Il prossimo sabato 22 giugno inizierà a Livorno una scuola estiva dedicata a Soggetti e oggetti dell’utopia: archivi dei sentimenti e culture pubbliche, organizzata dalla Rete toscana della Società Italiana delle Letterate, dal Giardino dei Ciliegi, dall’Associazione Centro Donna Evelina De Magistris con il patrocinio della Provincia e del Comune di Livorno, dall’Associazione Casa della donna di Pisa, dall’Associazione Open di Carrara, con il patrocinio dell’Università di Sassari. Alla scuola si discuterà di utopie dei femminismi tra resistenza e visionarietà, di pratiche quotidiane dell’utopia, di rappresentazioni utopiche, di utopia del potere e potere dell’utopia.
Per approfondire il tema, ho digitato, in un motore di ricerca in internet, le parole utopia e femminismi e magicamente ho trovato l’indicazione di uno sfizioso libro uscito nel 2009 presso la Luciana Tufani editrice. Si tratta di Utopia e femminismo di Anna M. Verna e Piera Vaglio Giors: un corposo e coinvolgente volume dedicato alle utopie femministe, con in copertina l’immagine di una conversazione tra Preziose. Il libro è diviso in due parti: la prima curata dalla Verna, docente di Storia delle donne alla Facoltà di scienze politiche a Torino, dal titolo “Isole immaginarie. Utopie femministe dal preziosismo alla cibernetica”; la seconda parte, curata da Vaglio Giors, docente di storia e filosofia e cultrice della materia presso il dipartimento di Storia della facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università degli studi di Torino, è dedicata a “Identità aliene tra spazio e tempo in alcune utopie femministe tra Settecento e Novecento”.
La prima parte compilata da Anna Verna è un intenso e coinvolgente percorso storico tra teorie e riflessioni di donne definibili in senso lato femministe dal 1400 circa ad oggi. I capitoli dedicati a queste complesse elaborazioni costituiscono un auspicabile completamento della storia delle dottrine politiche o della storia della filosofia politica, una storia monosessuale mutilata del pensiero e delle pratiche delle donne.
Scrive l’autrice: «Le utopie femministe e i progetti femministi della modificazione del mondo non sono mai, contrariamente ai progetti di “società ideali” maschili, repressive e quando sono gerarchiche lo sono nel rispetto complessivo della libertà e dell’uguaglianza. Esse sono raramente il progetto astratto, statico e irrealizzabile di un modello unico di vita o di una totalizzante organizzazione sociale e politica. Le donne dei movimenti, le intellettuali, le romanziere, le artiste che nel corso dei secoli hanno immaginato nei loro scritti o nella loro attività politica mondi alternativi lo hanno fatto sentendosi parte di lotte collettive o di ribellioni individuali che si collegavano ad altre innumerevoli ribellioni individuali e hanno chiesto modificazioni concrete e possibili della condizione collettiva e individuale delle donne. Le utopie femministe non si presentano come modelli di ingegneria politica e anche per questo non sono prese in considerazione in nessuno studio accademico di teoria politica, nondimeno esse hanno una importante valenza politica”. E, prosegue ancora Verna, nelle utopie femministe non sono mai disgiunti “il pensiero dall’esperienza, l’esperienza dal progetto di cambiamento, il progetto di cambiamento dalle esigenze profonde, siano esse ideali o materiali, personali o collettive, che le ispirano e motivano”.
Anna Verna indaga le dottrine politiche femministe nate perlopiù in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, accompagnandoci attraverso percorsi tematici riguardanti libertà, uguaglianza, matriarcato, genealogie, simbolico, comunità e questioni di genere, mettendo in contatto tra loro le Preziose, Virginia Woolf, Olympe de Gouges, Mary Wollstonecraft, Judith Butler, Mary Shelley, Donna Haraway, Elisabeth Cady Stanton, Harriet Taylor, George Sand, Margaret Fuller, Monique Wittig, Charlotte Perkins Gilman, Teresa de Lauretis, Christine de Pisan, Madame de Staël, Christine Delphy solo per citare le attiviste e le studiose più conosciute dal 1300 ad oggi.
Scopro con piacere alcune pensatrici di cui ignoravo l’esistenza e non posso non domandarmi come cambierebbe la percezione di sé di giovani donne e giovani uomini se fin dalle scuole superiori si studiassero le riflessioni teoriche e politiche di uomini e donne, se il sapere creato dalle donne non venisse trasmesso solo da qualche professoressa a sua volta femminista o inseguito da studentesse curiose di scovare le tracce della presenza femminile nelle epoche precedenti, se insomma tanta sapienza delle donne venisse tramandata insieme al sapere degli uomini per creare un bagaglio completo di conoscenze ed esperienze da donare alle nuove generazioni.
Si saprebbe così che nel 1700 la filosofa Gabrielle Suchon, dopo aver sciolto la sua condizione da suora, propose nel saggio Del celibato volontario il nubilato come “una forma di vita superiore, idonea a garantire alle donne libertà, sapere e autorità su se stesse.” In pieno Ancien Régime la Suchon in uno «slancio utopico di grande valore politico, fa intravedere alle sue ipotetiche lettrici la possibilità per le donne di accedere all’azione legislativa, di introdurre nuovi modi di vita e nuovi principi e di “costituire delle forme di vita straordinarie».
Sempre nel 1700 uscì, questa volta in Inghilterra, un testo dal titolo Riflessioni sul matrimonio scritto da Mary Astell, donna che visse senza sposarsi, circondata dal suo cerchio di amiche. Le Reflections costituiscono la prima critica sistematica al Trattato del governo civile” di Locke: «conferendo carattere naturale alla sottomissione delle donne», scrive Astell, «Locke ha portato un colpo fatale alla loro qualità umana.[…] Mary insiste sul diritto naturale delle donne a esercitare la loro ragione e il loro diritto all’istruzione e denuncia con sarcasmo “l’assenza delle donne dalla storia” scritta dagli uomini». Mary Astell è vista come creatrice di un nuovo modello sociale, quello della donna istruita, nubile per scelta, rispettabile, le cui opinioni vengono ascoltate.
Queste teorie e riflessioni politiche sono utopiche, se consideriamo l’utopia come assetto sociopolitico che, non trovando riscontro nella realtà, viene proposto come ideale e modello da raggiungere. In tal senso Anna Verna considera il femminismo stesso una forma dell’utopia femminile.
Non potendo dar conto, purtroppo, di tutte le interessanti utopie descritte nel libro mi soffermo su Herland di Charlotte Perkins Gilman, trattata da entrambe le autrici. Scritto nel 1915 ed uscito a puntate su un mensile femminista, il testo narra di un mondo utopico Terradilei, dove giungono per caso tre uomini. Il luogo tecnologicamente progredito è popolato da donne «sapienti, lucide, con grande forza mentale -ci informa Anna Verna- Donne di indole non aggressiva ma non deboli. Sono pazienti. Sono vegetariane. Sono solidali». «Nel corso di centinaia di anni, dopo la scomparsa degli uomini a causa di guerre e cataclismi, le abitanti sono riuscite a creare un sistema, razionale, pacifico, prospero economicamente e socialmente ordinato. Tale società ha il culto della maternità: le donne procreano per partogenesi mediante il desiderio di essere madri».”Così scrive Piera Vaglio Giors che annovera Herland nelle utopie realizzanti un luogo felice e riguardante le sole donne.
L’autrice, dando come contesto acquisito il compendio del sapere politico utopico femminile descritto da Anna Verna, nella seconda parte del libro analizza nel dettaglio alcune utopie femministe scritte tra il Settecento e il Novecento, tra le quali “Alcuin” di Charkes Brockden Brown, “Maria” di Mary Wollstonecraft, “Mizora” di Mary Bradley Lane, “La dialettica di sessi” di Shulamith Firestone, “Female Man” di Joanna Russ e “Testimone_modesta@femaleman_incontra_Oncotopo di Donna Haraway.
Queste ultime due sono utopie fantascientifiche. Joanna Russ mescola autobiografia e utopia attraverso un personaggio ambiguo sdoppiato in quattro, «la fantascienza diventa veicolo di un femminismo militante che conosce e sperimenta la relatività del linguaggio, la satira antimaschilista e l’autoironia».
L’oncotopo ed il cyborg di Donna Haraway sono i protagonisti del sogno del nuovo femminismo che «appropriatosi della tecnologia, capisce e contrasta tutte le oppressioni, spogliato da un’identità precisa riesce a incutere paura ai supersalvatori di una nuova destra».
L’utopia femminista nella fantascienza ha messo «in discussione la categoria “genere femminile” -scrive Anna Varna- i ruoli e i modelli sociali con le modalità di relazione interpersonale che da essi vengono costituite, avvalendosi dell’uso della tecnologia per decostruire la corporeità biologica e per accedere a forme di riproduzione non segnate dai generi».
Di fantascienza femminista si occupa anche un interessante libretto dal titolo Figurazioni del possibile nel quale Liana Borghi osserva che «Se la scrittura utopista può essere definita una tecnologia del cambiamento per quanto concerne la relazione umana con lo spazio sociale, la fantascienza, con la sua esplorazione di realtà alternative connesse alle frontiere della scienza, è uno dei suoi numerosi esperimenti narrativi».
Per continuare a parlare di utopie e di figurazioni possibili l’appuntamento è quindi per sabato 22 giugno a Livorno, poiché nell’odierno contesto di crisi è più che mai necessario discutere di cambiamenti collettivi, di desideri radicali, di utopie come pratiche resistenziali. «Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi -scrive Eduardo Galeano- Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare».
Anna M. Verna, Piera Vaglio Giors, Utopia e femminismo, Edizioni Tufani, Ferrara, 2009, 298 pagine, 13 euro
Maria Serena Sapegno, Laura Salvini (a cura di), Figurazioni del possibile. Sulla fantascienza femminista, Iacobelli, Pavona, 2008, pagine 156, euro 12,90
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