove viene ambientato il racconto.
2. La scrittura è un elemento di unità di tanti elementi sparsi, nei suoi racconti e nei suoi romanzi è possibile individuare una forte connessione con l’elemento Sud, inteso come luogo della mente. In riferimento al Sud di oggi: che cosa è cambiato nella storia del riscatto del Sud nel nostro presente, paragonabile alla storia dell’emancipazione femminile?
Sento che c’è sempre qualcosa da costruire, qualcosa in divenire, lo penso anche dell’emancipazione femminile, che credo abbia fatto passi da gigante, lungi dall’arrivare dove dobbiamo arrivare, però credo che l’abbia fatto, così come il Sud. Questo me lo dice un po’ l’esperienza personale, perché io ho 47 anni e ricordo com’era il nostro Sud tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, era molto peggio. Anche se eravamo vicini ad una dimensione politica sessantottina e portavamo il lungo retaggio delle grandi visioni degli anni ’70 – la legge Basaglia, la legge sul divorzio, la legge sull’aborto – penso che tantissimo sia stato fatto. Non per merito del Sud, ma per un merito nazionale, sono state fatte delle buone leggi che poi lentamente hanno dato i loro frutti. Il problema riguarda gli ultimi vent’anni, dove c’è stata una specie di recrudescenza moralistica, legata all’avanzata del liberismo con Berlusconi, con le destre, con i sovranismi, ecc. Questo alla lunga peserà su tutte le scelte di carattere etico, che investono anche la libertà individuale, oltre che sull’emancipazione femminile e sul Sud, in quanto anello debole del Paese. Resta, ad oggi, una questione meridionale che si è aperta con l’Italia Unitaria.
Sul piano letterario, non posso non notare che, se si guardano le classifiche commerciali – quelle che, forse non rilevano la qualità di un libro ma la voglia del lettore di sceglierne uno piuttosto che un altro – quasi tutti gli scrittori che vanno forte sono del Sud. Le storie vengono dal Sud, quindi ritengo che il Sud sia un generatore di storie; non che il Nord non lo sia, lo è stato molto nel periodo della resistenza e nel periodo postbellico. Gli ultimi hanno segnato il trionfo della letteratura del Sud, dove ci trovi di tutto: il folclore, la criminalità, la borghesia o il grande romanzo di Elena Ferrante. A me non piace, ma non posso escluderlo perché è così potente! Hilary Clinton, durante la campagna elettorale, ce l’aveva sul comodino e lo disse al mondo. In buona sostanza grazie a Roberto Saviano e ad Elena Ferrante, quanta Napoli è arrivata nel mondo!
3. Da quotidiana osservatrice sul campo, ritiene che le donne meridionali siano consapevoli dei propri strumenti di liberazione e si riconoscano parte di un movimento di emancipazione?
Io non credo che esistano le ‘donne meridionali’, esistono tantissime forme di vita talmente diverse che non si possono accorpare in una dicitura, in un sintagma nominale quale donne meridionali. Ci sono donne colte, donne che si trovano nei punti apicali delle industrie, donne di città, donne di provincia, donne ignoranti e per ognuna c’è una storia. In linea di massima, su ‘la Repubblica’ oggi c’era una pagina sui femminicidi, questo fa capire che forse delle donne meridionali si può dire quello che si dice delle donne italiane: ovvero che sono ancora troppo vittime di un sistema patriarcale più che maschilista. Negli ambiti borghesi, socio-culturalmente abbastanza evoluti, è difficile trovare il maschilismo, gli uomini che non fanno i piatti, che non si occupano dei figli. Ma vedo che tantissimi ragazzi tatuati, un poco chiattunciell, che fanno parte del popolo, si occupano dei figli, li portano a giocare, sanno dare loro la pappa a tavola, nei ristoranti. Noto che gli uomini, in parte, sono riusciti a superare il maschilismo. Il patriarcato è un’altra cosa e quello secondo me esiste. È il motivo per cui in Italia è difficilissimo trovare donne che fanno carriera fino ai punti manageriali, qualcuna c’è, però sono poche. Una volta Paola Gallo, la mia editrice, quando era diventata capo della narrativa italiana, mi disse: ricordati sempre che se una donna acquisisce un ruolo di potere in Italia, vuol dire che stanno abbassando gli stipendi.
Chi ha gli strumenti di liberazione ne è consapevole, e chi non ce li ha, non è consapevole di poterli avere. Secondo me può aiutare molto fare squadra, creare legami di sorellanza. Ad esempio, a Napoli ci sono sette spazi occupati, tutti quanti resi in qualche modo legali da De Magistris, che ospitano le assemblee femministe. Oppure i consultori – altro retaggio delle leggi degli anni Settanta– sono posti dove le donne si sentono libere di andare a raccontare se hanno subito una violenza, se hanno bisogno della pillola del giorno dopo, se semplicemente hanno bisogno di un aiuto per fare il doposcuola ai figli. Questi punti di aggregazione creano la consapevolezza generalizzata che sarebbe auspicabile sul nostro territorio.
4. Nel ventunesimo secolo, noi donne abbiamo acquisito un ruolo largamente centrale, in tutti gli ambiti della società, rispetto a non troppe decadi fa. Nonostante ciò, per quanto riguarda la letteratura femminile, crede che esista ancora un pregiudizio – da parte degli uomini ma anche delle stesse donne – sulle autrici donne?
Tenderei a pensare di no, se non fosse che l’anno scorso, quando ho partecipato al premio Strega, su dodici finalisti c’erano solo tre donne, e nella serata finale a contendersi il premio eravamo in sei ed io ero l’unica donna. Durante quest’occasione, andata in onda in seconda serata su rai 3, il palinsesto televisivo era stato pensato così: il conduttore era maschio, gli intervistati erano i cinque finalisti quindi maschi, un altro ospite maschio. Poi c’erano due donne oltre me, Melania Mazzucco e la ragazza che faceva il tabellone di cui non si conosce il nome, perché non è stato detto. Da questo punto di vista fu una serata molto aggressiva, in cui ad un certo punto il conduttore Zanchini e Corrado Augias si misero a parlare di Me too, creando una situazione veramente imbarazzante. In seguito a ciò, mi è venuto in mente di andare a guardare quali sono le palma res dei premi letterari italiani degli ultimi settant’anni, considerando i più importanti, soprattutto il Campiello e lo Strega. Mentre del Campiello non si conosce l’elenco dei votanti, nello Strega i votanti sono per la maggior parte, maschi. 9Questa non è la letteratura, questo è l’entourage che si muove dietro la letteratura. Inoltre, guardando i giornali, notiamo che i capi di testata sono sempre maschi, quindi, sicuramente, anche la scrittura che dovrebbe essere territorio di libertà, vive di un pregiudizio. Detto ciò, penso che i grandi lettori, i grandi critici, gli studenti, se si trovano davanti ad un libro bello lo considerano bello, se si trovano davanti a un libro brutto, lo considerano brutto, a prescindere dal fatto che l’abbia scritto un uomo o una donna.
5. Crede che la scrittura abbia contribuito e possa contribuire a sovvertire un’idea di identità fissa, in particolare, di identità femminile? Direbbe che le sue personagge sono soggetti nomadi?
La definizione è di Rosi Braidotti e indica un’identità femminile che all’unicità universale e astratta del soggetto, alla sua falsa neutralità, oppone una soggettività sessuata e molteplice, multiculturale e stratificata.
Le protagoniste dei miei racconti sono personagge, ma anche nei libri strutturati in forma di racconto, come Quel tipo di donna che è un romanzo, in realtà si parla di quattro donne. Le mie personagge rappresentano tutte le possibilità in cui si possono manifestare le donne. C’è la suora, la single, quella sposata, quella con i figli, quella che lavora, quella ricca di famiglia, c’è la prostituta, la detenuta, molte professoresse. Sono soggetti nomadi.
Tutto quello che noi facciamo o scriviamo può contribuire a sovvertire un’idea di identità fissa. Se apro un giornale vedo che la descrizione che si fa dell’agire delle donne è molto povera, standardizzata, come se non si pensasse alle donne come soggetti. L’esercizio dovrebbe essere quello di pensarci ogni volta davvero. Pensarci, ogni volta davvero.
6. Attraverso la scrittura, lei può esprimere la propria opinione a proposito di tematiche di genere e femminismo e raccontare la propria esperienza di vita. Esistono delle figure femminili che l’hanno preceduta che hanno rappresentato una sorta di guida nel suo percorso di autocoscienza femminile?
Nel mio percorso di autocoscienza femminile, credo che abbiano giocato un grande ruolo mia madre e mia nonna. Le mie due nonne erano molto diverse da un punto di vista socioeconomico. La mamma di papà era una borghese, aveva studiato, ed era una delle prime laureate femmine a Napoli, era un’insegnante e faceva le supplenze durante i bombardamenti. Si sposò tardi per l’epoca, a ventisette anni, con un uomo che amava, un suo collega di scuola. Insomma, una vita proprio emancipata! Sua cognata, la moglie di suo fratello, era una laureata con Caccioppoli e dopo mantenne il mio prozio con uno stipendio da professoressa. L’altra nonna non fu da meno, pur essendo socialmente molto meno emancipata, perché era una casalinga poverissima, aveva fatto la terza elementare ed era sposata con un uomo che faceva l’operaio delle ferrovie dello Stato. Però leggeva il giornale, ha avuto due figlie femmine, mia mamma e mia zia e le ha lasciate libere di fare quello che volevano, andando incontro a due destini completamente diversi. Mia madre ha studiato ed è morta che era nono livello del Ministero dei beni culturali e ambientali; mia zia invece non ha voluto studiare, ha fatto una scuola di sartina, aveva la seconda media e si è unita in un matrimonio d’amore con un uomo che le è stato vicino tutta la vita. Pur avendo percorso strade diverse, sono state molto segnate dall’emancipazione, che non è un qualcosa che passa solo attraverso il lavoro e lo stipendio, ma attraverso l’afflato di andare dove ci sente realizzati.
7. Si ricorda quando ha capito e realmente sentito di essere donna? C’è stato un evento, una particolare lettura o intuizione di qualsiasi tipo che l’ha portata a porre un’attenzione maggiore sulla desinenza femminile?
Credo che sia successo in quarto ginnasio, quando c’è stato un momento di sessualizzazione del mio corpo, a tredici anni, che è coinciso con le mestruazioni, con il fatto che cominciavano a piacermi i ragazzi e che cominciavo a toccarmi. È una cosa che sta talmente nel corpo che non riesco ad attribuirla ad un passaggio sociale. È stato qualcosa di intimo, di individuale, di personale, sicuramente da quel momento non ero più anche maschio. C’è un’epoca in cui siamo maschi e femmine, io me lo ricordo benissimo. Non ho mai avuto un’educazione femminile, se volevo giocavo con le macchinine, mi lanciavo dalle scale in un carretto, avevo la barbie; in casa non c’erano ruoli, mia madre lavorava fino al pomeriggio, mio padre stava a casa per pranzo, faceva i piatti, cucinava, ci faceva vedere i compiti. Non abbiamo mai avuto sessualizzazioni in famiglia, io non ho mai vestito di rosa, non ho portato i capelli lunghi, poi ad un certo punto sì, adesso per esempio li porto lunghi. Però è stata una scelta, non è stata una cosa nata fuori, è venuta da dentro.
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