Abbiamo chiesto alle coordinatrici dei workshop del prossimo convegno Sil di raccontarci da dove è nata la loro idea e come pensano di realizzarla. A tutte sono state rivolte tre semplici domande, identiche per tutte: le risposte sono un piccolo assaggio di quel che faremo a Firenze, brevi suggestioni per chi ancora deve decidere a quale workshop partecipare.
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Bia Sarasini
Quale è stata la curiosità che ti ha suscitato il tema del convegno?
È stata la parola rivoluzioni a incuriosirmi. Oggi è insolita, ma è stata l’orizzonte della mia formazione politica e femminista. Non si è detto, del femminismo, che era l’unica rivoluzione realizzata del secolo scorso? E nello stesso tempo, non porta oggi con sé l’idea del fallimento? E quindi la domanda successiva è, per me: dove è finita l’idea di cambiamento radicale che comporta l’idea di rivoluzione, la carica di speranza, di forza che aveva con sé?
Il tuo laboratorio si intitola “Raccontare la politica, ovvero l’arte della guerra con altri mezzi”. Perché hai scelto questo argomento?
La proposta del seminario viene dal desiderio di tenere unite le diverse esperienze che mi trovo a vivere, con, negli ultimi anni, un intenso impegno nei movimenti e nella politica. Conflitti e rivoluzioni fanno parte, anche se non solo, della sfera politica. Mi sono chiesta come la letteratura parla di politica, come la narra. E se nelle scritture delle donne c’è qualche differenza. A partire da Doris Lessing, dall’attenzione che dedica al racconto di una delle esperienze più noiose che esistono, le riunioni politiche, si è aperto un’ampia possibilità di riflessione. Che viene arricchita dalle proposte arrivate.
Pensi di usare una metodologia specifica per il tuo workshop?
Il metodo sarà in primo luogo quello dell’ascolto. I testi proposti, le angolature da cui verranno letti. Poi vedremo, nella parte finale del workshop, se individuare qualche raggruppamento, qualche linea di lettura in comune. Voglio aggiungere che un grande piacere, per me, è avere visto prodursi interessanti intrecci, tra diverse pratiche politiche. Mi sembra una buona partenza.
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Nadia Setti
Quale è stata la curiosità che ti ha suscitato il tema del convegno?
Non curiosità ma pertinenza della tematica rispetto alle mie ricerche, interrogazioni e esperienze. Essendo da lungo tempo nella Sil, i convegni sono per me da anni momenti chiave di relazione, scambio, approfondimento. Un appuntamento e un impegno. D’altra parte nel mio quotidiano esercizio di docente e di ricercatrice di letterature comparate considero che uno dei compiti maggiori della letteratura è appunto di tracciare mappe precise del tempo attuale Nella letteratura (ma non soltanto) cerco risposte ma anche domande che orientino, che ci permettano la comprensione di problemi e vicende che spesso disorientano per la loro gravità e complessità. Penso da tempo che i libri, le scritture, sono vere metafore, cioè macchine che trasportano, attraversano, creano passaggi, ma a condizione di creare o mantenere collegamenti con altre forme di discorso, di azione, di pratiche, quindi con persone e realtà extra-letterarie.
Il tema dei conflitti, delle rivoluzioni e scritture della complessità costituisce una sfida nell’ambito della letteratura ma anche della prassi femminista: nel contempo indirizzata al soggetto (e quindi al genere) in cui mi identifico – donna o altr* – ma anche alla passione per le lingue e le scritture, in quanto luoghi che ospitano talvolta l’inospitabile, i/le senza parola, e in tempi di nuove guerre e nuovi grandi esodi, di nuovi muri e nuove frontiere concrete, discorsive, politiche, è urgente ritrovare delle lingue, dei racconti che permettano traduzioni, restituzioni, continuità.
Il vostro laboratorio, ideato con Maria Vittoria Tessitore, si intitola “Terra di Palestina”. Perché avete scelto questo argomento?
Tuttora si parla generalmente di «conflitto israelo-palestinese», malgrado anni di conflitto, di negoziati e di risoluzioni della Nazioni. Lo statuto dei due paesi resta profondamente diseguale e squilibrato anche se entrambi condividono la “terra di Palestina”. La dichiarazione di creazione dello Stato d’Israele, nel 1948, stato che avrebbe dovuto accogliere nel progetto sionista, gli ebrei profughi, sopravvissuti allo sterminio della seconda guerra mondiale, corrisponde per i Palestinesi alla data della Nakba, la catastrofe, l’inizio dell’espropriazione di terre, case, beni palestinesi, a loro volta profughi nel mondo.
Nel 2014, Maria Vittoria Tessitore mi ha proposto di partecipare a un viaggio promosso da Assopacepalestina e organizzato da Luisa Morgantini. Questa esperienza mi ha permesso di vedere da vicino situazioni e contesti, paesaggi si sono impressi nella mia memoria visiva, incontri con donne, militanti di ambo le parti per la pace, giovani che sopravvivono in una realtà al limite del sostenibile umanamente. Ho capito, come mai prima, cosa significhi, apartheid, colonizzazione, stato murato (walled state), resistenza, resilienza. L’incontro con Valerie Pouzol, collega di università e specialista della questione del conflitto è stato un incentivo per organizzare un approfondimento nel convegno. Ci siamo chieste a più riprese e la letteratura? E la cultura che rapporto ha con il conflitto? Naturalmente è sempre tra noi, le voci delle scrittrici e delle artiste, che spesso sono protagoniste in secondo piano, mentre in primo piano, si svolgono le aggressioni, i combattimenti, le uccisioni. Tuttavia non basta “essere informati”. Penso che sia necessario interrogare questa storia tenendo conto di molteplici esperienze e punti di vista, e con uno sguardo di genere, per cercare la parola, lo sguardo e l’immagine di tutt-e-i le/i protagonisti per riuscire a disegnare un altro quadro e un’altra narrazione.
Pensi di usare una metodologia specifica per il tuo workshop?
Non credo, dipenderà molto dalle persone che parteciperanno, dalle loro motivazioni e dai loro obiettivi. Quello che si può già anticipare che ci saranno punti di vista molto diversificati non sulla linea del «conflitto» ma del vissuto e della conoscenza della storia: c’è chi in Palestina ci è nata, chi si è identificata al vissuto di chi vi abita, chi è in esilio, chi ha letto molto sulla questione. Una cosa mi sembra chiara: una volta conosciuta, la terra di Palestina non si dimentica, né si abbandona: rimane impressa nel cuore e nella mente.
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– la pagina dedicata al convegno
– la pagina dedicata ai workshop e ai primi materiali
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vedi anche le altre interviste:
Convegno SIL/ Workshop (parte 1)
Convegno SIL/ Workshop (parte 2)
Convegno SIL/ Dell’impresa di raccontare i lavori del vivere per vivere
Convegno SIL/ Che genere di conflitto_ Poesia e rivoluzione
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